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Nuovo Isee: se il Consiglio di Stato sconfessa se stesso

Maria Cecilia Guerra è "la madre" del nuovo Isee. La sentenza del Consiglio di Stato, che ritiene illecito il computo nei redditi delle indennità legate alla disabilità, la lascia «sconcertata»: «Il DPCM aveva avuto due volte il parere del Consiglio di Stato sulla legittimità». Altre strade per mantenere l'obiettivo dell'equità ci sono, ma paradossalmente il favore che questo Isee aveva per la disabilità potrebbe diminuire

di Sara De Carli

Al nuovo Isee, Maria Cecilia Guerra (Pd) ha lavorato per due Governi, da sottosegretario del Governo Monti e da viceministro del Governo Letta. Licenziato dal Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2013, è entrato in vigore l’8 febbraio 2014: quello vecchio era in vigore dal 1998 e mostrava i segni del tempo. Presentato da Letta come uno strumento per stanare i “finti poveri”, poiché «ogni presunta furberia – in effetti una vera a propria ruberia – toglie un’opportunità a coloro che ne hanno diritto», del "suo" Isee il senatore Guerra ha sempre invece sottolineato il fatto che riservava un’attenzione particolare alle persone con disbailità. Come provato dai due monitoraggi pubblicati in queti mesi dal Ministero per il Lavoro e le Politiche Sociali.

Senatore, quel è la sua reazione dinanzi alla sentenza del Consiglio di Stato sull’Isee?
Diciamo che assistiamo a un fatto strano: il Consiglio di Stato si era espresso sul DPCM 159/2013 in questione già due volte, con due Governi diversi, in via preventiva. Il parere del Consiglio di Stato sulla legittimità del provvedimento è richiesto perché il provvedimento stesso possa esser adottato, senza quel parere che riconosce la piena legittimità del DPCM, il DPCM non sarebbe potuto essere adottato. Quindi quello che noto è che questa terza pronuncia è difforme dalle due precedenti e questo ovviamente genera sorpresa e sconcerto, al di là del fatto della materia di cui stiamo parlando e rispetto a cui ho una certa “maternità”. È una cosa non mi conforta. Fra l’altro questo DPCM aveva superato il vaglio positivo anche di diverse commissioni parlamentari, della Conferenza Stato Regioni, di due Governi… è frutto di un percorso particolarmente partecipato.

Chi esulta per questa sentenza dice – semplifico – che “finalmente ora il Governo dovrà smetterla di far cassa con i disabili”. È così?
La cosa che mi spiace di più, in questa sentenza, è che si avvalori l’idea che l’Isee attuale sia stato fatto in maniera punitiva rispetto al mondo della disabilità. Non è così. Intanto nell’interpretazione che tutti abbiamo dato dell’articolo 5 del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 era evidente la richiesta di considerare le prestazioni esenti come componenti reddituali, non è una scelta che ho fatto io, io mi trovata nella condizione di dare attuazione. Noi abbiamo affiancato a questo “peso” un “contrappeso”, riconoscendo esplicitamente i costi della disabilità in termini di franchigie, un impianto che come dimostrano i due monitoraggi del Ministero non si è affatto tradotti in un uso punitivo dello strumento. Credo che nel dibattito si siamo confuse due piani, questo lo dico da sempre: una cosa è l’Isee, che è solo un mezzo attraverso cui si ordinano le famiglie in relazione alla condizione economica, altra cosa è la definizione delle soglie che vengono messe per accedere ai servizi e delle risorse disponibili. Io credo che il TAR e Consiglio di Stato non abbiano guardato complessivamente allo strumento, che include delle prestazioni ma non le considera reddito nella misura in cui – come è giusto – queste vengono utilizzate proprio per affrontare la gestione della disabilità, come deve essere.

Che succederà ora? Si torna all’Isee vecchio o esistono alternative?
Di fronte a questa sentenza bisognerà rivedere lo strumento. Io credo che sia possibile scegliere altre vie che puntino egualmente a garantire l’equità, non sono particolarmente affezionata all’inclusione nel reddito dell’accompagnamento. Ripeto che quella era, per interpretazione condivisa con il Parlamento, la volontà esplicita della norma, ma se ora – forti della sentenza – andremo a stabilire che la norma può essere interpretata in modo diverso, ben venga. Penso che il Ministero sarò in grado di trovare altre strade, perseguendo gli stessi obiettivi di equità con alte modalità. Noi abbiamo percorso la strada che ci sembrava la migliore e devo dire che sono soddisfatta della riforma, perché ha caratteristiche di novità ed efficacia che il vecchio Isee non aveva, in termini di equità sono stati fatti molti pasi avanti, rende possibile una maggiore veridicità delle dichiarazioni.

Potrebbe succedere, paradossalmente, che con le modifiche si perda il favore per le persone con disabilitò che il nuovo Isee complessivamente invece ha, secondo quando dicono i dati dei monitoraggi?
Paradossalmente potrebbe succedere. Le politiche per la disabilitò conseguono da due effetti, l’Isee e le soglie e le risorse. Il numero dei beneficiari che accedono a un servizio magari sarà lo stesso, ma diversa sarà diverso la scelta di chi ci rientra. Noi con questo strumento abbiamo provato a guardare dentro al mondo della disabilità, differenziando la condizione di bisogno in ragione della gravità e ponendo molta attenzione alle persone non autosufficienti rispetto a chi ha una disabilitò meno grave. Mi auguro che questa differenziazione possa essere mantenuta.

Ieri in un’intervista a Redattore Sociale il professor Cristiano Gori diceva che questo episodio rafforza l’idea che il welfare italiano sia irreformabile nella direzione dell’equità. È così?
Le ripeto, io sono sconcertata da questa sentenza. Ci sono stati numerosi soggetti coinvolti, c’è stato l’ok del Parlamento, della Conferenza Stato Regioni, del Garante per la Privacy, del Consiglio di Stato… Ora, che un singolo giudice vada in contrasto con due precedenti sentenze del suo stesso organismo mi preoccupa. Tuttavia penso che ci sia spazio per realizzare l’equità per un’altra via. Certo occorre mantenere l’attenzione sul riconoscere che la condizione economica delle persone con disabilità non può essere valutata senza tenere contemporaneamente conto dei costi e delle esigenze diverse che la disabilità comporta.

Photo Stephanie Keith/Getty Images


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