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Le femministe e la Carta per cancellare la maternità surrogata

Si sono radunate al Parlamento francese da tutto il mondo per chiedere la messa al bando « una pratica sociale ingiusta e che lede i diritti fondamentali dell’essere umano». Tra le organizzatrici la filosofa Sylviane Agacinski e la deputata socialista Laurence Dumont

di Lorenzo Maria Alvaro

«Chiediamo alla Francia e agli altri paesi europei di rispettare le convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino di cui sono firmatari e di opporsi fermamente a tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata sul piano nazionale e internazionale. Noi chiediamo inoltre, in nome dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani, che essi agiscano con fermezza per abolire questa pratica a livello internazionale, in particolare promuovendo la redazione, l’adozione e l’efficace messa in pratica di una convenzione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata».

Così recita il documento firmato, a Parigi nella prestigiosa sede dell'Assemblea nazionale francese, dai rappresentanti di associazioni femministe di vari Paesi di tutto il mondo e la partecipazione del CoRP (Collectif pour le Respect de la Personne), della CADAC (Coordination pour le Droit à l'Avortement et à la Contraception) e della CLF (Coordination Lesbienne en France).

Un’assise che ha radunato femministe di ogni orientamento sessuale, ricercatrici, giuriste, medici, attiviste e attivisti per i diritti umani.

L’obbiettivo è molto semplice: rendere fuorilegge la pratica della Gestazione Per Altri, più comunemente dell'utero in affitto, a livello internazionale. Proibire dovunque «una pratica sociale ingiusta e che lede i diritti fondamentali dell’essere umano».

Nasce così la «carta per l’abolizione universale della maternità surrogata».

Una delle anime della proposta, la filosofa Sylviane Agacinski (moglie dell’ex premier Lionel Jospin) ha sottolineato che si tratta di una battaglia per «impedire che, come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestatrici di un servizio: sessuale, o materno. Il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico. La madre surrogata non è forse madre genetica ma è senza dubbio anche lei una madre biologica, tenuto conto degli scambi biologici che avvengono per nove mesi tra la madre e il feto. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato».

La geografa indiana Sheela Saravanan ha parlato della dimensione «colonialista» del ricorso alle madri surrogate nei Paesi emergenti: coppie ricche del Nord del mondo sfruttano le sacche di povertà del Sud «per esercitare un inesistente diritto al bambino». Anche per questo i promotori insistono sulla necessità che l’abolizione sia prima europea poi universale: inutile vietare la maternità surrogata in un Paese, se è possibile accedervi in un altro.

Molto interessante, almeno visto dall’Italia dove invece di proposte concrete come quella francese, siamo ancora fermi ai niet contrapposti tra fazioni, la posizione dell’eurodeputato verde José Bové che, nel sostenere questa moratoria sull’utero in affitto, ha attaccato gli oppositori all’adozione degli omosessuali: «Insistere sul fatto che ogni bambino debba avere un padre e una madre ne fa gli alleati oggettivi della maternità surrogata».

La deputata socialista Laurence Dumont, vice-presidente del Parlamento francese e in prima fila in questo impegno ha sottolineato come «nonostante le prese di posizione contrarie e molto chiare di tutte le autorità in materia, le lobby delle industrie biotecnologche esercitano una pressione tremenda. Dalla California alla Russia la procreazione medicalmente assistita rappresenta un grosso affare economico. Le agenzie comprano e vendono ovociti e spermatozoi, ma quello che più manca alla loro catena di produzione è la disponibilità del ventre femminile. E allora si rivolgono a donne molto fragili, reclutate su un grande mercato che possiamo qualificare come neocoloniale».

Per l’Italia c’è Daniela Danna, ricercatrice in Sociologia presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche di Milano, autrice per altro di un importante libro che non è stato tradotto in italiano, “Contract Children. Questioning Surrogacy”. Danna nel libro scrive «la relativa disumanizzazione delle madri ridotte a lavoratrici/fattrici su commissione (…) non è l’unico modo di essere aiutati nella propria incapacità a procreare, possono anche esserci accordi informali con una donna che si presta a fare un figlio per altri, accordi gratuiti e volontari che le leggi non possono abolire non dovendoli approvare (…). La maternità surrogata nella sua forma oppressiva richiede istituti giuridici appositi (come minimo l’approvazione del contratto di compravendita di neonati) e l’invalidazione del principio legale mater semper certa est in base al quale la madre è la donna che partorisce (e chi altri potrebbe esserlo alla nascita? le madri sociali vengono dopo). Dunque ha senso parlare di abolizione (o non introduzione) degli istituti giuridici che legalizzano la vendita di neonati».

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