Cooperazione & Relazioni internazionali

Se WhatsApp racconta le storie dei rifugiati

Decine di messaggi WhatsApp raccolti da una fotografa in un campo profughi raccontano le storie delle famiglie siriane divise dalla guerra

di Ottavia Spaggiari

WhatsApp come ultimo filo digitale che lega chi è costretto a lasciare il proprio Paese a chi invece è rimasto.

Sono messaggi d’amore, di speranza e della nuova quotidianità di chi è strappato alla propria vita e deve costruirsi un futuro lontano, quelli raccolti dalla fotografa Tanya Habjouqa, che ha trascorso gli ultimi tre anni a documentare le vite spezzate a metà dei rifugiati siriani in Giordania, Turchia ed Europa, separati dai propri cari.

Dopo due mesi passati a scattare fotografie nei campi profughi di Azraq e Zaatari, in Giordania, Habjouqa ha raccontato a Time magazine di essersi resa conto che le immagini non erano abbastanza per raccontare l’urgenza di una storia corale così complessa e così importante, come quella delle milioni di persone costrette a lasciare tutto e a mettere in stand-by le proprie vite, nel limbo sconfinato dei campi profughi.

“Il mio ruolo è quello di fare sì che alle persone importi di questa gente, soprattutto in un momento in cui l’opinione pubblica si sta spostando sempre più verso l’isolazionismo,” ha dichiarato la fotografa al Time. “Mi sono scervellata per trovare un immaginario che potesse esprimere quello che non era già stato detto e ridetto.”

A far scattare la scintilla la vista di una mamma in uno dei campi che faceva ascoltare al suo bimbo l’ audio messaggio di una ninna nanna cantata dal papà, emigrato in Germania. E’ così che Tanya Habjouqa ha iniziato a raccogliere decine e decine di messaggi audio condivisi tra parenti lontani su WhatsApp, sovrapponendoli alle proprie opere fotografiche. (Qui il video).

“Come stai papà? Spero che tu stia bene, com’è il tempo?”, “Quando arriverai qui vivrai finalmente in modo dignitoso”, “Papà dove sei? In Turchia o in Svezia, dove sei?”

Sono solo alcuni dei messaggi che raccontano la quotidianità forzata documentata da Habjouqa e rendono più umane, più personali le fotografie, attribuendo una voce, un mondo di relazioni emotive ad ogni volto. “A volte la semplicità può essere ciò che rende una storia potente. In questo caso si tratta delle loro storie e delle loro parole.”

Photo: AFP PHOTO/MANDEL NGAN/POOL


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