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Tante maestre sbagliano lavoro, ma nessuno le ferma

In pochi giorni le cronache hanno riportato notizia di maltrattamenti in asili nido, scuole dell'infanzia, centri per persone con disabilità. Per il pedagogista Daniele Novara il problema centrale è il «reclutamento, assolutamente inconsistente». Chi svolge un ruolo educativo deve saper fare i conti con la propria emotività e gestire un gruppo: «questo però nessuno lo verifica, nemmeno nel concorso in arrivo»

di Sara De Carli

«Pisa, maestra arrestata: violenze sui bimbi dell'asilo nido»; «Pavullo, bimbi maltrattati all'asilo»; «Roma, violenze e umiliazioni su minori disabili. Arrestati dieci dipendenti di un istituto». Sono solo tre titoli di articoli online, tre fatti distinti accaduti negli ultimi giorni. Su change.org, per reazione, si moltiplicano le petizioni per chiedere l'installazione di telecamere attive H24h nelle strutture che accolgono minori e disabili. Ma qual è davvero il problema? Lo abbiamo chiesto a Daniele Novara, pedagogista, fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, "regista" di innumerevoli "scuole genitori".

Leggiamo spesso di maestre di asilo nido e scuola dell'infanzia, ma anche di educatori di centri per persone con disabilità, che maltrattano le persone loro affidate. Qual è il problema?

I problemi sono molteplici, quello principale è che da anni ormai tutto il settore educativo è stato trascurato al punto da creare situazioni sconcertanti dal punto di vista organizzativo e nella gestione del personale, che è la cosa più delicata. In questo quadro c’è la possibilità – dico possibilità – che persone inadeguate scelgano questo tipo di professione un po’ per ripiego, senza rendersi conto che è un lavoro molto difficile perché ti coinvolge profondamente sul piano emotivo, della tua storia personale, delle proiezioni che si fanno nei confronti delle persone che hai di fronte: disabili, bambini piccoli, adolescenti… persone che sono portatori di carenze e fragilità. L’educatore inadeguato non accetta le carenze dell’alunno ma le vuole eliminare e per eliminarle aggredisce letteralmente la persona che ha dinanzi.

Lei ha parlato di una «totale inconsistenza del sistema di reclutamento di insegnanti e educatori». Vede quindi un problema comune a asili nido, scuole dell’infanzia e centri per persone con disabilità?
È necessario distinguere pubblico e privato, il pubblico ha un sistema di reclutamento che possiamo criticare ma ha sue caratteristiche, mentre nel privato c’è solo la scelta del gestore. In Italia moltissimi nidi sono affidati al privato o al privato sociale, dove non esistono criteri di selezione del personale omogenei, posso trovare eccellenze e posti disastrosi. La seconda cosa è che lo stipendio di un operatore di nido si aggira sui mille euro, lei capisce che è probabile, succede, è facile che con un riconoscimento così basso questo lavoro non sia la prima scelta dei giovani migliori. Quindi c’è un pericolo. Eppure i danni grossi si fanno proprio sui bambini piccoli, sono danni irreversibili, è incomprensibile che un prof delle superiori prenda 1.700 euro e un’educatrice del nido 1.200 euro. In terzo luogo, siamo in una situazione molto pericolosa perché i tagli degli ultimi anni sono stati molto pesanti, direi violenti, tanti nidi hanno chiuso: è un momento di fragilità per il sistema.

Lei mette a fuoco due punti su cui non c’è attenzione: per fare questo lavoro serve la capacità di gestire le proprie emozioni/autocontrollo emotivo e il fatto che si debba gestire non tanto i singoli bambini quanto i singoli bambini dentro il gruppo. Come è possibile accertare e valutare queste competenze in fase di selezione del personale educativo?
Quando i genitori vengono da me per sapere come scegliere la scuola dell’infanzia o la scuola elementare, dico di fare un giro e guardare come sono disposte sedie e banchi. Se sono in posizione frontale, siamo nell’Ottocento più buio, se invece lo spazio permette ai bambini di incontrarsi, lavorare insieme e imparare insieme, costruire appartenenza a un gruppo, questo è un segnale positivo. Poi chiedo di fare una domanda agli insegnanti, una domanda trabocchetto: cosa fate se i bambini litigano? La risposta è dirimente sull’emotività della maestra. Se risponde “li fermiamo”, “li puniamo”, “cerchiamo il colpevole”, “da noi non succede, da noi non litigano”, io dico “state alla larga”. Se un’insegnante non è in grado di riconoscere che litigio per i bambini è normale e va in fibrillazione per una cosa normale, figuriamoci che succederebbe dinanzi a un problema serio. Non è complicato. Lo è nella misura in cui la società lascia che chiunque, senza un piano di controllo e verifica, possa gestire un centro educativo e dall’altro perché il sistema di reclutamento pubblico è agghiacciante.

Noi non dobbiamo tutelare solo i nostri figli, ma anche quelli che si affacciano al mondo dell’educazione sbagliando strada, perché queste persone in quel posto dovranno starci fino a 67 anni. Ha presente cosa significa che una maestra di scuola materna ha sbagliato lavoro ma deve stare lì fino a 67 anni? Non è un caso che arrestino tutte maestre sopra una certa età…

La delega della legge 107 sulla buona scuola prevede anche un intervento sulla fascia 0-6 anni, ci sarà un convegno nazionale a Milano tra poco, c’è un concorso in arrivo dove pare che simulazione della lezione peserà molto. Sta cambiando qualcosa o serve fare un passo ancora in più?
La cornice del nuovo piano assunzioni per 63mila nuovi insegnanti è anch'essa agghiacciante. La scrematura sarà basata su capacità logiche, informatiche, lettura del testo e lingua inglese: nessuna valutazione della capacità professionale, nessuna.

Però è prevista la simulazione della lezione…
La lectio è una tecnica medioevale, si chiamava così perché non esistevano i libri, quindi un lettore prendeva il manoscritto e leggeva per tutti gli altri all’Università. Non possiamo – con quello che ci dicono le neuroscienze e dopo Piaget – essere fermi al livello del Medioevo, pensare che la competenza professionale nella costruzione dei processi di apprendimento si possa vedere dal “fare lezione”.

Non possiamo – con quello che ci dicono le neuroscienze e dopo Piaget – essere fermi al livello del Medioevo, alla lectio di cui parla il Ministero, pensare che la competenza professionale nella costruzione dei processi di apprendimento si possa vedere dalla simulazione di come uno “fa lezione”.

Ma con lezione non possiamo intendere anche una lezione diversa da quella frontale?
I candidati da esaminare sono lì da soli, non c’è la classe, non può esser altro che una lezione frontale, non prendiamoci in giro. Invece le persone imparano attraverso le esperienze concrete, operative, la sensorialità, la scoperta, l’affrontare e risolvere problemi. E nel contesto del gruppo, la scoperta dei neuroni a specchio spazza via ogni dubbio su questo. Il Ministero invece chiede la lezione, è scritto. Fra l'altro vorrei sottolineare anche un altro aspetto: noi non dobbiamo tutelare solo i nostri figli, dobbiamo tutelare anche quelli che si affacciano al mondo dell’educazione e sbagliando strada: sono ottimi filologi, che facciano quello. Facciamo attenzione a non confermare sulla strada sbagliata delle persone che sono brave in altri campi, perché queste persone in quel posto dovranno starci fino a 67 anni. Ha presente cosa significa che una maestra di scuola materna ha sbagliato lavoro ma deve stare lì fino a 67 anni? Non è un caso che arrestino tutte maestre sopra una certa età… speravi di andare in pensione, non ce la fai più, quando sei giovane hai energie, resisti vent’anni, trenta, ma dopo non hai più le energie per attenuare il problema. Che esisteva fin dall'inizio.

Quindi non ci stiamo avvicinando a un modello di reclutamento migliore?
Non solo siamo lontani, siamo tornati indietro. L’unica via è mettere le persone alla prova e che questa messa alla prova abbia un feedback reale. L’anno di prova esiste già? Ma con l’anno di prova uno il concorso l’ha già vinto, è già in servizio, è già assunto. Non possiamo permetterci di derogare rispetto alla qualità di chi si prende cura dell’educazione dei figli, perché si prende cura del nostro futuro.

Photo by Mat Hayward/Getty Images for Knowledge Universe


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