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Soldi e servizi, la lotta alla povertà punta all’inclusione attiva

Ecco i contenuti del disegno di legge delega per la lotta alla povertà e la riorganizzazione delle prestazioni assistenziali, nelle parole del Ministro Poletti. Si parte con le risorse stanziate in Legge di Stabilità, con cui raggiungere circa 1milione 150mila persone: l'estensione graduale è prevista, ma facendo affidamento solo su quanto deriverà dalla riorganizzazione delle prestazioni assistenziali

di Sara De Carli

Lotta alla povertà, atto secondo. Dopo il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale istituito dalla Legge di Stabilità 2016, con una dotazione a regime di 1,5 miliardi di euro, arriva la prima misura nazionale di contrasto alla povertà. La disegna il disegno di legge delega presentato ieri dal Consiglio dei Ministri, e si concretizzerà nei prossimi sei mesi attraverso uno o più decreti legislativi. Si tratterà di una misura a doppio binario, consistente in un «sostegno economico condizionato all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativo, inclusivo di una componente di servizi alla persona». In particolare alla realizzazione dei progetti personalizzati di attivazione e inclusione concorreranno anche «risorse afferenti ai PON e POR per l’utilizzo dei fondi strutturali comunitari», come anticipato tempo fa a Vita da Tommaso Nannicini, proprio ieri nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

A beneficiare della nuova misura saranno all’incirca «280mila famiglie, 550mila bambini e quasi 1milione 150mila persone», ha detto il Ministro Giuliano Poletti in conferenza stampa (qui il video), ovvero la platea verosimilmente raggiungibile con la dotazione attuale del Fondo, secondo le risorse presenti in legge di stabilità. Benché il Ministro e il ddl parlino di una misura «individuata come livello essenziale delle prestazioni» e quindi come un «diritto del cittadino», da garantire su tutto il territorio nazionale, si tratta quindi ancora di una misura che raggiunge uno spicchio molto parziale del bisogno, tenendo conto che (dati Istat) nel 2014 in Italia le famiglie in povertà assoluta erano 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti), per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente). Il disegno di legge immagina sì una estensione graduale della platea dei beneficiari, ma legando questa possibilità soltanto al recupero di risorse aggiuntive derivanti dalla razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e previdenziale già sottoposte alla prova dei mezzi previsto nella stessa delega, senza nuovi o maggiori oneri a carico delle finanze pubbliche.

Il Ministro Poletti ha sottolineato come la delega operi all’interno di un Piano nazionale per il contrasto alla povertà, di una «riflessione strutturata sulla povertà nel nostro Paese, tenendo conto che “povertà” implica sia l’ordine economico sia la povertà di occasioni o di percorsi educativi: stiamo riflettendo su una materia complessa, che non ha bisogno solo di uno strumento finanziario di sostegno, ma anche di un impianto culturale, di una idea e di una infrastruttura organizzativa capace di gestire le politiche che la contrastino». Nella delega quindi «istituiamo una misura nazionale di contrasto alla povertà individuata come livello essenziale delle prestazioni, quindi un diritto per i cittadini, da garantire su tutto il territorio nazionale, basata sul principio dell’inclusione attiva». La misura «prevede la predisposizione per i beneficiari di un progetto personalizzato di inclusione lavorativa sostenuto da un’offerta di servizi alla persona: un intervento su due binari, un sostegno al reddito e una presa in carico che tende a far sì che la persona, la famiglia in condizione di povertà possa uscirne». Non partiamo – ha detto ancora il Ministro – «dall’idea che chi utilizza il sostegno lo farà in modo permanente, il nostro obiettivo è produrre le condizioni per la fuoriuscita dalla condizione di povertà, questa misura è volta a superare l’assistenza passiva».

Poletti ha citato anche esplicitamente il lavoro fatto dall’Alleanza contro la povertà, che però valutava che una vera misura universale contro la povertà avesse bisogno di un piano graduale su quattro anni, con uno stanziamento a regime di 7,1 miliardi di euro: «naturalmente lavoreremo in collaborazione con tutto quel mondo del volontariato e del terzo settore, pensiamo all’Alleanza per la lotta alla povertà, c’è un mondo che ha molto pensato ed elaborato su questo tema e noi pensando questo strumento ci siamo molto riferiti a quell’esperienza e anche nella gestioni ci riferiremo a questo rapporto», ha detto il Ministro.

Il secondo pezzo del ddl di delega è la razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e previdenziale, limitatamente – ha detto esplicitamente Poletti – «a quelle che già oggi sono sottoposte alla priva dei mezzi, cioè alla verifica del reddito dell’interessato». Per il mondo del sociale, in particolare per chi si occupa di disabilità, la “delega assistenziale” evoca immediatamente il piano di Tremonti, ma Poletti ha immediatamente sgomberato il campo da equivoci: «sono chiaramente escluse da questa razionalizzazione le prestazioni riferite alla disabilità: stiamo parlando di politiche sociali e lotta alla povertà, tutti i trattamenti che sono riferiti alla disabilità sono esclusi da questa materia». Nella delega c’è anche il «riordino della normativa per superare la frammentarietà, secondo principi di equità ed efficacia nell’accesso alle prestazioni. Noi abbiamo bisogno di costruire una infrastruttura organizzativa unitaria, costruiremo una strumentazione ordinata che consenta a ogni soggetto di sapere in quale punto del processo è in grado di intervenire».


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