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Stepchild adoption: «non chiamiamola adozione»

Anfaa denuncia il caso di Francesco, un bimbo di 27 mesi che dopo 21 mesi in affido è andato in adozione, senza che sia stata tutelata la continuità degli affetti, contrariamente a quanto previsto dalla recente legge. E sulla stepchild adoption: «L’adozione deve essere sempre conseguente a una dichiarazione di adottabilità, è inaccettabile tornare a basarsi su una contrattualità consensuale».

di Sara De Carli

Francesco (nome fittizio) è un bimbetto di poco più di due anni. Tre quarti della sua vita (21 mesi su 27) li ha trascorsi in affidamento presso i Rossi (anche questo nome inventato), un'allegra famiglia di due genitori e quattro figli. Lo hanno accolto in pronto intervento, quel tipo di affido a cui si ricorre quando la situazione familiare è tanto grave da richiedere, pe proteggere il bambino, un allontanamento immediato: un’accoglienza che per definizione è molto limitata nel tempo, perché poi per il bambino viene studiata una soluzione più stabile, al di fuori dalla cornice dell’emergenza. Francesco invece è rimasto con i Rossi, che se ne sono presi cura con grande dedizione.

Nell’ottobre 2015 il Tribunale per i Minorenni di Brescia decide per l’adottabilità di Francesco: a 27 mesi, di cui 21 trascorsi in affido presso i Rossi, Francesco il 17 novembre è andato a vivere con i suoi genitori adottivi. In mezzo, per prepararlo al cambiamento, solo sette giorni di incontri tra il bambino, la famiglia affidatari e la famiglia adottiva in un luogo neutro: pochi per Francesco, che si è sentito abbandonato. «Durante quei 7 giorni nessun operatore, né dell’equipe adozione né dell’equipe affido, ha mai contattato la famiglia affidataria per avere un riscontro su come stesse Francesco dopo gli incontri. Durante quei 7 giorni nessun operatore ha dato indicazioni alla famiglia affidataria sul come accompagnare Francesco e sul come organizzare e gestire il momento del saluto, sia da parte dei genitori affidatari sia dei 4 fratelli affidatari», denuncia ora Donata Nova Micucci, presidente di Anfaa. «Sono trascorsi quasi tre mesi da quando Francesco è andato via e da allora, come temevamo, nessun operatore ha contattato la famiglia affidataria per organizzare e pianificare la modalità del mantenimento dei rapporti con Francesco, al fine di tutelare la continuità degli affetti che la legge prevede».

Sono trascorsi quasi tre mesi da quando Francesco è andato nella sua famiglia adottiva e da allora nessuno ha contattato la famiglia affidataria per pianificare la modalità del mantenimento dei rapporti con Francesco, come la legge prevede

Donata Nova Micucci

Continuità degli affetti: a tre mesi dalla legge, a che punto siamo?

In giorni in cui si parla tanto della necessità di mettere mano alla legge 184/1983 sulle adozioni, la storia di Francesco ribadisce chiaro e tondo l’importanza di vigilare sull’attuazione della legge, anche quando la legge c’è. La “continuità degli affetti”, nata con la legge 173/2015, entrata in vigore il 13 novembre scorso, ha modificato proprio la legge 184 nell’ottica di assicurare ai bambini la continuità delle relazioni affettive e sociali consolidatesi durante l’affidamento, sia nel caso in cui il bambino venga dichiarato adottabile (e quindi la famiglia affidataria piò chiederne l’adozione) sia nei casi in cui il bambino vada in un’altra famiglia affidataria o in un’altra famiglia adottiva, sia quando il bambino rientra nella sua famiglia d’origine. A tre mesi dall’entrata in vigore della legge un convegno in Senato – voluto dalla senatrice Francesca Puglisi, prima firmataria della legge – ha cercato di dare “le istruzioni per l’uso” della legge, per la sua attuazione piena. Sono stati presentati due documenti per focalizzare le novità introdotte, uno redatto dal Tavolo Nazionale Affido e dal Coordinamento Nazionale Servizi Affido e uno nato da un gruppo di lavoro promosso dalla senatrice Puglisi e coordinato da Luigi Fadiga, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia Romagna (entrambi in allegato).

«È emersa con forza la necessità di sottolineare come la legge ora dica che la famiglia affidataria deve essere ascoltata dai giudici, pena la nullità del provvedimento e di come gli affidatari abbiano il diritto di documentare i legami affettivi con il minore», commenta Frida Tonizzo, consigliere nazionale Anfaa, che fa parte fra l’altro di un gruppo di lavoro misto avviato in Piemonte (servizi, magistratura e associazioni) per integrare le delibere riguardanti l’affidamento, alla luce delle novità introdotte dalla legge 173, «una cosa che andrebbe fatta ovunque», dice: «Il caso di Francesco dimostra purtroppo la difficoltà a entrare in questo ordine di idee, sia da parte dei tribunali sia da parte dei servizi, che sono chiamati anch’essi a fare una valutazione documentata e tempestiva dell’esistenza o meno di legami affettivi consolidati, da salvaguardare. I servizi purtroppo non sempre sono attrezzati per farlo». Di positivo c’è il fatto che «le famiglie affidatarie comincino a porre domande: come posso documentare questi legami, come devo scrivere le memorie dell’affidamento da presentare al giudice? Lavoro da fare ce n’è, ma finalmente si è rotta quella prassi consolidata per cui il bambino nel passaggio dall’affidamento all’adozione veniva inserito in una comunità per un periodo di “decantazione affettiva”», continua Tonizzo.

Non ci serve aumentare il numero degli aspiranti genitori quanto piuttosto lavorare sui servizi che riguardano il post adozione e l’affido: la verità è che i servizi oggi non sempre e non ovunque sono in grado di rispondere ai bisogni dei bambini

Frida Tonizzo

Quale riforma per la legge sulle adozioni?

E che pensare della riforma della 184? «Non è in cima alle nostre priorità. Molte criticità che vengono sottolineate in questi giorni sono applicative, non legislative, penso ad esempio alle questioni legate alla CAI. Con i numeri che abbiamo in Italia, quasi sette famiglie per ogni minore adottabile, non ci serve aumentare il numero degli aspiranti genitori quanto piuttosto lavorare sui servizi che riguardano il post adozione e l’affido: la verità è che i servizi oggi non sempre e non ovunque sono in grado di rispondere ai bisogni dei bambini», spiega Tonizzo. In Italia le adozioni funzionano, nonostante i recenti titoloni sui fallimenti adottivi, con quel «un bambino restituito ogni tre giorni» di cui hanno parlato i giornali: «sono situazioni dolorosissime, ma qui in Piemonte i fallimenti sono meno dell’1% delle adozioni, significa che il 99% funziona. Pensi che in Italia sono 188.746 i minori adottati dal 1967 al 2014, sia con adozione nazionale sia con quella internazionale, a cui vanno aggiunti i 21.679 in adozione ordinaria, che fino al 1984 ha coesistito con quella legittimante: per i non adottati che restano in comunità non serve allargare, serve l’incontro, perché allora sì che i bambini più compromessi vengono adottati, basti pensare a quante volte sono proprio medici, infermieri, insegnanti e volontari ad adottare questi bambini. La cosa fondamentale è poi non lasciare sole queste famiglie, mettendole al piedistallo di “santi” o “eroi”».

L’adozione deve basarsi sempre sulla dichiarazione di adottabilità, è inaccettabile che si torni a un modello di adozione basata su una contrattualità consensuale, cosa che la battaglia attorno all’articolo 5 della legge sulle unioni civili ha invece riproposto in maniera fortissima

Frida Tonizzo

Sulla stepchild adoption Tonizzo ammette che «ci sono fenomeni nuovi, forse serve ragionarci, però trovando lo strumento giuridico giusto, forse è meglio chiamarla in un altro modo. L’adozione deve basarsi sempre sulla dichiarazione di adottabilità, è inaccettabile che si torni a un modello di adozione basata su una contrattualità consensuale, cosa che la battaglia attorno all’articolo 5 ha invece riproposto in maniera fortissima».


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