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Cooperazione & Relazioni internazionali

Corridoio umanitario, arrivata in Italia la prima famiglia

Yasmine e sua figlia Falak erano visibilmente emozionate e un po' confuse, dopo il viaggio in aereo che oggi le ha portate dal Libano fino a Roma. L'iniziativa, unica in Europa, è stata promossa da a Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese con i Ministeri degli Esteri e dell’Interno

di Vittorio Sammarco

Hanno ringraziato l'Italia, Yasmine e sua figlia Falak, visibilmente emozionate e un po' confuse, dopo il viaggio in aereo che oggi le ha portate dal Libano fino a Roma. Poche parole in Italiano (sorridono cantando "io sono un italiano"…), strette dall'affetto dei propri cari con cui sono giunte oggi in Italia. Sono i primi profughi della guerra in Siria, che arrivano grazie a un corridoio umanitario, senza essere costrette ai “viaggi della morte” nel Mediterraneo.

Con il papà Soleiman, elettricista, e il piccolo Hussein, è una famiglia che lascia la propria terra non solo per paura (dalla martoriata città di Homs) ma per urgenti necessità di cure della piccola. Raggiungono il nostro Paese grazie all’accordo firmato il 15 dicembre scorso da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese con i Ministeri degli Esteri e dell’Interno.

È un progetto, il primo in Europa, rivolto a persone in condizioni di “vulnerabilità” (donne con bambini, anziani, malati, disabili) che attualmente vivono nei campi profughi di Libano, Marocco e, sperano, presto anche dall'Etiopia. A fine percorso saranno quasi un migliaio. Nelle prossime settimana c'è già una lista di 84 persone e nei prossimi mesi altri 500 dai campi del Libano. Ma per Falak non si poteva attendere oltre.

A costo zero per lo Stato ( il progetto è a intero carico delle associazioni con un forte contributo dell'8×1000 ricevuto dalla Chiesa Valdese e le collette raccolte dalla Comunità di Sant'Egidio) con in più il vantaggio della sicurezza e della legalità, ci tengono a precisare i responsabili. Per un anno al momento, ma si spera anche di arrivare a due, le persone accolte saranno impegnate in progetti di formazione e inserimento lavorativo.


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