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Kafala, la convenzione è in vigore ma l’attuazione è un pasticcio

Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore in Italia la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori. L’Italia però ratificandola ha stralciato dall’originario progetto di legge di ratifica, discusso a lungo in Parlamento, gli articoli che parlano di kafala, l’istituto giuridico che nei paesi islamici “sostituisce” l’adozione. L’avvocato Enrica Dato ci aiuta a fare il punto

di Enrica Dato

Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore in Italia la “Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996”. La ratifica della Convenzione in esame è avvenuta con la legge 8 giugno 2015, n. 101, pubblicata in GU già nel luglio 2015 e lascia aperti numerosi interrogativi, in particolare relativamente alla kafala, ovvero l’istituto giuridico in uso nei Paesi islamici per tutelare e proteggere i minori abbandonati o in difficoltà.

L’Italia infatti, avendo provveduto a questa ratifica con grandissimo ritardo (il Consiglio dell’Unione Europea, con la decisione 2008/431/CE, aveva imposto ai Paesi membri il termine del 5 giugno 2010), si è trovata a dover ratificare la Convenzione in esame con una certa urgenza e, considerato che sulla kafala esistono divergenza di vedute e complicazioni legate al confronto tra sistemi giuridici differenti, il Parlamento ha scelto di approvare per la ratifica un testo di legge “asciutto”, che rimanda al testo della Convenzione. È stato dunque rinviato ad una fase successiva il dibattito parlamentare per l’approvazione di norme volte a disciplinare nel dettaglio la kafala e ad armonizzare gli effetti di tale istituto con le misure di protezione dell’infanzia già esistenti nel nostro Paese.

In base alle norme della Convenzione già in vigore, quando le autorità dei Paesi stranieri prospettano il collocamento dei minorenni presenti sul loro territorio in Italia, all’interno di una famiglia o in una struttura di accoglienza, oppure ancora in “kafala”, prima di emettere tali provvedimenti (che produrranno i propri effetti in Italia), dovranno consultare l’autorità centrale italiana e potranno assumere solo provvedimenti che, in base alle indicazioni ricevute, potranno essere successivamente riconosciuti in Italia. Significa che prima di emettere un provvedimento di kafala con richiedenti che vivono in Italia, visto che l’Italia sarà la residenza “futura” del minore (la kafala è un procedimento che si attiva su istanza delle parti e la competenza è sempre delle autorità del luogo in cui vive il minore), le autorità del Paese terzo devono consultare le autorità italiane; viceversa non possono emettere provvedimenti riconoscibili nel Paese di nuova destinazione. L’autorità centrale scelta dall’Italia è la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Questa procedura di consultazione, prevista nell’art. 33 della Convenzione è volta a garantire a queste decisioni in materia minorile un riconoscimento il più possibile “uniforme” nei vari Stati con il superamento del limite territoriale dello Stato in cui il provvedimento è stato emesso. Un altro importante effetto della Convenzione è lo spostamento della competenza alle autorità di “nuova residenza abituale” del minore già dopo un anno (la Convenzione a questo link, in particolare articoli 5 e 33).

Il punto è che al momento nessuno sa cosa avverrà nel corso di queste “consultazioni” tra Paesi e in particolare quali saranno le “direttive” che l’autorità italiana darà ai Paesi che la consulteranno in base all’articolo 33 della Convenzione. Negli anni passati il Governo italiano ha sempre avuto un atteggiamento di “chiusura” nei confronti del riconoscimento dei provvedimenti di kafala (in particolare il Ministero degli Affari Esteri rispetto alle domande di visto per ricongiungimento), tanto che è sempre stata la giurisprudenza, in seguito ai ricorsi degli interessati, a dichiarare in più pronunce il diritto al visto per ricongiungimento per kafala, che in sede amministrativa era stato negato.

Tutto dipende in questo momento dalla volontà politica. Al momento è in attesa di esame al Senato una proposta di legge (DDL 1552-bis “Norme di adeguamento dell'ordinamento interno alla Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996”) che contiene disposizioni specifiche volte a regolamentare nel dettaglio i presupposti e gli effetti del riconoscimento dei provvedimenti pronunciati all’estero. Questa proposta di legge nasce dallo scorporo di alcuni articoli dal DDL di ratifica originario, che conteneva già anche queste norme di dettaglio.

Al momento quindi siamo nella situazione in cui il Parlamento andrebbe sollecitato rispetto a questi lavori. È il Parlamento che ha la responsabilità di fare in modo che le norme della Convenzione, specie in tema di kafala, vengano rese compatibili con la legge 184/1983 e gli istituti di protezione dei minorenni già esistenti in Italia e soprattutto compatibili con il superiore interesse dei bambini stessi. Un’indicazione in tal senso viene anche dall’ultimo Rapporto del gruppo CRC (2015), autorevole perché proviene da una novantina di associazioni italiane, di cui AiBi-Associazione Amici dei Bambini fa parte. Nel dettaglio, Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini ritiene non condivisibili molti articoli del DDL 1552-bis e ha quindi delle proprie specifiche proposte che hanno come obiettivo quello di privilegiare l’interesse dei minorenni in condizione di abbandono nei Paesi in cui esiste la kafala ma non l’adozione, oltre che a garantire l’uguaglianza fra minori che si trovano sul territorio italiano in termini di diritti ad essi applicabili e riconosciuti. In ogni caso, considerato il principio del superiore interesse dei minori, il prosieguo dei lavori parlamentari è urgente.

Avvocato Enrica Dato, Catania

Foto FAROUK BATICHE/AFP/Getty Image


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