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Cooperazione & Relazioni internazionali

Alla Siria serve una soluzione politica

A parlare è Anton Barbu, responsabile dei progetti Avsi a Damasco. «L’attentato non sia la scusa per un intervento armato occidentale. Siamo già un Paese in guerra, le bombe non servono a nulla»

di Lorenzo Maria Alvaro

Damasco – Puntuale è arrivata la rivendicazione dello Stato islamico. A sud di Damasco un triplice attentato ha provocato almeno 70 vittime, tra cui 5 bambini, e oltre 100 feriti. Le esplosioni sono avvenute nei pressi del mausoleo sciita di Sayyida Zeinab. Per avere il polso della situazione abbiamo contattato Anton Barbu, responsabile dei progetti di Avsi proprio nella città siriana, dove è da settembre. «Sono venuto per dare il via ad alcuni progetti di aiuto sanitario e igienico e accesso all’acqua. Siamo a Sahnya, un paese a 25 chilometri da Damasco e a 10 chilometri dalla zona colpita ieri dagli attentati.

Che posto è il teatro dell’attentato?
Si tratta di un quartiere della Damasco rurale, fuori città. C’è una grande moschea sciita dove la nipote del Profeta è sepolta. Per questo è meta di pellegrinaggi dal mondo islamico sciita. Non è la prima volta che viene colpito ma si tratta di certo dell’attentato più grosso mai accaduto. Un attentato terribile per il modus operandi: prima è scoppiata un’autobomba. Poi, una volta arrivati i soccorsi, si sono fatti esplodere due kamikaze.

Com’è la vostra situazione sul territorio?
Siamo in una zona sotto il controllo delle forze governative che ospita moltissimi sfollati. Si parla di 350mila persone, per lo più in fuga dalle zone dei ribelli e di Isis.

Come garantite la vostra sicurezza?
Abbiamo zone in cui non si può andare. Come Avsi siamo ospiti del Governo siriano per questo i nostri movimenti sono molto controllati e possibili solo nelle zone che vengono approvate. Quello che deve essere chiaro è che la Siria è un Paese in guerra. Non è semplice lavorare. Avsi è una delle poche ong che lavorano sul territorio.

Dopo l’attentato si è ricominciato a parlare dell’intervento di una forza di coalizione. Che ne pensa?
La strategia giusta è trovare una soluzione politica. È chiaro che con le tante sigle terroristiche che si muovono sul territorio non si può dialogare. Ma un intervento armato non è mai un successo. Basta guardare alla storia per capire come la guerra non è mai una soluzione che porti a situaizoni pacifiche e stabili. Dobbiamo ricordarci sempre molto bene della Libia .

In che condizioni è il Paese?
Damasco è una città che da cinque anni vive sotto assedio dei bombardamenti. La gente non è più come era prima della guerra. Per loro oggi questo è normale. La Siria è un paese pieno di donne perché tutti gli uomini sono al fronte. Un paese che ha sofferto tanto e soffrirà tanto anche dopo, perché gli orrori umanitari sono stati talmente grandi e tanti che non sarà facile superarli. Noi proviamo a lavorare per riportare la Siria a quello che era prima. Un paese sviluppato, con cultura e tradizione, oggi completamente distrutto.

Intanto l’Europa è ancora bloccata sul tema dei migranti. E i profughi continuano ad arrivare…
Qui abbiamo 2 milioni di sfollati. Persone che non hanno scelta. Da una parte ci sono i terroristi dall’altra c’è il mediterraneo. Voi cosa scegliereste? Tanti di loro sono intellettuali e laureati. Tutti sono professionisti qualificati. L’Europa deve accogliere queste persone. È un continente a natalità quasi zero. Non si tratta solo di essere umani e aiutare chi è in difficoltà. All’Europa queste persone servono.


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