Economia & Impresa sociale 

Bcc, in attesa della riforma delle banche di credito cooperativo se ne discute a Roma

Per Rainer Masera «la riforma, così come ipotizzata, rischia di far scomparire la biodiversità bancaria bancaria e le piccole e medie banche che svolgono un ruolo critico nel sostenere l’economia reale, l’occupazione e la crescita»

di Monica Straniero

È in arrivo il decreto di riforma Bcc che dovrebbe recepire i capisaldi dell’autoriforma elaborata da Federcasse, l’associazione che raggruppa le 379 Bcc presenti nel paese. Il provvedimento prevede la creazione di una holding capogruppo con sede nazionale per il settore delle banche corporative al fine di aggregare fra loro micro istituti e facilitare efficienza ed economie di scala. Le singole Bcc avranno tempo 90 giorni per aderire alla capogruppo attraverso un patto di coesione. Il senso della riforma spinge sulla necessità di rafforzare il patrimonio e migliorare una governance che si è dimostrata poco efficace nell'impedire i conflitti d'interesse. Questo per garantire al credito cooperativo di affrontare i cambiamenti sempre più convulsi del sistema bancario.

Ma al di là delle buone intenzioni, come preservare i principi della mutualità e della solidarietà propri della tradizione del credito cooperativo? È questo il tema del seminario che si è svolto a Roma per iniziativa della Fondazione Capriglione e l’Università Luiss. Le Bcc, sono rimaste un punto di riferimento nel territorio e specialmente negli ultimi anni di crisi hanno di più aiutato e sono più state vicine alle Piccole e medie imprese. I clienti che spesso, nei piccoli e piccolissimi comuni, affidano i propri risparmi alla Bcc, sanno che questa utilizzerà quei fondi per migliorare il territorio, il benessere della comunità intera attraverso iniziative non solo economiche, ma anche culturali e sociali.

«Con la nascita del Gruppo Bancario Cooperativo si corre in ogni caso il rischio di snaturare l’identità delle Bcc», sottolinea Capriglione, professore ordinario di “Diritto degli intermediari e dei mercati finanziari” alla Luiss. «Sarebbe quindi preferibile andare verso la costituzione di più holding regionali che a differenza della Holding unica, resterebbero comunque più fedeli alla loro natura di "banche locali”, legate al territorio. La riforma dovrebbe pertanto rispettare i principi e le peculiarità che hanno sempre caratterizzato le banche cooperative. Peraltro l’idea di costituire un gruppo unico obbligatorio perché in questo modo con le banche sane si riescono a salvare quelle in difficoltà, potrebbe indurre gli istituti più virtuosi ad uscire dalla categoria e trasformarsi prima in popolari e poi in spa». Il decreto prevede tra l’altro che il patto di coesione si applichi in base al grado di rischiosità delle banche. Secondo Capriglione «il potere che il legislatore dirigista potrebbe riconoscere allo capogruppo di nominare o revocare la maggioranza dei consiglieri di amministrazione delle singole banche, nel caso di cattiva gestione, si configurerebbe come una modalità di intervento di stampo capitalista».

Per il Prof. Rainer Masera, esperto di problemi bancari e finanziari, non c’è dubbio che le banche di credito cooperativo debbano disporre di migliori presidi di attività liquide sicuramente realizzabili, e che l’intreccio tra banche locali e Pmi vada smussato, ma sottolinea che le famiglie e le imprese italiane hanno bisogno delle banche di territorio che rimangono la principale fonte di credito. «La riforma, così come ipotizzata, rischia di far scomparire la biodiversità bancaria e le piccole e medie banche che svolgono un ruolo critico nel sostenere l’economia reale, l’occupazione e la crescita». Masera suggerisce quindi un approccio diverso. “Serve una legislazione ad hoc così come avviene negli Stati Uniti con le Community Banks. Mentre in Europa le piccole e medie banche sono impegnate a rafforzare i loro vincoli patrimoniali per adeguarsi alle nuove regole di capitale, negli Stati Uniti le hanno regole più semplificate e di conseguenza continuano a fornire ampio sostegno a famiglie e imprese.

E c’è infine chi si appella alla Costituzione che all’art. 45 riconosce, promuove e tutela la funzione sociale della Cooperazione; quali banche, soggetti che erogano credito e raccolgono risparmio, e all’art. 47 incoraggia e tutela il risparmio e favorisce l’accesso al risparmio popolare. Perché come fanno notare gli autori del saggio, Banche popolari, credito cooperativo, economia reale e Costituzione, “la nostra Costituzione è un grande baluardo per resistere a ulteriori concentrazioni di potere finanziario, per una economia ed una finanza partecipativa dove c’è posto per i grandi e per i piccoli”.


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