Politica & Istituzioni

Se la legge ha molti limiti è perché i parlamentari ignorano il Piano Disabilità

Sergio Silvestre, presidente di CoorDown e membro dell’Osservatorio Nazionale Disabilità, ci invia una riflessione sulla legge sul Dopo di Noi appena approvata dalla Camera. «Un testo che scontenta tutti, da correggere in Senato, ma gli errori e le criticità erano tutte state segnalate in sede di Osservatorio, l'organismo istituzionale che ha il compito di fornire pareri qualificati al legislatore»

di Sergio Silvestre

Mi fa sorridere l'atteggiamento dei nostri parlamentari, che purtroppo vivono il loro mandato come dei cowboys chiusi in un recinto palizzato, pronti a difendere il loro fortino dagli attacchi "indiani" pentastellati. A ben leggere i commenti di questi giorni, all'indomani dell'approvazione in prima lettura della nuova legge su dopo di noi, sembra che alla fine non ci sia nessun vincitore: il testo non soddisfa quasi nessuno e credo che neanche chi si è premurato di scriverlo ne sia più di tanto convinto. Tutto rimandato al secondo round al Senato, dove ci si aspetta che si raddrizzi il tiro.

La cosa che mi infastidisce però e che tutte le analisi critiche mosse dalle maggiori associazioni nazionali delle persone con disabilità erano state già a suo tempo mosse in sede "istituzionale" ma sono restate lettera morta, poiché la commissione non le ha minimamente prese in considerazione.

Nell'Osservatorio Nazionale Disabilità, organismo rappresentativo istituzionale dove lavorano fianco a fianco associazioni, parti sociali (sindacati, Confindustria ecc.), rappresentanti dell'UPI, Anci, Conferenza Stato Regioni, INPS, ISTAT oltre ai dirigenti dei principali dicasteri coinvolti sul tema della disabilità (MIUR, Pari Opportunità, Funzione Pubblica e Presidenza del Consiglio), da anni ci ritroviamo – anche 2 volte al mese e senza nessun tipo di compenso – a discutere, proporre, analizzare temi ed argomenti utili al legislatore nel momento in cui poi si devono adottare provvedimenti come quello sul dopo di noi. In fase di discussione, alcuni parlamentari hanno fatto riferimento al Piano Biennale sulla disabilità, che è poi il frutto del lavoro condiviso dell'Osservatorio, all'interno del quale c'erano tutti gli elementi necessari per poter scrivere una legge adeguata alle esigenze: piano che tra l'altro è stato approvato all'unanimità da tutto il Parlamento.

Per evitare questi insopportabili riti della politica basterebbe che le commissioni permanenti, che hanno proprio il compito di preparare i testi di legge, si confrontassero preventivamente almeno con gli organismi istituzionalmente proposti a fornire loro contributi e supporti, come è nel caso dell'Osservatorio. Se la commissione parlamentare avesse recepito i vari suggerimenti che come Osservatorio avevamo mandato, si sarebbero risparmiati almeno la figura di dover rimediare alla riscrittura del titolo: glielo avevamo già segnalato a settembre 2015, così come avevamo suggerito di migliorare alcuni punti poco chiari, ma soprattutto avevamo sollevato tutte le perplessità emerse, sempre in sede di Osservatorio, sulla necessità di trattare la questione del trust separatamente, oppure affrontarlo nel suo complesso rispetto ad altri strumenti analoghi già presenti ormai da anni nel nostro ordinamento primario, in particolare la sostituzione federcommissaria e i vincoli di destinazione d'uso, già defiscalizzati e chiaramente disciplinati dal Codice civile.

Sulla questione dei trust vorrei soffermarmi, perché ritengo che siamo di fronte ad una bella e buona forzatura. Se lo strumento è ritenuto così valido, non vedo perché allora non lo si voglia disciplinare come tutte le altre norme di diritto, attraverso l'inserimento nel Codice civile: sarebbe il posto giusto, perché poi se ci dovessero essere abusi o contestazioni, ricorrere ai giudici, in assenza di norme di diritto chiare o armonizzate tra loro, diventa una corsa ad ostacoli con risultati incerti. Attualmente il riconoscimento giuridico interno del trust scaturisce dalla ratifica, da parte del nostro Paese, della Convenzione de L’Aja del 18 luglio 1985, nulla di più. La Convenzione afferma che il trust è regolato dalla legge scelta dal disponente e qualora una legge non conosca il trust si applica la legge con la quale ha collegamenti più stretti, collegamenti che devono intendersi il luogo di amministrazione del trust o l’ubicazione dei beni, o la residenza o domicilio del trustee o, in relazione allo scopo, il luogo ove esso deve esser realizzato. Quindi, di fatto, poco più che un contratto definito dalle parti.

Vorrei solo qui ricordare che sul tema del trust, il Parlamento ha tentato più volte di legiferare (ricordiamo ancora l'acceso dibattito sul blind trust naufragato miseramente perché ritenuto risolutivo solo per questioni ad personam) senza per questo approdare una proposta che quanto meno lo riconoscesse ufficialmente nel nostro Codice civille. Anche in quel caso il Parlamento volle comunque salvaguardare scopi meritevoli di tutela inserendo, in alternativa al blind trust nel 2006 il vincolo di destinazione d'uso defiscalizzandolo, limitandolo ai soli beni registrati così come previsto dal'art. 2645-ter del Codice civile. Qualche malizioso potrebbe pensare allora che oggi si voglia utilizzare questa legge per piazzare intanto un "cavallo di troia", per poi estendere successivamente questo strumento ad altre possibilità di intervento. Ma allora perché non affrontare una volta per tutte il tema? Famosa la frase del Cardinale Mazarino: "a pensar male si fà peccato ma ci si azzecca".

Nel 2004 inoltre è stato introdotto nel nostro ordinamento un nuovo strumento giuridico, l'amministratore di sostegno. La norma inserita allora non tenne conto però di tutti gli agli altri aspetti, le competenze e l'armonizzazione con norme presenti in tema di diritto di famiglia, successione, legati, federcomesso, ecc. motivo per il quale, a distanza di 12 anni, è attualmente in discussione, presso la Commissione Giustizia, la revisione di molte norme del Codice civile che dovranno essere modificate e in alcuni casi anche eliminate quanto prima. Questa potrebbe essere l'occasione giusta – in occasione del "tagliando" normativo su temi comuni – per il riconoscimento nell'ordinamento primario di norme così importanti che riguardano la tutela e gli interessi non solo delle persone con disabilità ma anche di quelle persone prive in tutto o in parte di autonomia. Staremo a vedere.

foto Ramirez/Getty Images


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