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«Care coop: chi non cambia strada rischia di perdere la bussola»

Ci sono esperienze straordinarie che si stanno sviluppando in varie zone del nostro Paese. Storie che forniscono risposte attraverso servizi alle domande di cura o di assistenza. Giuseppe Guerini di Federsolidarietà ne spiega il modello e il successo

di Giuseppe Guerini

Ci sono esperienze straordinarie che si stanno sviluppando in varie zone del nostro Paese, molte nelle regioni del mezzogiorno, in cui partendo da una domanda di cura o di assistenza invasa, l’organizzazione fornisce risposte attraverso servizi che, anziché strutturarsi nelle forme tradizionali e professionali dell’assistenza, innescano un vero e proprio processo di sviluppo locale. Esperienze esemplari che spesso hanno come strumento propulsivo una cooperativa o un consorzio di cooperative, ma la cui specifica chiave di successo, è la composizione di mosaici di collaborazione che integrano, in un contesto locale, forme diverse di organizzazione: cooperative, associazioni, fondazioni, imprese ordinarie, artigiani, agricoltori, commercianti.

È il caso di Goel in Calabria (nell'immagine di copertina il marchio di alta moda Cangiari del Gruppo Cooperativo), dei ragazzi di padre Loffredo nel rione Sanità a Napoli, della Città Essenziale a Matera, del Condominio di via Padova a Milano, ma molte altre ve ne sono che meriterebbero di essere raccontate.

Se la collaborazione e la condivisione di responsabilità integrate è la chiave del successo, la resultanza più rilevante è che tutte queste storie dimostrano che una spesa di welfare, indirizzata in chiave di imprenditoria sociale, è una forma di investimento ad alta potenzialità, capace di generare risultati economici e sociali, che al contrario, anni di assistenzialismo e di spesa sociale tradizionale non hanno saputo realizzare.

Per generare un progetto di successo è indispensabile il coinvolgimento attivo e la responsabilizzazione delle persone, partendo essenzialmente da una donazione di fiducia, dalla trasmissione di una passione e di un desiderio di cambiamento. Da qui crescono poi capacità e competenze. Si tratta di una dinamica essenzialmente mutualistica, che fa crescere il welfare condividendo responsabilità e capacità di rispondere ai proprio bisogni condividendoli.

Questa evidenza spiega anche il fallimento degli approcci tradizionali di welfare e dimostra che, per il welfare di domani, avremo sempre più bisogno di forme di imprenditoria sociale, partecipata e capacitante, che si fonda sul desiderio fondamentale di riconoscere dignità alle persone, che è cosa molto diversa dal voler posizionare un contenitore organizzativo e imprenditoriale su un flusso di denaro, pubblico o privato che sia, per erogare servizi e prestazioni ad utenti e clienti. Per alcuni aspetti l’attivismo sui temi del sociale, recentemente osservato in ambienti economici e culturali, che fino a poco tempo fa consideravano il welfare un fardello pubblico da tollerare nella logica del male necessario per assicurare un po’ di stabilità sociale, sembrano appunto mossi dall’interesse a volersi posizionare su una fetta di mercato che dal desiderio di promuovere lo sviluppo sociale delle comunità.

Nei sistemi di welfare tradizionale che si sono consolidati, anche in quelli gestiti da enti del Terzo settore, l’abitudine a posizionarsi per sfruttare filoni di spesa, ha creato anche una schiera di operatori sociali a cui “piace vincere facile”, nel senso che trovano conferme e certezze nei codici professionali e nell’autoriproduzione dei meccanismi dell’assistenza, che per salvare se stessa ha sostanzialmente bisogno soprattutto che l’utente sia sempre e comunque un utente. Impossibile in questa logica pensare che un utente possa essere protagonista di un’impresa, che sia reso attore di un processo, motivo per la costruzione di un percorso di connessioni tra realtà di una comunità locale.

Vorrei augurare che questo nuovo anno che inizia porti alle cooperative sociali, alle imprese sociali che nasceranno, alle associazioni e alle imprese che amano i territori che abitano di riuscire a trovare il modo per essere protagoniste del welfare che verrà, o meglio del welfare che vogliamo, come uno dei motori dello sviluppo e della promozione della dignità umana.


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