Cooperazione & Relazioni internazionali

Fatou Bensouda: “Nessuna impunità per chi comanda crimini a distanza”

Ieri il leader congolese, Jean-Pierre Bemba, è stato giudicato colpevole di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per gli stupri, le razzie e gli omicidi perpetrati dalla sua milizia, il Movimento di liberazione del Congo, in Repubblica centrafricana tra il 2002 e il 2003. In un’intervista esclusiva rilasciata a Vita.it, il Procuratore generale della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, spiega perché il verdetto entrerà nella storia della CPI.

di Joshua Massarenti

Ieri all’Aia, presso la Corte penale internazionale, poco dopo le 15, il sipario è calato su Jean-Pierre Bemba. Come in un teatro, il leader congolese ha lasciato il palcoscenico della corte più celebre del mondo, frastornato dal verdetto che i tre giudici hanno pronunciato nei suoi confronti. Sui gradini che fanno fronte all’aula, il centinaio di simpatizzanti congolesi venuti da tutta l’Europa per sostenere il loro leader hanno accolto la sentenza in un silenzo d’obbligo, ma surreale, con dignità, ma pieni di rabbia e di rancore verso una giustizia internazionale accusata di processare quasi esclusivamente africani.

Ma la Storia ricorderà ben altro: per la prima volta infatti, la Corte pena internazionale ha giudicato colpevole un comandante militare per crimini perpetrati dalle sue milizie in un paese terzo. La scena del delitto è la Repubblica centrafricana. Siamo il 26 ottobre 2002 quando i miliziani del Movimento di Liberazione del Congo (MLC) guidato da Jean-Pierre Bemba, hanno lasciato Gbadolite, città situata nel nord della Repubblica del Congo, per valicare la frontiera che separa la RDC dal Repubblica centrafricana, per fiondarsi nella capitale Bangui e correre in soccorso al Presidente Ange Felix Patassé, minacciato da un golpe militare. Per circa cinque mesi, gli uomini di Bemba saranno protagonisti dei peggior crimini perpetrati nel conflitto centrafricano. Durante tutto questo periodo, Bemba rimarrà a Gbadolite, ma il processo che si è aperto nel 2010 all’Aia rivelerà che dal Congo, il leader del MLC sapeva tutto.

Jean-Pierre Bemba è ritenuto colpevole di crimini di guerra e crimini contro l'umanità compiuti dalla sue truppe e per non aver fatto nulla per impedirli o punirli.

Sylvia Steiner, giudice della Corte penale internazionale

Il verdetto espresso ieri in quattro lingue (francese, inglese, lingala e songo) dalla giudice brasiliana Sylvia Steiner ha ritenuto Bemba colpevole dei crimini imputati alle sue truppe “perché copriva le funzioni di comandante militare che esercitava un’autorità e un controllo effettivi sulle forze che hanno commesso questi crimini” e perché “non ha fatto nulla per impedire i crimini o punirli”. Il secondo motivo per cui la sentenza passerà alla storia della CPI è che per la prima volta un imputato viene considerato colpevole per aver utilizzato lo stupro come arma da guerra.

Ma il processo Bemba non si chiude qui. La difesa andrà sicuramente in appello, e i giudici devono aprire una nuova procedura per fissare la pena. La procedura rischia di diventare tanto più lunga che Bemba è coinvolto in un secondo processo, per oltraggio alla Corte. Nel solito colpo di teatro, la camera di prima istanza aveva emesso nel novembre 2013 un secondo mandato di cattura contro Bemba per aver corrotto dei testimoni durante il suo processo principale. Iniziato nel settembre 2015, questo secondo processo potrebbe aggravare la situazione di un uomo, Jean-Pierre Bemba, convinto fino a ieri di ritrovare a breve la libertà, e quindi tornare nel suo paese per partecipare alle prossime elezioni previste entro fine anno in Repubblica democratica del Congo.

Se Bemba piange – pieno “di rabbia” secondo il suo avvocato Peter Haynes, c’è chi alla Corte ha il sorriso sulle labbra. Poco dopo il verdetto, il Procuratore generale della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ci ha accolto al sesto piano della nuova struttura della CPI per un’intervista esclusiva rilasciata a Vita e ai suoi media partner africani.

Signora Bensouda, come reagisce al verdetto proncunciato contro Bemba?

E’ un verdetto molto importante. Intanto perché è stato reso giustizia alle vittime dei crimini perpetrati in Repubblica centrafricana. E’ una sentenza che hanno atteso a lungo. Va poi sottolineato che i tre giudici si sono pronunciati all’unanimità, cosa piuttosto rara alla Corte penale internazionale, giudicando il signor Bemba colpevole di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. I fatti che gli sono imputati riguardano gli stupri, le razzie e gli omicidi perpetrati dalle sue truppe in territorio centrafricano.

La Corte deve ora fissare la pena. Che cosa chiederà?

Ci stiamo già lavorando. Come sa, la decisione spetta ai giudici, che indicheranno in tempi molto rapidi una data in cui la pena verrà fissata. A titolo personale, penso che questa pena deve essere all’altezza dei crimini comessi e che sono di una estrema gravità.

Il Segretario generale del partito di Bemba ha sottolineato che i giudici hanno sì accusato il leader congolese responsabile dei crimini a lui imputati, ma nel contempo hanno detto che lo stesso Bemba ha provato a fare qualcosa per fermare questi crimini. Ora questi sforzi non sembrano essere stati presi in considerazione secondo Eve Bezaiba. Perché?

Durante il processo abbiamo sempre dimostrato ai giudici che gli sforzi realizzati da Bemba erano molto insufficienti rispetto ai crimini che si stavano perpetrando in Repubblica centrafricana all’epoca dei fatti. I giudici hanno avuto l’opportunitò di ascoltare tutti, dalla difesa alla procura, passando per i testimoni e il loro rappresentante legale. E il giudizio che si sono fatti è che gli sforzi del signor Bemba non erano adeguati. Soprattutto, i giudici hanno ritenuto che, nonostante la distanza che lo sepava dai luoghi dove i crimini sono stati compiuti, Bemba esercitava un’autorità e un controllo effettivi sulle sue truppe del Movimento di liberazione del Congo dispiegate in Repubblica centrafricana, e che non ha fatto nulla per impedire questi crimini o punirli.

Perché secondo lei questo verdetto passerà alla storia?

E’ la prima volta nella storia della Corte penale internazionale che un comandante militare viene ritenuto colpevole per crimini commessi dalle sue forze contro civili in un paese terzo e che non ha fatto niente per fermarle. E’ un segnale molto importante mandato ad altri comandanti militari che pensano di farla franca e che un giorno potrebbero rispondere dei crimini a cui non hanno partecipato in modo indiretto, e cioè senza aver presieduto tali crimini sul territorio dove sono stati perpetrati.

Dopo il verdetto, le vittime pretendono delle riparazioni….

E’ una decisione che devono prendere i giudici e non l’ufficio del Procuratore. Dal canto nostro, sosterremmo le vittime nella loro richiesta, esattamente come lo abbiamo fatto in passato per altri processi.

Articolo realizzato nell’ambito di un progetto editoriale sostenuto dalla Direzione Generale per la Mondializzazione e le Questioni Globali (DGMO) del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) che associa VITA e Afronline a 25 media africani indipendenti.

Foto di copertina: Getty Images/Peter De Jong


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