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Volontariato, cade un mito: le donne lo fanno di meno

Secondo una rilevazione della Fondazione Volontariato e Partecipazione, le donne rappresentano il 52% della popolazione italiana, ma solo il 45% dei volontari totali, con punte negative del 43% al Nord. Circa 3 donne su 100 appartengono a un'associazione contro il 4% degli uomini, anche se in media donano più ore settimanali dei colleghi maschi. Tutti i numeri di un report pieno di sorprese

di Gabriella Meroni

Le donne in Italia sono il 52% della popolazione sopra i 14 anni, ma rappresentano soltanto il 45% del totale dei volontari delle organizzazioni di volontariato italiane. Il dato emerge da un approfondimento della Fondazione Volontariato e Partecipazione che ha analizzato i dati forniti dall'Indagine Istat sugli Aspetti della Vita Quotidiana. Considerando solo le organizzazioni di volontariato, il tasso di partecipazione femminile a tali organizzazioni è pari al 2,9% (circa 3 donne su 100), contro il 3,9% degli uomini. Tuttavia, se hanno una minor propensione ad aderire ad organizzazioni di volontariato, quelle che compiono tale scelta evidenziano livelli di impegno (misurati in termini di ore settimanali dedicate a tali attività) superiori a quelli dei volontari maschi, con una media 18,9 ore contro 15,4 dei secondi (+18%).

Cade comunque un mito consolidato, quello cioè che racconta di donne più propense all'impegno volontario, più empatiche, in una parola più buone. Certo, sottolinea il report, dato che fare volontariato presuppone una certa disponibilità di tempo, occorre confrontare il tempo a parità di ore che uomini e donne dedicano settimanalmente al lavoro e alla famiglia. Come è noto, gli uomini occupati lavorano in media per più ore rispetto alle donne, ma il bilancio tende a riequilibrarsi prendendo in considerazione anche le attività domestiche, dove i primi risultano spesso “latitanti”. In poche parole, molte donne non hanno tempo per il volontariato perché sono molto più impegnate in casa, nella cura dei figli o dei genitori anziani.

Tutto vero. Fatto sta che al Nord, per esempio, dove il volontariato è più diffuso, il divario a favore degli uomini è conclamato: qui sono volontari il 57% dei maschi contro il 43% delle femmine, e in generale il rapporto fra i sessi è favorevole agli uomini in tutto il Paese, fatta eccezione per le Isole (Sicilia e Sardegna), dove le donne sono invece in maggioranza (58% contro 42). Quanto ai settori di attività preferiti dalle volontarie, anche qui vengono smentiti molti luoghi comuni. Un'opinione diffusa è infatti che le donne vivano la propria adesione al volontariato come un prosieguo o un'estensione delle mansioni di cura loro assegnate dal modello prevalente di divisione del lavoro fra i sessi. Errore: i settori “sanità” e “sociale”, infatti, non presentano alcuna prevalenza dell'elemento femminile, visto che nel primo la percentuale è sostanzialmente pari (51 uomini, 49 donne) e nel secondo “vincono” i maschi 55 a 45. Le donne sono invece più numerose nelle associazioni religiose (addirittura 70% contro 30) e – udite udite – in quelle politiche (73% contro 27).

Nessuna sorpresa, invece, per quanto riguarda i ruoli e le posizioni di responsabilità all'interno delle organizzazioni. Qui le donne sono penalizzate, trovandosi in posizioni di minor prestigio e contenuto professionale. Lo scettro del comando continua a essere appannaggio degli uomini (7 dirigenti su 10 sono maschi), mentre il divario si riduce nei ruoli ad alta specializzazione (54% maschi, 46% femmine) e si rovescia nel settore impiegatizio (dove gli uomini scendono al 40%).


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