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WWF: «Un no alle trivelle per un Paese green»

Stefano Lenzi, responsabile Ufficio relazioni istituzionali WWF Italia, spiega il perché della battaglia contro le trivellazioni nel Mediterraneo e risponde a i tanti dubbi che questa battaglia solleva

di Lorenzo Maria Alvaro

Il 17 aprile sarà il giorno del referendum contro le trivelle. Cioè sul tema delle attività petrolifere presenti nelle acque italiane, ovvero entro 22 km dalla costa. Le domanda referendaria reciterà: volete fermare i giacimenti in attività quando scadranno le loro concessioni?
Quali sono le implicazioni e le ripercussioni dell’esito di questa battaglia? Lo abbiamo chiesto a Stefano Lenzi, responsabile Ufficio relazioni istituzionali WWF Italia.

WWF naturalmente è schierato per il sì, contro le trivelle. Perché?
Le trivellazioni in Italia non consentirebbero di sopperire al fabbisogno energetico italiano e metterebbero a rischio l’ambiente. Il Mediterraneo, che rappresenta lo 0,8% dei mari, vive già il transito del 25% degli idrocarburi a livello mondiale. Ogni anno vengono sversati idrocarburi per 100/150 mila tonnellate a causa delle perdite dovute alle operazioni di routine. In 22 anni, a causa deghli incidenti navali, sono state sversate qui 270mila tonnellate.

Questo però è un tema che riguarda il traffico navale più che le trivellazioni…
Riguarda il ciclo del petrolio.

Bisogna però dire che le trivelle italiane di cui si parla non sono piattaforme petrolifere. Sono dedicate alla ricerca di gas…
Anche la ricerca del gas vive problematiche legate all’ambiente. Il ciclo delle perforazioni è sempre inquinante. Hanno operazioni di routine che danno un impatto ambientale rilevante.

Anche se dovessimo fermare i nostri impianti c’è chi dice che il problema non sarebbe risolto perché, grazie a tecnologie che permettono perforazioni inclinate di 45 gradi, la Croazia si prepara a sfruttare i nostri giacimenti. Sarebbe una beffa: perdiamo il gas ma ci teniamo l’inquinamento…
Abbiamo fatto una valutazione ambientale strategica sui progetti croati di questo tipo. Su 10 progetti ben 7 aziende hanno rinunciato. È la dimostrazione che evidentemente non è un’opzione così semplice né così conveniente.

Una cosa che non è chiara è che il referendum non rivolge la propria attenzione su eventuali nuove trivellazioni ma riguarda la durata delle concessioni già in essere oltre i 30 anni. Perché?
Sì, il motivo è che c’è chi cerca di superare il limite dei 30 anni, stabilito dall’Europa. Il referendum è stato indetto anche perché Corte di Cassazione e Corte Costituzionale hanno ritenuto ambigua la formula contenuta nella Legge di Stabilità che interviene proprio modificando la durata dei titoli abilitativi già rilasciati. È stata insomma fatta una forzatura normativa che va contro alle norme Europee e che la nostra giurisprudenza ritiene illegittima.

Nel momento in cui vincesse il sì e i rubinetti delle piattaforme esistenti dovessero essere chiusi si quantifica che staremmo rinunciando al 60/70% della produzione di gas nazionale. Questo significherebbe da una parte l’incremento del traffico navale, per l’approvigionamento del gas mancante e un incremento dei costi. Ha senso?
I numeri andrebbero verificati. Non sono soicuro si tratti di queste percentuali. In questi giorni circolano cifre strane. Come quelle che parlano, in caso di chisura delle piattaforme, di 6mila esuberi solo in Emilia Romagna. Secondo Leonardo Maugeri del Sole 24 Ore, ex dirigente Eni, saranno poche migliaia in tutta Italia.

Altro tema è il turismo. Chi porta avanti la battaglia contro le trivelle dice che uccidono il turismo. Ma la maggiore concentrazione di piattaforme in Italia si ha davanti alla riviera romagnola che storicamente è anche la zona con maggiori presenze turistiche del Paese. Cosa ne pensa?
Penso che le trivelle possono avere un grosso effetto sull’economia turistica. È un fatto che ci sia in atto un mutamento di sensibilità da parte cdei consumatori che sono sempre più attenti all’ambiente e alle scelte responsabile. Questo significa che non è detto che ciò che oggi non è un problema non lo diventi domani. Mi permetta però anche un’altra valutazione…

Prego…
È vero che l’Emilia Romagna è una delle mete turistiche più ambite in Italia. Ed è anche vero che uno dei motivi di questo successo sta nella urbanizzazione massiccia del territorio fatta negli anni 60. Siamo sicuri che quel tipo di format sia quello che vogliamo per le coste italiane?

Ma non sarebbe comunque meglio un passaggio alle rinnovabili più dolce e graduale?
Non c’è bisogno. La potenza installata di produzione elettrica in Italia è ampiamente più ampia del fabbisogno quindi permetterebbe tranquillamente di fare a meno del gas delle trivelle. Certo bisogna accelerare gli investimenti nelle rinnovali, che oggi sono 40% del totale. Come WWF siamo convinti, anche grazie ad alcuni studi che sia possibile portarle al 100% entro il 2050.


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