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Povertà, 60 associazioni a Poletti: «Bene il piano nazionale ma sia solo un primo passo»

Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali intervenendo all'assemblea dell'Alleanza contro la povertà in Italia ha annunciato per il prossimo anno un piano nazionale di contrasto alla povertà. L’intervista al coordinatore esecutivo dell'Alleanza, Francesco Marsico, «riconosciamo a questo governo il merito di essere sensibile al tema, ma ancora non ci sono le promesse che ci aspettiamo»

di Vittorio Sammarco

«Il nuovo Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale avrà dal prossimo anno una dotazione di un miliardo l'anno e dall'anno prossimo avremo una misura nazionale contro la povertà». Lo ha confermato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, intervenendo all'assemblea dell'Alleanza contro la povertà in Italia. L'Alleanza (circa 60 organizzazioni tra fondatori e aderenti, dal 2013) ha fatto un primo bilancio e progetta la trasformazione per meglio raggiungere i suoi obiettivi: primo fra tutti la creazione del Reddito di inclusione sociale. Si è aperta una “finestra

di opportunità” che non rimarrà aperta per sempre, si dice con prudenza nel documento di base. In questo tempo giudicato fecondo, quindi, l'Alleanza prova a misurarsi con le sfide di una dimensione organizzativa nazionale leggera ma più complessa, articolazioni regionali/territoriali e una capacità comunicativa rafforzata. Ne abbiamo parlato con Francesco Marsico, coordinatore esecutivo dell'Alleanza.

Partiamo da un primo bilancio: i successi fino a questo punto e cosa manca per arrivare al Reis…
In questa sala c'è la gran parte dei soggetti organizzativi e delle persone fisiche che si oppongono alla povertà nel nostro Paese. E si trovano insieme, da storie e culture diverse e con modalità d'intervento molto diverse, ma sono tutti soggetti che a partire dalla società civile hanno una particolare attenzione sul tema della povertà e condividono un'idea, che non è solo quella di uno strumento, il Reis, ma una strategia generale di contrasto alla povertà. Non soltanto sul piano dei valori, ma addirittura di modalità concrete con cui realizzarla. E questo è già un grande successo, culturale e di metodo.
D'altra parte, questo metodo di lavoro, viene anche apprezzato, e lo abbiamo verificato oggi anche dalle parole del ministro, come metodo utile per il Paese per affrontare i problemi complessi, come la povertà. L'Alleanza è utile per i soggetti che la compongono, ma anche per le Istituzioni.

Quanto manca invece per raggiungere gli obiettivi?
La proposta del Reis ha un orizzonte pluriennale, e in tre-quattro anni dovrebbe raggiungere un obiettivo di rispondere a tutta la povertà assoluta nel nostro Paese, stimata a circa 4 milioni e centomila persone, con una misura universale, contestualmente economica e di inclusione sociale. Cosa ha fatto finora il governo: con la Legge di stabilità 2016 ha previsto una prima misura, il SIA (Sostegno all'Inclusione Attiva), che però per la scarsità delle risorse può intervenire, da una nostra stima, diciamo su tre poveri su dieci, sostanzialmente, ma poi bisognerà capire anche come verrà costruita effettivamente. E dall'altra, però, non potendo sul piano della dinamica normativa annunciare spese che sarebbe un impegno per il governo, il governo ci dice soltanto che ci saranno circa 6-700 milioni per il 2016 e un miliardo stabile a partire dal 2017.
È una misura di risorse insufficiente, sia per quanto riguarda la parte economica che noi stimiamo in un ammontare complessivo di risorse fra i 6-7 miliardi di euro. Che devono essere insieme risorse economiche per i contributi al reddito, e risorse che strutturino nel Paese, e non soltanto nelle regioni più forte e più ricche, strutture di servizio sociale e di presa in carico, che possano creare piani personalizzati di intervento per ogni singola persona

Avete percepito oggi, dall'intervento del ministro che le distanze rimangono ancora ampie?
Distanze sul piano delle risorse e anche sul piano – diciamo così – di tecnica normativa. Il governo non può ancora prendersi un impegno di crescita della misura per i prossimi anni. E inoltre, al momento, anche oggi il ministro ha ricordato, che non sono risorse strutturali per i servizi. Quindi c'è una grande incognita su come i servizi potranno realizzare gli obiettivi.

Quindi non siete soddisfatti?
Noi riconosciamo a questo governo il merito che usa le nostre parole e ha la nostra stessa sensibilità sul fatto che la povertà oggi è una priorità, che la povertà va combattuta con un piano pluriennale e che è un problema complesso che deve integrare i soggetti. Le distanze sono rispetto al fatto che un governo, che conduce la sua politica all'interno di un quadro di bilancio molto problematico, non può fare le promesse che vorremmo che facesse. Oggi, il ministro non ci ha potuto dire, e forse non poteva farlo, in quanti anni l'impegno dovrebbe essere raggiunto, ma ci ha dato la disponibilità, che per noi è già importante, che questo governo opererà per costruire uno strumento coerente.

Solo un punto di partenza?
Sì, sul quale vediamo ancora delle distanze. Sullo sviluppo vedremo di segnalarle via via laddove ci fossero ancora e diventassero significative.
Al momento oggi abbiamo un impegno, che condividiamo ma non abbiamo strumenti normativi che ci rassicurino su queste intenzioni.

Parlate di una nuova fase perl'Alleanza che si riorganizza. Come?
Prima dicevamo al Paese e alle forze politiche che c'era bisogno della lotta alla povertà e di uno strumento concreto come il Reis. Ma non c'era in quel momento una controparte che ci stesse a sentire, quando abbiamo cominciato a lavorare. Adesso invece abbiamo un interlocutore e dobbiamo misurare la differenza tra l'azione di governo su tutto il Piano di lotta alla povertà e la nostra proposta. Quindi cambia il nostro “mestiere”. Non dobbiamo più annunciare in maniera generica una proposta, ma dobbiamo misurare le distanze e far sì che si riducano.

Come cambiare?
La grande parola è strutturare un lavoro sia nazionale che locale, di monitoraggio delle misure, che non è soltanto statistico-funzionale, ma che contestualmente significhi essere accanto al processo che si mette in campo di risposta alla povertà, con la misura di limiti e difficoltà e anche eventualmente di buone pratiche e successi.
Non più solo un lavoro culturale generico, ma stare sul merito delle questioni, sul piano normativo e sul come si realizzano le risposte.

Anche sul piano territoriale?
Fino ad ora abbiamo avuto su alcune regioni, non poche, l'aggregazione degli stessi soggetti che compongono l'Alleanza sul piano nazionale, da oggi chiediamo uno sforzo in più: cominciare a ragionare in concreto cosa vuol dire valutare l'avvio di una misura dove c'è anche un impianto di normativa regionale. E poi: come valutare a che punto sono le macchine regionali; quali sono le porte di accesso sociale che esistono; qual è la cultura degli operatori, qual è anche la cultura di sussidiarietà che esiste nei territori. Scendere, cioè, nel senso più bello del termine, dal piano dei valori, dell'analisi astratta, a quella concreta di quanto questo possa funzionare. Non solo in termini critici, ma nel senso di misurare le distanze, e provare a colmare quelle distanze. Far lavorare le regioni sulla concretezza delle condizioni. Vuol dire, anche, sulla base di quello che diceva il ministro circa le risorse europee, costruire, regione per regione, territorio per territorio, dei Piani di contrasto alla povertà, incrementali, verificabili, e sussidiari. Questo è un lavoro che può sembrare presuntuoso, ma noi intanto cominciamo e non ci poniamo delle scadenze. Se non quella che il ministro ha posto, settembre 2016, con l'avvio del SIA. Vorremmo essere sufficientemente pronti, in diverse regioni e con le diversità di risorse regionali, per poter assumere la sfida di essere a fianco di questo processo in maniera concreta.
La povertà si sconfigge soltanto costruendo reti territoriali sufficientemente solide, capacità critiche, capacità di lettura e di progettazioni comune.


Avete anche parlato di difficoltà di far penetrare il tema nell'opinione pubblica. E solo una questione di tecniche di comunicazione?
No, non siamo così convinti che sul tema della povertà, e sul supporto al reddito delle famiglie povere, ci sia un consenso sociale assoluto, o anche solo maggioritario. Bisogna lavorare affinché ci sia effettivamente. Perché di fronte al tema della povertà non ci siano le diffidenze, da una parte e una valutazione negativa dall'altra, e non soltanto dei soggetti che ci lavorano, ma per la gran parte dei soggetti che vivono in questo Paese. Su questo abbiamo lavorato ancora poco. Sia perché è un tema complesso, quello comunicativo, sia perché gli strumenti di cui disponiamo sono ancora un po' troppo istituzionali e “sobri”, sia perché a livello locale abbiamo fatto finora un lavoro di advocacy piuttosto che di comunicazione generale. Accanto alla visibilità locale dell'Alleanza, che non vuol dire il marchio da vendere, dobbiamo lavorare sull'idea che tutti, non soltanto gli amministratori, ma assistenti sociali, comunità, vedano l'Alleanza come una risorsa, una presenza che aiuti a costruire cultura, ma anche risposte. Se riusciamo a innescare questi meccanismi che sono contestualmente di comunicazione, di monitoraggio e di azione comune, davvero riusciamo a fare la seconda fase dell'Alleanza.

Prossime scadenze?
Oggi cominciamo un percorso in cui l'Alleanza si ritrova stabilmente, lanciamo i monitoraggi istituzionali, territoriali e quant'altro, ma non sono cose che si inventano in un minuto. Vanno condivise e costruite con documenti da diffondere sui territori, con un piano di lavoro territoriale, per cui a giugno dovremmo fare il primo step. E poi, se il governo riesce a tirare fuori il suo decreto per settembre, ci sarà un altro step a valle di quell'uscita, e fra settembre e ottobre anche noi accenderemo le nostre macchine. Magari utilitarie e smart, in alcune regioni, ma che stiano accanto, e a volte anche precedono, le azioni sui territori.


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