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Ogni anno l’UE perde tra i 50 e i 70 miliardi di tasse non pagate

L'importo è cinque volte la spesa per gestire la crisi dei rifugiati. I rischi di elusione da parte delle multinazionali sono in crescita ovunque. Il 28 gennaio la Commissione europea ha emanato l’anti Tax Avidance Package, un insieme di proposte per porre rimedio al problema

di Monica Straniero

Le imposte sui redditi personali e d’impresa restano la fonte più importante di entrate utilizzate per finanziare la spesa pubblica. Si stima che la somma totale di imposte non pagate dalle multinazionali che hanno spostato i loro profitti verso luoghi dove vengono tassati molto poco o non vengono tassati affatto, sia pari al Pil annuo di Stati Uniti e Giappone messi insieme. Eppure le grandi aziende continuano a eludere o a evadere il fisco grazie anche alle molte scappatoie legali che esistono negli ordinamenti tributari nazionali. Un recente rapporto di Eurodad, un gruppo di 46 Ong, impegnate nella lotta per un sistema economico e finanziario globale più equo, ha evidenziato che nell’UE esistono leggi e regolamenti che lasciano spazio ad un ampio ventaglio di possibilità di elusione per le imprese multinazionali. Il risultato? Il tax dodging delle imprese multinazionali mette a repentaglio la giustizia sociale e lo sviluppo sia nei paesi sviluppati sia, e in particolar modo, in quelli in via di sviluppo.

Il primo sforzo globale per combattere l’elusione delle imposte da parte delle grandi aziende è stata fatta nel 2013. L'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione economica, e il G20 hanno messo a punto un sistema, l’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, meglio noto con l’acronimo inglese BEPS, per contrastare le pratiche fiscali aggressive di alcune società operanti su scala globale. Secondo le stime dell'OCSE, dal 2013 circa 500 miliardi di euro sono stati sottratti illegalmente al Fisco internazionale dalle grandi multinazionali. Un progetto ambizioso che si propone di rivoluzionare completamente le regole del Fisco mondiale, ma che secondo alcuni rappresentanti della società civile non mira veramente a cambiare le basi della tassazione internazionale quanto piuttosto mettere le toppe alle regole attuali.

Intanto il 28 gennaio la Commissione europea ha emanato l’anti Tax Avidance package, un insieme di proposte volte a favorire lo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri sui loro ruling fiscali, al fine impedire che le grandi società sfruttino la complessità delle norme fiscali e la mancanza di cooperazione tra gli Stati membri per spostare artificialmente gli utili verso giurisdizioni a basso carico fiscale. La Commissione è stata chiara: le aziende devono pagare la loro giusta quota di tasse, nel paese dove effettivamente viene svolta ogni attività. Tra le altre proposte per scoraggiare la delocalizzazione fiscale ci sono anche l’individuazione esatta dei paradisi fiscali e l’introduzione di una «exit tax» a carico di chi vuole spostare sede all’estero.

In particolare, a essere finite nel mirino della Commissione i giganti dell’era digitale, le cosiddette web company, come Google, Apple, Facebook, eBay e Amazon. Società che più di tutti riescono in maniera legale, a dichiarare cifre irrisorie in Paesi in cui realizzano consistenti ricavi. “I giorni sono contati per quelle aziende che non pagano le tasse a danno dello stato sociale. Perdiamo infatti 50-70 miliardi di gettito all'anno per le tasse sulle imprese, cinque volte quanto costano i flussi migratori. Denaro che potrebbe essere utilizzato per scuole e ospedali”, ha osservato il Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici.

L’insofferenza dell’opinione pubblica nei confronti delle scappatoie fiscali delle grandi web company, è esplosa dopo lo scandalo LuxLeaks sui favoritismi fiscali alle multinazionali. Che adesso per recuperare credibilità e reputazione agli occhi dei consumatori, stanno cercando accordi con i singoli governi per versare le tasse non pagate. In Italia, mentre Apple ha pagato 318 milioni di euro al fisco per chiudere una contestazione di 879 milioni di euro, Google è al centro di un’indagine per una presunta evasione di circa 227 milioni di euro tra il 2009 e il 2013, tramite la sua controllata irlandese Google Ireland ltd.. Tuttavia, Gran Bretagna, Austria, Lussemburgo e Olanda, che hanno legislazioni più permissive sono tra i paesi ferocemente contrari ai piani della Commissione europea. Il punto dolente rimane infatti la concorrenza fiscale “dannosa” tra gli stati, ovvero la concessione di privilegi fiscali per attirare le multinazionali straniere.

Diverse organizzazioni non governative, come Christian Aid, ActionAid, Oxfam e Global Alliance for Tax Justice sostengono che il pacchetto presentato dalla Commissione è del tutto inadeguato per arginare la tendenza delle multinazionali a eludere o evadere le imposte. “Il sistema ha bisogno di una vera riforma, non di soluzioni frammentarie. Per favorire una maggiore trasparenza fiscale nell'UE e un approccio comune alla tassazione dei redditi d’impresa, l’Unione europea deve rendere pubbliche le informazioni su quanto pagano di tasse le grandi aziende ", ha detto Tove Maria Ryding, di Eurodad.


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