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Gianni Pittella: “L’Europa deve dare una svolta politica alla sua strategia in Africa”

Da quando ha assunto la leadership dei socialisti e democratici europei (S&D) al Parlamento UE, Gianni Pittella ha deciso di fare dell’Africa “una priorità politica assoluta del nostro gruppo”. Di ritorno da una missione compiuta la scorsa settimana in Etiopia, il Presidente degli S&D inaugurerà oggi l’Africa Week, un’iniziativa dei socialisti e democratici UE - di cui VITA è media partner - che dal 5 all’11 aprile accoglierà al Parlamento europeo esperti, deputati, leader della società civile, europei e soprattutto africani per discutere sul futuro del continente.

di Joshua Massarenti

Presidente, lei è appena tornato dall’Etiopia. Che bilancio fa di questa sua seconda missione in Africa?

Che il cammino tra l’Europa e l’Africa è ancora molto lungo. Se davvero vogliamo risolvere le sfide globali che accomunano gli africani agli europei e a tutti i cittadini del mondo, non possiamo prescindere da un programma di medio-lungo periodo di reale partneship politica tra i nostri due continenti.

Perché ritiene così importante partire dall’Africa?

Molti dei problemi che colpiscono l’Europa nascono qui, in Africa. Mi riferisco alle guerre, alla povertà, all’instabilità politica e ai livelli di insicurezza e di violenza molto elevati e diffusi sul continente africano. Mi riferisco anche alla disuguaglianza sociale che è cresciuta in questo ultimo decennio, nonostante molti paesi africani hanno fatto registrare e continunano a far registrare tassi di crescita economica che noi europei ci sogniamo. Ecco, sono questi i mali che alimentano il terrorismo e le migrazioni irregolari, mettendo del resto a rischio la vita di migliaia di cittadini africani. Se non si interviene qui attraverso una strategia politica ambiziosa, saremo sempre costretti ad agire nell’emergenza. E non mi riferisco alle follie salviniane che mirano soltanto a riempire la pancia a un tipo di elettorato innalzando muri ovunque per proteggere le frontiere europee, ma alla necessità di intervenire in Africa per aiutare gli africani ad affrontare sfide che riguardano ormai anche noi.

Molti dei problemi che colpiscono l’Europa nascono qui, in Africa. Se non si interviene lì attraverso una strategia politica ambiziosa, saremo sempre costretti ad agire nell’emergenza.

Andiamo nel concreto. Che legami sussistono tra gli attentati di Parigi e Bruxelles con quelli che colpiscono il continente africano?

I profili delle persone che si sono fatte esplodere all’aeroporto di Bruxelles o al Bataclan e quelli che si fanno saltare per aria nei mercati di Maiduguri in Nigeria non sono gli stessi, ovviamente, ma la morte che disseminano nasce dalla stessa follia criminale, messa in opera in nome di una religione che in realtà non ha nulla a che fare con la violenza. Gli attentati che hanno colpito il cuore dell’Europa e molti paesi africani si rifanno a una nebulosa terroristica che riconduce – sotto latitudini diverse – all‘ISIS, ad Al Qaeda nel Maghreb, a Boko Haram, al movimento degli Al-Shabaab, tutti gruppi che seminano odio e terrore con la volontà comune di distruggere valori come la pace e la democrazia che accomunano i cittadini europei e quelli africani.

Che strategia è opportuno mettere in piedi per raccogliere le sfide del terrorismo e dell’emigrazione in Africa?

Intanto è bene non mescolare le due cose. In Europa si sta diffondendo una sentimento molto pericoloso che associa i terroristi ai migranti che approdono sul continente europeo. Dalla Siria alla Libia, passando per l’Eritrea o la Somalia, chi lascia la propria terra lo fa per fuggire la guerra, l’instabilità politica, le dittature e l’estrema povertà, non certo per venire a colpire l’Europa. E’ bene anche ricordare che l’80% della mobilità africana avviene in Africa, con il 20% restante che tocca il resto del mondo, tra cui l’Europa. Nel contempo, la stragrande maggioranza dei flussi migratori arrivano da zone di conflitto come la Siria e di grande instabilità politica come la Libia, o da aree dell’Africa sub-shariana dove la povertà estrema e le discriminazioni sociali sono molto diffuse. Il terrorismo jihadista nasce proprio in questi territori. Tutti questi cancri possono essere vinti soltanto attraverso una cooperazione politica tra l’Unione Europea e l’Africa.

E’ bene anche ricordare che l’80% della mobilità africana avviene in Africa, con il 20% restante che tocca il resto del mondo, tra cui l’Europa.

Da anni ormai l’Europa si affaccia all’Africa presentandosi come il “primo donatore internazionale del continente”, mentre il dialogo politico tra l’UE e i paesi africani fa fatica a raggiungere pochi risultati tangibili. Come spiega questo paradosso?

Contribuire allo svilupppo dell’Africa attraverso i finanziamenti europei è estremamente importante, ma continuiamo a lanciare messaggi sbagliati agli africani attraverso politiche di aiuto poco coerenti. Prendiamo il Fondo fiduciario per l’Africa adottato dopo il Summit UE-Africa di La Valletta sulle migrazioni. A Malta, la Commissione europea e gli Stati membri dell’UE si sono impegnati a finanziare progetti e programmi per affrontare le cause che stanno all’origine dell’emigrazione irregolare africana. I fondi raccolti sino ad oggi superano di poco 1,8 miliardi di euro, e sono destinati a 28 paesi africani su un periodo che va dal 2015 al 2020. Questa somma sembra colossale, ma è poco se comparata ai sei miliardi di euro che ci siamo impegnati a dare alla Turchia da qui al 2018 per frenare i flussi di migranti verso l’Europa. Al di là delle cifre, gli aiuti non bastano per relazionarci all’Africa, la svolta può arrivare soltanto attraverso un partenariato che consenta all’Europa di essere partner nella costruzione delle infrastrutture fisiche e immateriali, nei programmi per l’educazione, la ricerca e la formazione, per favorire l’accesso delle donne e dei giovani al mondo del lavoro, difendere la democrazia, i diritti umani e il pluralismo dei media. Insomma, l’Unione Europea deve essere protagonista assoluta stando accanto a quelle forze che in Africa si muovono in questa direzione ed evitando di continuare a fare accordi meschini con dittatori e leader politici che non agiscono per il bene dei loro popoli, con lo scopo di trarre qualche vantaggio sulle risorse naturali che il continente africano tiene.

Nella precedente legislatura, l’Africa era un tema su cui il gruppo dei Liberali avevano posto grande attenzione. Oggi tocca al suo gruppo. Come giustifica la svolta dei Socialisti e Democratici nei confronti dell’Africa?

La mia proposta di rendere l’Africa una priorità politica del nostro Gruppo nasce dalla considerazione che il destino dell’Europa e quello del continente africano sono intimamenete legati. Forse il fatto di essere italiano mi spinge ad avere una maggore sensibilità e vicinanza alla problematiche africane. Ma è la geopolitica attuale che ci spinge a non poter ignorare l’Africa, a cui associo i Balcani, che sono il secondo pilastro della mia politica. La prima grande battaglia che abbiamo lanciato assieme a Cecile Kyenge, Marie Arena e Linda Mc Evan è quella dei conflitti di minerali in Africa centrale, ottenendo qualche risultato positivo. Quest’aerea simboleggia tutte le violenze più estreme che accadono nel continente africano in un contesto di globalizzazione spregiudicata. Nell’est della Repubblica democratica del Congo, uomini, donne e bambini vengono sfruttati in miniere controllate da gruppi militari criminali e mafie per estrarre minerali che poi vengono esportati in Europa per consentire alle multinazionali di produrre materiale tecnologico come il cellulare. I mobile con cui ognuno di noi effettua telefonate ad amici, parenti e colleghi di lavoro sono sporchi di sangue. Per contrastare le violenze devastanti che subiscono migliaia di donne e bambini è necessario tracciare tutta la catena di produzione e di commercializzazione dei minerali provenienti dalle zone di conflitto come la RDC verso l’Europa e nel mondo.

Contribuire allo svilupppo dell’Africa attraverso i finanziamenti europei è estremamente importante, ma continuiamo a lanciare messaggi sbagliati agli africani attraverso politiche di aiuto poco coerenti. Il Fondo fiduciario UE sulle migrazioni in Africa è una dimostrazione.

Con l’avvento di Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio, l’Africa è diventata una priorità assoluta della politica estera italiana. Da Bruxelles come osserva questo rinnovato interesse di Roma nei confronti del continente africano e che ruolo potrebbe assumere il governo per spingere l’agenda africana nelle istituzioni europee?

C’è piena sintonia tra quanto sta facendo il Presidente Renzi e la strategia del nostro gruppo parlamentare. Entrambi siamo convinti che l’Africa è un continente giovane che può offrire molto al mondo. Pensare ad una strategia globale trascurando glia africani è una cosa da miopi, se non da sciocchi. Per fortuna in Italia non sono né miopi, né sciocchi, e stanno lavorando nella giusta direzione.

Qual’è la portata dell’Africa Week che il gruppo dei Socialisti e Democratici europei organizza questa settimana al Parlamento UE e quali sono i risultati che intendete raggiungere?

L’Africa Week non è uno spot pubblicitario del nostro gruppo e non è nostra intenzione mettere la bandierina dell’Africa in mezzo al Parlamento europeo per promuoverci presso l’opinione pubblica e i media. Noi con l’Africa vogliamo fare una politica seria, il che significa andare sul terreno, incontrare gli attori che nel bene e nel male muovono il continente, difendere i più deboli. Significa anche fare un lavoro intenso nelle commissioni del Parlamento, tra cui quella sullo sviluppo, nell’Assemblea parlamentare paritaria UE-ACP (Africa-Caraibi e Pacifico, ndr), di cui Kyenge è vice presidente, con il sostegno e l’impegno dei nostri membri. L’Africa Week è un tassello importantissimo della nostra strategia, un’occasione che ci consente gli africani che accoglieremo, perché tutto parte da loro e con loro ci dobbiamo confrontare se vogliamo capire l’Africa e dialogarci nell’ambito di un rapporto di assoluta pari dignità.

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