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Cospe lancia “Silence hate – Changing words changes the world”

"L'odio non è un'opinione" è questo il fil rouge della prima ricerca italiana sull'hate speech, giornalismo e migranzioni presentata in occasione della giornata mondiale contro il razzismo. La campagna sui social con l'hashtag #silencehate

di Redazione

Con lo slogan “Silence hate – Changing words changes the world” e l’hashtag #silencehate ha preso il via oggi, 21 marzo, la campagna europea contro l’hate speech online. Obiettivo della campagna web è porre l’attenzione sulla necessità di impedire la diffusione dell’odio e promuovere un uso consapevole della rete: uno sforzo collettivo, che veda impegnati le testate, i lettori, i proprietari dei social network e che riparta da quegli elementi costitutivi della Rete stessa, la libertà e la partecipazione.

E proprio in occasione della giornata mondiale contro il razzismo (21 marzo), la Federazione Nazionale della Stampa, Articolo 21, Carta di Roma e Cospe, in collaborazione con www.illuminareleperiferie.it, hanno presentato la ricerca “L’odio non è un’opinione. Hate speech, giornalismo e migrazioni”.

La ricerca realizzata da Cospe nell’ambito del progetto europeo (Italia, Belgio, Germania e Repubblica Ceca i paesi coinvolti) contro il razzismo e la discriminazione su web, “Brikcs” – Building Respect on the Internet by Combating hate Speech”, ha approfondito questo fenomeno tramite l’analisi di casi studio ed interviste a testate e testimoni privilegiati.

Coinvolti quattro direttori e caporedattori (Fan Page, Il Tirreno, l’Espresso, Il Post); tre staff incaricati di community management (Il Fatto Quotidiano, Repubblica, La Stampa), 3 esperti di social media strategy, tre blogger di testate nazionali, due esponenti di associazioni attive nel settore media e immigrazione (Ansi e Carta di Roma), due organismi pubblici di tutela (Oscad – Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori e Unar – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali).

Proprio l’Unar nel 2014 ha registrato 347 casi di espressioni razziste sui social, di cui 185 su Facebook e le altre su Twitter e Youtube. A queste se ne aggiungono altre 326 nei link che le rilanciano per un totale di 700 episodi di intolleranza, con un trend in crescita per il 2015, anno in cui i giornali europei hanno dovuto affrontare lo scenario di una delle più grandi crisi umanitarie senza riuscire, in gran parte, a restituire un’immagine corretta del fenomeno migratorio a livello globale e nazionale. Ed è in contesti come questi che si moltiplicano le espressioni di incitamento all’odio razziale nei confronti di rifugiati, migranti e minoranze: sono i forum dei giornali online, i commenti a margine degli articoli, le pagine Facebook delle testate nazionali e locali, i luoghi virtuali in cui dilagano i discorsi d’odio che prendono di mira i rifugiati e i cittadini di origine straniera e purtroppo si tratta di un fenomeno difficilmente monitorabile e controllabile.

Più in generale, infatti, la ricerca mette in risalto le problematiche di gestione delle proprie community e del lavoro giornalistico ai tempi del web: dalla libertà di espressione alla necessità di regolamentazione, dal ruolo dei giornalisti a quello dei social media manager, dall’obiettivo di informare a quello di coinvolgere e le soluzioni diverse da parte delle redazioni, in una fase di sperimentazione contraddistinta da una difficoltà di adattamento alla dimensione digitale.

Per questo, alla ricerca seguiranno in ogni Paese altre iniziative per combattere il fenomeno. Tra queste si segnalano: un decalogo per social media manager, un percorso formativo per insegnanti, toolkit multimediale, e un evento finale di sensibilizzazione.


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