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Jean Ping: il Gabon non è più un eldorado africano

Entro fine anno il Gabon andrà al voto. Poco noto in Italia, questo paese situato nel cuore dell'Africa centrale è il quarto produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana e il 37° produttore mondiale. ENI vanta una presenza pluridecennale. In questa intervista rilasciata a Vita.it, il principale candidato dell'opposizione, Jean Ping, Presidente della Commissione dell'Unione Africana dal 2008 al 2012, giura: "il paese è in crisi, tutta colpa della famiglia Bongo".

di Joshua Massarenti

Bruxelles – “Il regime attuale è talmente criticato che la probabilità che vinca le prossime elezioni presidenziali del Gabon è molto alta. Il popolo gabonese non ne può più di questo regime, il cui bilancio è molto negativo”. Così ha reagito Jean Ping all’annuncio del Presidente uscente, Ali Bongo, di volersi candidare alle presidenziali previste entro fine anno in Gabon. Per l’ex Presidente della Commissione dell’Unione Africana (2008-2012) e ex ministro degli Affari esteri di Ali Bongo (1999-2008), anche lui candidato alla presidenza gabonese, “i nostri cittadini soffrono di tutto: dall’assenza di lavoro al sistema educativo mandato in frantumi dal governo, passando per una povertà che si allarga a macchia d’olio nel nostro paese”. Il Gabon è poco noto in Italia. Uno di quei paesi stabili di cui non si parla mai, ma dove la compagnia petrolifera Eni vanta una presenza pluridecennale.

Ed è proprio il crollo dei corsi delle materie prime sui mercati internazionali che sta scuotendo il sottosuolo del Gabon, il cui Pil è generato al 45% dalla produzione petrolifera nazionale che copre l’83% delle esportazioni gabonesi nel 2013. “E’ un sisma che avrà un impatto estremamente negativo per un paese monoesportatore come il Gabon”. Ma la sua battaglia non sarà di tutto riposo. In questa intervista rilasciata a Vita.it e media partner africani, tra cui Le Confident della Repubblica centrafricana, paese frontaliero che segue con grande attenzione il Gabon, Jean Ping denuncia “una campagna elettorale segnata dai continui ostacoli che il regime pone per impedirmi di vincere”. Ma c’è anche altro: per ora Jean Ping è l’unico candidato di peso dell’opposizione, ma dovrà guardarsi alle spalle: i pretendenti al trono di Libreville non mancano.

Il regime attuale è talmente criticato che la probabilità che vinca le prossime elezioni presidenziali del Gabon è molto alta. Il popolo gabonese non ne può più di questo regime, il cui bilancio è molto negativo.

Signor Ping, ieri il Presidente uscente Ali Bongo ha deciso di candidarsi alle elezioni presidenziali di cui sarete il suo principale oppositore. Pensa proprio di poter vincere contro la famiglia Bongo?

Il regime attuale è talmente criticato che la probabilità che vinca le prossime elezioni presidenziali del Gabon è molto alta. Il popolo gabonese non ne può più di questo regime, il cui bilancio è molto negativo.

Che cosa la convince?

In tutti i luoghi dove mi sono recato, osservo un grande malcontento, sia dentro che fuori dal paese. Purtroppo abbiamo a che fare con una famiglia, quella dei Bongo, che non vuole lasciare il potere, approfittando del fatto che in Gabon i mandati presidenziali non hanno limite. Insomma, i Bongo pensano di poter dirigere il paese ad aeternam. Questa è la percezione dei gabonesi. Se soltanto il nostro popolo potesse sfamarsi, mandare a scuola i loro figli, godere di un sistema sanitario degno di questo nome, bene allora i gabonesi chiuderebbero non uno, ma due occhi sul potere assoluto di questa famiglia. Ma non è il caso. Nel mio paese le cose stanno andando male, e l’Italia farebbe bene ad aprire gli occhi. La corruzione è un flagello che sta minando la crescita economica e il benesse sociale. Dal 2010 al 2015, il prezzo del barile è passato da 25 dollari a 125 dollari, consentendo al governo di accumulare una ricchezza spropositata. Ma oggi questi soldi dove sono finiti? Andate a chiederlo alle compagnie petrolifere, a cui la famiglia Bongo non fanno altro che chiedere soldi per arricchiere una cerchia ristretta del potere.

Come sta andando la sua campagna elettorale?

La portiamo avanti in condizioni estremamente difficili. Non possiamo riunirci nei luoghi publblici, niente stadi quindi, e neanche gli alberghi, i cui proprietari si rifiutano di accoglierci per paura di ritorsioni. Siamo costretti a organizzare i nostri meeting in terreni abbandondati, nelle cave o da privati che ci offrono vito e alloggio. Non è poi così male, ci permette di stare vicini alla gente normale.

Non possiamo riunirci nei luoghi publblici, niente stadi quindi, e neanche gli alberghi, i cui proprietari si rifiutano di accoglierci per paura di ritorsioni.

Come giudica le relazioni tra il potere e le compagnie petrolifere?

Pessime. Tolto Eni, Total e Shell, quasi tutte le altre hanno lasciato il paese.

Perché?

Perché chi sta al potere pensa solo ad estorcere le multinazionali. Ma quando la produzione sprofonda, sono guai. Il crollo del prezzo del barile non ha fatto che accelerare una tendenza già in atto, e cioè il licenziamento di un numero altissimo di lavoratori gabonesi, già vittime dell’incuria del regime che non riesce più a garantire stabilità, né ad rendere il paese attraente agli investitori stranieri.

Su quali appoggi internazionali può contare?

Il partner principale del Gabon è la Francia, un paese che ci conosce. E quindi se ci conosce così bene, dovrebbe sapere cosa sta accadendo. Per difendere i suoi interessi, Parigi non ha alternativa: devre sostenerci! Abbiamo buoni motivi di rimanere ottimisti.

Cosa si aspetta dall’Unione Europea?

I paese francofoni hanno una relazione particolare con l’UE. Ecco perché sono a Bruxelles: per incontrare responsabili della Commissione europea, del Servizio di relazioni esterne di Federica Mogherini e parlamentari del Parlamento UE, i cui poteri sono sempre più estesi. Spingiamo le istituzioni europee ad esercitare la massima pressione sul Gabon affinché il governo di Bongo sottoponga a Bruxelles una richiesta per il dispiegamento di una missione di osservazione elettorale europea nel mio paese. Solo Libreville è abilitata a fare questa richiesta, ma temo che il potere miri soltanto a perdere tempo mandando questa richiesta all’ultimo minuto per costringere l’Unione Europea a rifiutarla. Ma i minuti sono contati e la richiesta va mandata in tempi brevissime. E’ già molto tardi.

E quale ruolo potrebbe essere il ruolo dell’Unione Africana?

Oggi l’UA gioca un ruolo molto importante nei paesi africani. Gli Stati del nostro continente hanno unito le forze per rendere l’Africa pacifica e consolidarne il processo di democratizzazione. Purtroppo non dispone di mezzi sufficienti per soddisfare le sue ambizioni, o fare quello che è chiamata a fare. Quando in un paese la situazione precipita, è necessario ricorrere alla “diplomazia preventiva”, proprio per evitare che una crisi degeneri in conflitto.

© Le Nouveau Républicain (Niger), Le Confident (Répubblica centrafricana), Infos Grands Lacs (RDC, Rwanda e Burundi)


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