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Welfare & Lavoro

Quale welfare domani?

Sfide, insidie, rischi e opportunità. Ragionare sulle coordinate su cui rifondare il nostro sistema di welfare state è stato l’obiettivo di un confronto organizzato dal Forum del Terzo Settore a Roma

di Vittorio Sammarco

Presente e futuro del Welfare, sfide, insidie, rischi e opportunità. Ragionare sulle coordinate su cui rifondare il nostro sistema di Welfare State è stato l’obiettivo del bel confronto in occasione della presentazione dei volumi: “Il Welfare di prossimità. Partecipazione attiva, inclusione sociale e comunità”, a cura di Francesco Messia e Chiara Venturelli (ED. Centro studi Erickson), e “Buono è giusto. Il Welfare che costruiremo insieme” di Johnny Dotti e Maurizio Regosa.(Luca Sossella Editore).

Organizzato dal Forum del Terzo Settore con il titolo “QUALE WELFARE DOMANI?”, il dibattito è ruotato sulle domande del padrone di casa Pietro Barbieri, portavoce nazionale del Forum: “partiamo dalla ridefinizione del Welfare, e soprattutto da quali criticità, quali sofferenze e quali risposte soprattutto sul territorio possiamo dare?”.

“Non abbiamo cercato di progettare un Ws da capo, ma piuttosto sottolineare gli aspetti che mettono in collegamento iniziative”, ha detto Chiara Venturelli, realtà che vanno evidenziate per la loro capacità di “offrire e non solo di chiedere; mondi che per esperienza e conoscenze sono anche disposti a dare qualcosa. Valorizzarle, per poterle trasferire, sapendo che bisogna adattarle ai contesti”. Quindi per rifondare il Ws “un buon punto di partenza è il collegamento tra Pubblico, privato e Terzo settore, in questo dialogo a tre dobbiamo cercare di vedere il pubblico come garante del rapporto. Le regole ci ‘ritornano sempre indietro’, purtroppo a volte anche per bloccarci, il pubblico serve per dire che le regole nascono per dare a tutti il massimo, nella continuità”.

Articolato e ampio il pensiero di Johnny Dotti (fondatore della Rete CGM, presidente e amministratore delegato di Welfare Italia Servizi): “siamo di fronte ad un cambio di millennio e non solo di secolo”, comincia. Con tre grandi caratteristiche: presto la parte di popolazione al termine della vita supererà quella che inizia (gli over 65, più degli under 25), ma tendiamo a rimuovere il dato, (come e con chi vivono è tema rilevante); secondo, l’Europa decresce mentre l’Africa va verso il raddoppio, in un’impressionante pressione demografica; terzo, l’invadenza sempre più pervasiva della tecnocrazia, che influenza, nel bene o nel male, tutto il nostro vivere. Dati fondamentali per un WS che è nato in tutt'altra storia. A fronte di questo – ragiona Dotti – ci troviamo negli ultimi anni in una società in cui tutto si è trasformato in consumo, persino lo stesso Welfare, in un sistema che ha di gran lunga superato i bisogni per cui era nato e con la spesa pubblica sempre più marginale. Il problema, allora, è superare il paradigma di “soldi e prestazioni”, e recuperare due dimensioni basilari per il Welfare di domani: la capacità di generare ‘legami sociali’, e ‘significati di senso del vivere’; “altrimenti non si va da nessuna parte! Sono temi che vanno rimessi al centro del dibattito politico”, sostiene. E sulle sfide, una priorità: per Dotti “abbiamo bisogno di esperienze istituenti, ché rappresentino la modalità per mantenere il Welfare in una tensione universalistica. Il tema centrale è se siamo capaci di tirare fuori modelli italiani o europei che fanno della comunità una risorsa reale (economica e non solo ideale) per generare legami e senso. Il futuro del welfare è di aggregazione della domanda e non di moltiplicazione dell’offerta”. Conclude con un assist per il Forum: “serve un’azione tipica che dovrebbe essere quella del Forum del Terzo settore. Bisogna incollare pezzi del mondo sociale e politico ed è una sfida complessa”.

Altri provocazioni: per il pedagogista Andrea Canevaro, “non si possono mettere in moto dinamiche partecipative con regolamenti istituzionali sclerotici e burocratici”; secondo Francesco Messia “le nuove generazioni stanno adottando strategie dì solidarietà e di welfare informale che non hanno il frame degli anni ‘60/’70, ma non per questo sono meno importanti. Anzi. Ma se vogliamo cambiare i paradigmi dobbiamo adottare due indicatori: il Tempo, da riprendere i mano; “Ci vuole tempo per fare bene le cose”, e la “manutenzione”, la cura, che vale per tutti, per i territori e per le persone”; e per Maurizio Regosa: “se da un lato il Welfare può essere fonte di rinnovamento per la democrazia, dall’altro può essere anche un significativo rilancio del principio di responsabilità.”

Non manca le risposte delle istituzioni.

Per la senatrice Nerina Dirindin, capogruppo Pd nella Commissione Sanità, “facciamo fatica a dare una risposta su cosa sarà il Ws domani, perché la situazione cambia rapidamente e non sempre nella direzione che vorremmo. Apprezzo l’idea di valorizzare l’esistente, che andrebbe portato ad esempio e moltiplicato. Ma è difficile selezionare quello che funziona e cercare di farlo crescere. Perché spesso siamo di fronte ad una somma d’interessi economici che facciamo fatica ad affrontare. Nelle rappresentanze di questi mondi non sempre c'è lo stesso livello culturale a proposito di questi temi. Dobbiamo avere anche il coraggio di pensare che non tutto ciò che vediamo adesso è migliore del passato. Abbiamo già tentato di fare delle modifiche del sistema di Ws, ma poi la situazione della finanza pubblica ci costringe ad avere a che fare con i conti. Molto possiamo fare sul piano della trasparenza e della legalità”. E conclude provocatoriamente: “dietro la deriva del Ws ci sono interessi di gruppi che vanno smascherati. Le lobby. Il problema però non è rispondere ai singoli gruppi, ma capire se abbiamo una visione generale e un’idea di diversa sui principi di fondo, come l’inclusività, rispetto a quella che purtroppo si sta affermando. Ho paura che siamo troppo disorientati dal problema della crisi economica e dei conti pubblici. Ma la speranza viene anche da libri e occasione di dibattito come questa”.

Per Donata Lenzi, capogruppo PD Commissione Affari Sociali, “nel momento in cui le risorse pubbliche diminuisco, l'attenzione dei privati si accentuata perché è uno dei settori, pensiamo alla sanità e all’assistenza, dove la domanda cresce e si può investire. Ciò implica cambiamenti, e il tentativo di orientare l’opinione pubblica, vedi gli orientamenti razzisti, non è estraneo a interessi economici”. Lenzi ricorda che “il sistema di Ws nasce su un principio solidaristico, che mirava a prevenire la povertà, da una base solidaristica ci si mosse come un ombrello contro la povertà, e va sottolineato. Ora, in un sistema dove le tre grandi colonne sono garantite dal sistema pubblico (previdenza, assistenza, sanità), il patto che sta alla radice è un patto fiscale e un patto generazionale. Se viene meno questo tutto va in crisi”. Due considerazioni, infine, vengono dai libri: è vero che si sono esperienze positive anche nel Sud, ma la rete di relazioni cresce dove c'è già una base di Ws per concentrare le risorse e dove il pubblico (comune o regione) si pone in maniera positiva per aiutare il miglior sviluppo possibile di queste esperienze, lasciando spazio, anche sburocratizzando. Infine: aggregare la domanda, sì, ma dobbiamo farlo con alcuni paletti: esempio, è una sanità “complementare” e non sostitutiva.

Rita Visini, assessore alle Politiche Sociali Regione Lazio, parte dalla sua esperienza faticosa di amministratore locale: “Per il cittadino poter sperimentare un Ws buono, centrato sulla persona, è come una specie di lotteria: troppe differenze tra territori. Alla domanda su quale Welfare per il futuro potremmo rispondere che vogliamo un welfare di prossimità e di comunità. Ma per fare questo dobbiamo esser capaci di diffondere il buono che c'è farlo diventare paradigma, basandosi su una cultura sociale condivisa, farlo diventare istituzionale. Questo è quello che manca. La mia esperienza: tutta la parte del rinnovo normativo e della governance fa molta fatica a marciare (vedi il lento percorso per approvare l’applicazione regionale della Legge 328/2000) e frena la capacità d’innovazione sociale che nasce dal basso. Manca, inoltre, una visione e un lavoro d’insieme, tra enti, istituzioni, associazioni e persone”. Ma non si ferma: “La battaglia continua anche se durissima, io non mi arrendo!”.

Conclude Stefano Tassinari, coordinatore Consulta Welfare del Forum Terzo Settore: “Il problema non è più o meno Welfare, ma quale Ws e chi lo farà. Vedo un Ws a pezzi, dove i cittadini vivono una realtà molto frammentata e diversificata. Non ci credo in un Welfare pubblico che metta insieme i pezzi. Ma si può ripensare un disegno complessivo che veda al centro i legami lunghi. Il punto vero di oggi è che il nostro mondo rispetto all’epoca del mutualismo ha legami corti, parziali. Riusciamo oggi a rimettere in pista questi temi immaginando un Paese come comunità, o stiamo al gioco di un Paese che non è più comunità? Il ragionamento da fare, alla fine dei conti, è come migliorare la spesa e non solo come ridurla. Possiamo ridisegnare un nuovo W che parta da questo punto?”.


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