Politica & Istituzioni

Il dopo di noi? È accoglienza diffusa, senza crociate e senza favori alle lobby

Intervista a tutto tondo con Elena Carnevali, relatrice della legge sul dopo di noi approvata oggi dalla Camera. Che ci spiega le molte novità contenute negli emendamenti, a cominciare da una più esplicita spinta alla de-istituzionalizzazione. E si toglie qualche sassolino rispetto alle polemiche agitate dal M5S, l'unico partito che ha votato contro la legge

di Sara De Carli

Diciotto mesi di lavoro e due giorni di dibattito – a tratti anche acceso – in Aula. Questa mattina la Camera ha approvato la legge per l’Assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, ormai nota a tutti come legge sul “dopo di noi”. La legge dovrà ora passare al Senato. Elena Carnevali (Pd) ne è stata la relatrice. Con lei abbiamo ricostruito i lavori e le novità di queste due giorni.

Si tratta di una buona legge o della migliore legge possibile?
È una legge di responsabilità, che tiene conto delle esperienze particolarmente importanti avviate in passato, penso al lavoro avviato da Livia Turco. La scelta che abbiamo fatto è quella di individuare la platea che in questo momento è più orfana, ovvero la disabilità intellettiva e cognitiva, coniugando i diritti con la sostenibilità economica. Questo è un gesto di grande responsabilità.

Alcune associazioni non sono del tutto soddisfatte…
Tutto è migliorabile, ovviamente. Forse in effetti resta scoperta la questione della vita indipendente, su cui diverse associazioni insistono. Capisco anche l’esigenza di incrementare le risorse disponibili, però dobbiamo essere anche consapevoli che c’è un pezzo di mondo che fino ad oggi non ha ricevuto risposte se non grazie alle famiglie e all’associazionismo e credo ci fosse bisogno di una assunzione di responsabilità pubblica. Questo lo voglio sottolineare dopo il dibattito di ieri in Aula. In questa legge c’è la responsabilità pubblica, ricordando anche che la titolarità della materia sociale spetta alle Regioni e ai Comuni. È una legge per le persone, non per i muri, che dà sostegno alla domiciliarità, che vuole invertire la tendenza tutta italiana che ha visto nelle residenze sanitarie l’asse portante per residenzialità degli adulti con disabilità.

Ci sono novità dagli emendamenti approvati in Aula?
Ce ne sono, abbiamo approvato emendamenti sull’amministratore di sostegno, rafforzato l’idea che il progetto di vita delle persone è una cosa dinamica, che muta nel tempo, che deve tener conto anche della capacità di autodeterminazione della persona con disabilità e che è tutta una collettività che si deve fare carico di adempiere al progetto di vita. Una seconda novità di ieri è che è stato tolto qualsiasi riferimento alle strutture residenziali normate dalle normative regionali: questa legge non può dare risorse per fare nuove RSD o strutture con più di 30 posti.

C’è un numero di posti scritto nero su bianco?
No, perché il numero di posti cambia da regione a regione, ma di questo stiamo parlando. C’è un rafforzamento dell’indicazione per la deistituzionalizzazione.

C’è altro?
Abbiamo approvato un emendamento del M5S che sostiene la mutualità tra famiglie, più uno che specifica come i 90 milioni stanziati per il 2016 sono tutti sul Fondo che andrà alle Regioni. Come lei saprà la legge ha tre gambe, una gamba pubblica che è il Fondo che viene ripartito tra le Regioni sulla base degli obiettivi di servizio per arrivare in futuro a dei LEP, più altre due gambe che coprono le agevolazioni previste per chi stipula assicurazioni e per i trust. Qui apro una parentesi, perché c’è stato un dibattito molto acceso su questo, ma che cosa c’è di male nel fare in modo che – come ci hanno chiesto le famiglie stesse – chi ha disponibilità proprie, sussidiarie al pubblico, e le impegna su questo, abbia delle agevolazioni? Non è vero che noi mettiamo soldi pubblici sotto contro del privato. Le agevolazioni fiscali comunque entrano in gioco dal 2017 e poiché a nostro parere potranno esserci risparmi rispetto a quanto previsto dalla relazione economica su questi due capitoli, l’emendamento all’articolo 8 che abbiamo approvato stabilisce che la Relazione alle Camere debba contenere non solo la valutazione dei progetti ma anche la verifica di quante risorse sono state effettivamente utilizzate per le agevolazioni collegate alle assicurazioni e ai trust in modo che eventuali risparmi torni al pubblico, al famoso primo fondo. Non è una quisquilia.

Il M5S nella sua dichiarazione di voto ha detto che la stima è di sole 1.430 persone che beneficeranno di questi strumenti finanziati privatistici, definendoli «un bel regalo ma per pochi, poiché tutte le statistiche confermano che le famiglie in cui sia presente una persona con disabilità grave sono quelle a maggiore rischio di povertà». È così?
Noi siamo convinti che nella relazione siano sovrastimati i potenziali utilizzatori delle agevolazioni legate alle polizze assicurative, agevolazioni che comunque sono una cosa positiva, mentre siano sottostimati gli utilizzatori del trust. Ricordiamoci tuttavia che il trust rispetto alle risorse economiche in campo porta via una parte residuale, circa 6-10 milioni di euro.

Quindi, ricapitolando, per il 2016 ci sono 90 milioni tutti per il Fondo. Per il 2017 come sarà il riparto?
Sarà calcolato in maniera diversa in base a quanto verrà utilizzato per la copertura delle agevolazioni all’articolo 5 e 6, ma ripeto, cono convinta che ci saranno notevoli risparmi.

Concretamente che scenario diverso si disegna con questa legge? Che risposte concrete dà la legge alle famiglie?
La cosa più importante è che offriamo una prospettiva di serenità alle famiglie, che è l’obiettivo primario. La legge segna un cambio di direzione da parte del pubblico: non possiamo lasciare alle sole famiglie la responsabilità della qualità della vita delle persone con disabilità. Non posso non pensare alle tante esperienze che ho visto in questi mesi in giro per l’Italia, in particolare all’esperienza bergamasca, io vengo da lì: a Bergamo anche grazie a una fondazione stanno aprendo in tutti i quartieri degli appartamenti o gruppi appartamenti dove le persone con disabilitò possono vivere dentro la società.


Lei in Aula ha parlato di una legge «che apre la strada all’accoglienza diffusa, ora le istituzioni locali non hanno più scuse». Oggi in Italia la stragrande maggioranza degli adulti con disabilità vive in grandi strutture (l’86% dell’offerta è in strutture con più di 30 posti) mentre solo il 3,7% vive in realtà alternative. Quanto concreta sarà la svolta verso la de-istituzionalizzazione?
In tanti territori si stanno sperimentando da tempo una tipologia di residenze che noi non abbiamo voluto definire con un nome, ma che consentono alle persone di continuare a vivere nei contesti che conoscono, dove hanno le loro relazioni amicali. Forse quell’«analoghe strutture» ha fatto pensare che questa legge andava a finanziare in particolare le residenze sanitarie o sociosanitarie per disabili, ma non è così. Ci stiamo avvicinando al modello di queste realtà diverse, più familiari. Da un lato quindi c’è un impegno a sostenere i progetti di vita indipendente al domicilio, come chiedono anche una parte delle associazioni. D’altra parte però conosco anche casi di grande solitudine dentro la propria casa e la propria famiglia. Qui noi non dobbiamo fare una crociata contro le strutture: in alcuni casi hanno una loro funzione e quella può essere la risposta. Il problema vero è che attualmente noi alle persone non consentiamo il diritto di scegliere perché l’unica scelta possibile è questa. Noi con questa legge facciamo in modo invece che le persone con disabilità grave scelgano a seconda della condizione che è preferibile per loro e per il loro progetto di vita. Dobbiamo dare l’opportunità di scelta, perché oggi di fatto o c’è residenza o c’è la famiglia o c’è la badante, stop.

Alcune associazioni infatti hanno anche sottolineato anche che l’istituto non è sempre e di per sé sinonimo di segregazione.
È vero, in molte situazioni ci sono progetti di ottima qualità. Ripeto, non è una crociata. Il problema è quando quella è l’unica risposta possibile. D’altra parte nemmeno “stare a casa mia” deve o può essere la risposta per tutti: occorre guardare alla complementarietà del bisogno. Questo in effetti è un tema molto importante e delicato: la vita indipendente si realizza per le persone che hanno la capacità di autodeterminarsi, di decidere banalmente cosa fare durante la giornata, ma per chi non ce l’ha siamo sicuri che vivere in famiglia, in casa, da solo sia la soluzione che garantisce la migliore qualità della vita?

Il punto più caldo del dibattito, anche in Aula, è stato il trust. È o non è un favore alle assicurazioni e ai privati?
La cosa più irragionevole della discussione è dire che questa legge introduce in Italia il trust: ma il trust già esiste, non lo inventiamo noi. In Commissione anzi abbiamo introdotto criteri più cogenti per il trust in favore di persone con disabilità, peraltro anche su proposta del M5S: che sia pubblico, che venga indicato chiaramente chi sono i soggetti coinvolti, i ruoli, il progetto, che i beni siano ad esclusivo beneficio della persona individuata, gli obblighi del trustee… Poi abbiamo introdotto l’esenzione dalle imposte di successione e dall’imposta di boll e aumentato le agevolazioni sulle donazioni liberali (il 20% del reddito imponibile, fino a 100mila euro): questo perché siamo convinti che il trust posano essere anche collettivi, non solo personali. Mettiamo insieme le risorse, con mutualità: ad esempio questo valorizza il caso in cui una famiglia ha più risorse ma ritiene un valore anche l’amicizia fra due persone con disabilità.

È vero che queste agevolazioni sussistono anche dopo la morte della persona con disabilità?
Non è vero, basta leggere i testi, è lapalissiano. Il M5S ha un accanimento nei confronti del terzo settore e dell’associazionismo che mi rammarica. Aver agevolato le famiglie rispetto a loro risparmi e patrimoni credo sia un valore di pregio, non un favore alle lobby.

Ripensando al lavoro di questi 18 mesi, come è stato? Sui territori e con i colleghi.
Ha conosciuto un’Italia che non aspetta lo Stato e al contrario sa promuovere una direttrice di marcia. Questi 18 mesi mi hanno permesso di conoscere moltissime esperienze positive, ho girato moltissimo, però ho visto anche cose che i nostri occhi non dovrebbero più vedere, luoghi con 120 persone dai 18 ai 65 anni in luoghi fatti esattamente come un reparto ospedaliero di 20 persone, da cui nessuno esce mai. Noi volgiamo che questo non esista più.

Foto SEBASTIEN BOZON/AFP/Getty Images


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