Famiglia & Minori

Quel rimpianto sui miei Dico e l’immobilismo di chi difende la famiglia

Parla il giurista Alberto Gambino, referente della presidenza del Consiglio del Governo Prodi e anima del ddl “Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi” affossato dal primo Family Day

di Lorenzo Maria Alvaro

In queste settimane di dibattito sulle unioni civili e sul ddl Cirinnà più volte è stata evocata la sigla Dico, con una vena di nostalgia. Per i più è solo una dei tanti disegni di legge che non hanno poi trovato la via dell’approvazione. Ma per il giurista Alberto Gambino questo ricordo nostalgico non può che suonare molto ironico. Questo perché sul ddl Dico, “Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi”, che vide il professore in prima linea, si scatenò un confronto molto simile a quello di oggi. Quella proposta naufrago sotto i colpi del primo Family Day, quello organizzato dalla Cei.

Professore ci rinfreschi la memoria. In cosa consistevano i Dico?
Bisogna ricordare che all’epoca la coalizione di Governo era l’Unione di Prodi al cui interno c’erano tanti partiti politici che andavano dal centrista Mastella fino alla sinistra e i radicali di Emma Bonino. Per questo dentro a quella grande coalizione si cercò di trovare una sintesi sul tema delle unioni civili. Sintesi che trovammo decidendo di scrivere un ddl sui diritti e doveri dei conviventi senza toccare il legame tra questi. Questo perché l’istituzionalizzazione di un legame tra due conviventi entra per forza in conflitto e contrapposizione con il matrimonio.

Una proposta che sembrò scontentare tutti, dai cattolici più rigidi a Emma Bonino e i suoi radicali…
Sintomo questo del fatto che era veramente una buona mediazione. Avevamo trovato un punto di equilibrio. Soluzione che di solito scontenta gli estremi.

Senza entrare nel legame tra i conviventi, quindi senza atti formali simili al matrimonio, come si risolse il problema di stabilire chi conviveva realmente?
Trovammo la piattaforma giuridica più idonea che era l’anagrafe. Chi aveva la residenza sotto lo stesso tetto era evidentemente convivente. Tutto infatti era giocato sul tempo di convivenza. Il ddl sui Dico prevedeva l’introduzione di alcuni diritti tra conviventi dopo un dato lasso di tempo di convivenza.

L’accusa che vi veniva mossa però era quella di una legge pensata per regolare i rapporti omosessuali…
In realtà era una legge che guardava a tutte le convivenze. Poi c’era certamente un salto di qualità rispetto al more uxorio. Nel senso che fino a quel momento la convivenza presa in considerazione dalla legge era solo tra uomo e donna.

Ci fu comunque un momento in cui si consumò una rottura che portò alle proteste di piazza?
Sì, nella fase finale dei lavori si inserì nell’art. 1 una serie di riferimenti davvero un po’ ideologici sull’affettività, intesa sullo sfondo come omoaffettività, messo ad arte per riconoscere che questa legge era pensata soprattutto per le coppie omosessuale. Secondo me fu un errore che fece scattare il no della Cei e poi il Family Day.

Contrasto che a rileggere le dichiarazioni di allora fu veramente molto duro. Bagnasco ad esempio disse: «Se l'unico criterio diventa quello dell'opinione generale perché dire no, oggi a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell'incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?»…
Sono dichiarazioni legate ad un altro contesto storico. Recentemente però Ruini, in un’intervista sul Corriere, ha detto che in effetti i Dico presentavano meno criticità di quanto non rappresentino oggi le Unioni Civili di oggi. Tuttavia in entrambi i casi ci troviamo davanti a dei testi che possono rappresentare uno scivolo verso lo sgretolamento della famiglia.

Eppure tra i due ddl ci sono enormi differenze…
La grande differenza che tra Dico e Unioni civili è che per modificare i primi ci voleva necessariamente un’altra legge, sulle seconde bastano delle sentenze. Cioè per fare diventare il dico un legame ci voleva una decisione politica e un iter parlamentare. Invece le unioni civili sono già un’unione.

In sostanza il ddl Cirinnà, come in tanti sostengono, è un matrimonio gay camuffato?
Non è un’idea ma un fatto dimostrabile. La Cirinnà è una legge che si compone di più parti. Quella che parla del legame nasce dalla trasposizione dei ddl sul matrimonio egalitario che già c’erano in Parlamento a firma Manconi. È quindi evidente che si parla di parificazione al matrimonio.

Al tempo il Governo in qualche modo ammonì i contestatori chiarendo che se non fossero passati i Dico sarebbero arrivate proposte peggiori nel futuro. Una previsione che ha fatto centro?
Il fatto che ieri siamo stati messi nel mirino e oggi veniamo ricordati con nostalgia mi sembra emblematico. Ma mi lasci dire che il punto è un altro…

Prego…
Non c’è stata la forza di proporre un’alternativa credibile. E questa è una colpa delle aree che sono molto sensibili al tema del matrimonio. La mancanza di proposte, l’assenza dai tavoli decisionali e le battaglie sulle barricate con posizioni di retroguardia sono una colpa. Rimanere al di fuori dei processi, stando alla finestra, per poi intervenire solo per smontare il lavoro fatto non serve a nessuno. La storia dei Dico lo dimostra ampiamente.


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