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Mattarella: la battaglia per l’inclusione «non si esaurisce nelle norme, per quanto ben scritte»

«Un Paese è più ricco se percepisce le diversità come un fattore di ricchezza. È più povero se comprime la libertà di alcuni, facendoli sentire emarginati, limitando le loro possibilità, i loro talenti»: così il Presidente Sergio Mattarella questa mattina in occasione della Giornata Nazionale delle persone con disabilità intellettiva.

di Redazione

Un discorso lungo e sentito quello pronunciato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella questa mattina, in occasione della "Giornata Nazionale delle persone con disabilità intellettiva", a sei anni giusti giusti dalla firma da parte dell’Italia della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

«La disabilità non è una malattia, tanto meno un problema da scaricare sul singolo individuo o sui suoi familiari. Le condizioni di disabilità divengono gravi soprattutto se il mondo circostante non tiene conto delle diversità e trasforma la differenza in fattore di esclusione. A creare le barriere sono soprattutto, purtroppo, i limiti della nostra organizzazione sociale e le nostre mancanze culturali», ha detto il Presidente. «L'inclusione di chi è in difficoltà è un moltiplicatore di forza sociale».

Sergio Mattarella, nelle sue parole, non si è fermato alla retorica ma ha mostrato di avere una conoscenza concreta dei problemi del mondo della disabilità: «Abbiamo una legislazione avanzata nell'affermare i diritti delle persone con disabilità, e che di recente è ulteriormente progredita, come dimostra la legge sulla diagnosi, la cura e l'abilitazione delle persone con problemi dello spettro autistico e sull'assistenza alle famiglie. La questione da affrontare è l'attuazione di queste disposizioni. Il terreno su cui misurarsi è rappresentato dalle concrete politiche sociali che devono tradurre in realtà gli indirizzi di fondo. Gli ostacoli sono le risorse scarse e la disparità di trattamento, tra territori e ambienti diversi, tra Nord e Sud, tra piccoli e grandi centri, tra fasce di reddito. Il rischio, insomma, è di aggiungere disuguaglianze a disuguaglianze. Non possiamo permettere che i programmi di inclusione sociale siano compressi o vanificati. Non possiamo accettare che tanti diventino "cittadini invisibili". È un tema che ci riguarda tutti: istituzioni, corpi sociali, famiglie, singole persone».

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Ha parlato del dopo di noi, descrivendolo come «un'angoscia che pesa, a volte, più della fatica fisica e delle rinunce a cui ci si sottopone per amore. Il "dopo di noi" è un tema sociale, direi un dovere civico che tocca tutti e ciascuno, non soltanto i familiari delle persone con disabilità. È fuori dallo spirito e dalla lettera della Costituzione chi pensa, egoisticamente, che la solidarietà sia a carico esclusivamente di altri». Ha parlato di scuola e lavoro, ricordando che «l'Italia è stata all'avanguardia nell'inclusione scolastica delle persone con disabilità […] Una scelta di grande valore educativo, non solo perché rifiuta logiche ghettizzanti, ma perché consente a tutti i bambini di entrare sin dall'infanzia in contatto con le diversità, di conoscerle e abbattere così le barriere del pregiudizio. Occorre tuttavia impegnarsi nel concreto perché l'inclusione scolastica sia pienamente effettiva. Il sostegno a scuola talvolta non è sufficiente, e ciò provoca esclusione, o forti limitazioni, all'alunno con disabilità. È necessario fare di più, come voi chiedete, sia in termini di quantità che di qualità». Ha parlato di quelle imprese «che preferiscono subire sanzioni economiche piuttosto che ottemperare alle norme sull'inserimento lavorativo delle persone con disabilità: è questo un segno di scarsa maturità del sistema, a cui occorre rispondere con un impegno maggiore, ad esempio agevolando forme di tirocinio o di praticantato, che favoriscano l'avvicinamento della persona con disabilità e sviluppino le sue competenze e professionalità».

In sintesi, «non dobbiamo mai dimenticare che la battaglia di civiltà che voi conducete non si esaurisce nelle norme, per quanto ben scritte»: «un Paese è più ricco se percepisce le diversità come un fattore di ricchezza. È più povero se comprime la libertà di alcuni, facendoli sentire emarginati, limitando le loro possibilità, i loro talenti».

In foto, alcuni momenti della cerimonia, in particolare Serena e Francesca, due auto-rappresentanti di Anffas, consegnano al Presidente la Dichiarazione di Roma sul sostegno all'autorappresentanza in Italia e in Europa; Gabriele Naretto suona al pianoforte.


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