Cooperazione & Relazioni internazionali

Il Sud Sudan è a rischio carestia

Un terzo della popolazione sta affrontando una situazione di scarsità di cibo e insicurezza alimentare: non è ancora carestia, ma senza aiuti umanitari 40mila persone in condizioni di “catastrofe” sono a rischio della vita.

di Donata Columbro

Comincia oggi una serie di approfondimenti sulle crisi dimenticate nel mondo: se dei rifugiati che arrivano alle nostre frontiere si comincia a parlare, molto meno lo si fa di coloro che si spostano e fuggono da guerre e violenze lontano da noi. Paesi come il Sud Sudan, che nel 2015 era al quinto posto tra i paesi di provenienza dei richiedenti asilo nel mondo, dopo Siria, Afghanistan, Somalia e Sudan.

Oggi il Sud Sudan sta affrontando una delle peggiori emergenze alimentari dell’Africa centrale: secondo l’ultimo rapporto della Fao, che riporta i dati dei primi mesi del 2016, più di 2,8 milioni di persone stanno affrontando una situazione di scarsità di cibo e insicurezza alimentare. Si tratta di un terzo della popolazione, che secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), la classificazione riconosciuta a livello mondiale per stabilire la gravità di una crisi alimentare, vive una condizione “allarmante”. La maggioranza di queste persone vive nelle regioni di Unity, Upper Nile e Jonglei.

Lo stato di Unity, nel nord del paese, al confine con il Sudan, è quello più colpito a causa di continui scontri e violenze che costringono la popolazione a spostarsi dai villaggi in cerca di sicurezza: «La popolazione civile vive in condizioni terribili, i tassi di malnutrizione sono allarmanti e la necessità di accesso alle cure mediche non è mai stata così urgente», denuncia Medici senza frontiere.

In Sud Sudan circa il 95 per cento della popolazione del paese dipende dal settore agricolo, dall’allevamento e dalla pesca di sussistenza, ma in questo momento il settore è in crisi. Più di 2,3 milioni di persone sono dovute fuggire dalle proprie case a causa delle violenze che colpiscono il paese dal dicembre del 2013, almeno 762mila sono registrate dall’Unhcr come richiedenti asilo e rifugiati nei paesi confinanti. Gli scontri, l’economia in calo e gli sbalzi climatici stanno peggiorando l’impatto della crisi.

«Il Sud Sudan è in caduta libera», dice un operatore umanitario intervistato da Irin, «ma al resto del mondo non importa perché i rifugiati sud-sudanesi non arrivano alle coste dell’Europa».

Non si parla ancora di “carestia”, ma gli osservatori internazionali avvisano che la situazione potrebbe peggiorare in una crisi di livello nazionale per l’assenza di accesso umanitario e assistenza.

«A Thonyor, nel nord del paese, Medici senza frontiere ha esaminato 322 bambini di cui il 4 per cento sono risultati gravemente malnutriti. La situazione è particolarmente preoccupante a Kak, dove il 5,6% dei 515 bambini sottoposti a screening sono gravemente malnutriti», denuncia Federica Nogarotto, direttore supporto alle operazioni di MSF Italia. «Questi bambini hanno urgente bisogno di cure mediche e nutrizionali costanti. Senza assistenza alimentare, loro e molti altri probabilmente non sopravvivranno».

In più, è arrivata pochi giorni fa la notizia dell’approvazione di una legge che limita il personale straniero delle ong nel paese, con l’obbligo di riservare l’80 per cento dei posti ai sudsudanesi. Un’evoluzione della cooperazione internazionale che dovrebbe avvenire con gradualità, per avere il tempo di formare il personale e gestire la transizione. Un’imposizione di questo tipo, secondo le ong, potrebbe invece peggiorare la situazione per una popolazione in stato di emergenza: a oggi meno di un quinto della popolazione degli stati in crisi è raggiunta dagli aiuti alimentari dalle organizzazioni umanitarie.


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