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Politica & Istituzioni

Farnesina e Agenzia per lo sviluppo ai ferri corti?

Lanciata ufficialmente il 1 gennaio 2016, l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo non ha vita facile. Di sicuro, le tensioni con la Farnesina (in particolar modo la Direzione Generale per la cooperazione allo sviluppo, DGCS) non aiutano, sostiene Nino Sergi, policy advisor della rete Link 2007, che in questa analisi chiede al Viceministro Mario Giro di "esercitare il ruolo di facilitatore e di guida, nel caso sorgessero difficoltà ai livelli apicali delle due strutture".

di Nino Sergi

L’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo è operativa dal primo gennaio 2016. In realtà da lunedì 4 gennaio quando, dal vicino palazzo della Farnesina, si sono trasferite, con i loro pesanti faldoni, le persone ad essa assegnate dalla legge 125 dell’11 agosto 2014 sottraendole alla specifica Direzione Generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci). Un bilancio dei primi quattro mesi di vita deve quindi tener presente che si è trattato di far nascere e organizzare una realtà fino ad allora scritta solo sulla carta.

Il primo bilancio non può che essere sostanzialmente positivo. L’Agenzia c’è, è operativa ed è conosciuta e riconosciuta a livello nazionale e, gradualmente, internazionale. Gli adempimenti stabiliti dalle legge stanno seguendo i tempi prescritti: regolamento di organizzazione con la definizione delle vicedirezioni tecniche e loro articolazioni; regolamento di contabilità; costituzione delle sedi all’estero; linee guida per l’iscrizione all’elenco dei soggetti senza finalità di lucro; procedure per la concessione di contributi e condizioni per l’affidamento di iniziative agli stessi soggetti non profit; conferimenti di incarichi di funzione dirigenziale; bandi per alcuni interventi di emergenza e altre decisioni gestionali.

La base legale dell’Agenzia, oltre alla legge 125/2014 sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo, si articola nello Statuto (DM n. 113/2015) e nella Convenzione tra il Ministro e il Direttore dell’Agenzia valida per il triennio 2016-2018. Si tratta dei documenti a cui tutti devono ora riferirsi. Sembra un’ovvietà, ma occorre a mio avviso sottolinearlo per tre motivi:

  1. Il testo della Legge 125/2014 è il risultato di una mediazione tra le diverse posizioni dei partiti, spesso contrapposte: un Ministro per la cooperazione autonomo; un Viceministro agli Affari esteri con la soppressione della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) sostituita dall’Agenzia; un Ministro e un Dipartimento alla presidenza del Consiglio, la semplice revisione della precedente legge 49/1987 e altre ancora. La mediazione adottata è stata considerata la migliore possibile, tanto che il testo della nuova legge fu votato dal Parlamento quasi all’unanimità e ampie furono le aspettative suscitate dal dibattito parlamentare di quei mesi estivi del 2014.
  2. Accade spesso che i regolamenti e provvedimenti applicativi, invece di esprimere il massimo delle potenzialità e innovazioni delle leggi, tendano a frenare, a conservare l’esistente. Per la cooperazione allo sviluppo era già successo con il regolamento di esecuzione della legge 49/1987 (DPR 12.04.1988, n.177) e, a detta di molti attenti osservatori, si è ripetuto questa volta con il regolamento ‘Statuto dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo’ (DM 22.7.2015, n. 113). Le Ong hanno unitariamente manifestato le proprie perplessità e hanno puntualmente fornito indicazioni per la sua revisione. Anche entrambe le competenti Commissioni parlamentari hanno espresso la volontà che tale regolamento fosse modificato e reso più coerente con lo spirito e la lettera della legge. Hanno vinto le pressioni conservatrici: la Presidenza del Consiglio si è infatti pronunciata contro qualsiasi modifica, senza tener conto dei pareri delle Commissioni parlamentari.
  3. Questo iter normativo tendente a contenere i poteri decisionali e l’autonomia dell’Agenzia è stato confermato lo scorso dicembre con la Convenzione tra il Ministro e il Direttore dell’Agenzia.

Si intuisce che l’Agenzia vorrebbe essere e vivere quanto indicato dallo spirito della legge e dalla sua spinta innovativa, godendo della massima autonomia pur all’interno delle direttive politiche ricevute; mentre la Farnesina sentirebbe soprattutto la responsabilità di seguire e fare rispettare quanto stabilito dai tre atti normativi fondamentali.

Comunque la si pensi e qualunque possa essere la frustrazione vissuta da molti per aver visto scemare le tante aspettative suscitate dalle innovazioni introdotte dalla nuova legge 125, si deve ora prendere atto delle normative attuative adottate, anche se hanno seguito un’interpretazione restrittiva. Potranno forse essere riviste, ma dopo una valutazione della loro applicazione, attenta e temporalmente adeguata. Per il momento non possono che essere integralmente applicate.

Chi è da anni impegnato, come molti operatori responsabili di organizzazioni di cooperazione allo sviluppo e di interventi umanitari, a seguirne l’evoluzione politica, diplomatica e gestionale, avendo frequenti confronti di lavoro e approfondimento con l’Amministrazione degli Esteri sente, quasi istintivamente, che l’aria circolante tra la Farnesina e i vertici dell’Agenzia non è delle migliori, pur nella distanza di solo cento metri e nel linguaggio sempre felpato e educato che poco lascia filtrare. Ci sono forse questioni caratteriali, ma soprattutto si intuisce che l’Agenzia vorrebbe essere e vivere quanto indicato dallo spirito della legge e dalla sua spinta innovativa, godendo della massima autonomia pur all’interno delle direttive politiche ricevute; mentre la Farnesina sentirebbe soprattutto la responsabilità di seguire e fare rispettare quanto stabilito dai tre atti normativi fondamentali. Due esigenze legittime e entrambe necessarie: spinta innovativa nel rispetto della decretazione ormai perfezionata.

Sono stato uno tra i molti fautori di una piena soggettività e autonomia dell’Agenzia perché le consideravamo caratteristiche fondamentali per un maggiore sviluppo della cooperazione internazionale e una migliore prontezza di risposta, come è stato per le Agenzie di altri paesi, e anche per cercare di liberare la cooperazione da alcune vecchie incrostazioni ancora rimaste dai decenni passati. Considererei però nefasto un rapporto tra le due strutture istituzionali che non sia di forte interattività e integrazione, particolarmente in questa prima fase attuativa che richiede una buona dose di continuità insieme alla capacità di trasformarla con le innovazioni di cui l’Agenzia saprà dotarsi dopo aver superato la fase del ‘collaudo’. Sarebbe infatti assurda l’ipotetica pretesa di iniziare da capo, come se la Dgcs non fosse esistita negli anni passati e non avesse prodotto risultati; e senza sentire l’esigenza di un serio e approfondito passaggio di consegne, specie su questioni amministrative complesse, in un dialogo costruttivo con chi può mettere a disposizione know how, in modo da valutare i successi e gli errori del passato e i rimedi adottati, anche al fine di non ripeterli. E sarebbe altrettanto assurda l’ipotetica sottovalutazione della capacità propulsiva e innovativa di un’Agenzia, al pari delle altre esistenti nei paesi Ocse, da parte della Dgcs e delle altre Direzioni generali del Maeci, che dovranno riuscire a inserirsi maggiormente nel cambiamento, favorendolo.

Nell’attuale complessità della situazione internazionale, carica di tensioni e problemi che richiedono risposte forti, spesso di difficile attuazione, le sfide da affrontare esigono la massima unità di intenti e collaborazione: tra istituzioni innanzitutto, prima ancora che tra queste e i soggetti coinvolti.

Dato il linguaggio felpato ed educato a cui facevo cenno, che lascia trapelare poco, queste mie sono supposizioni basate su alcuni segnali, fievoli forse ma inequivocabili. La legge ha stabilito che la figura di riferimento su tutta la materia della cooperazione internazionale allo sviluppo, per l’Agenzia come per la Dgcs, sia il Viceministro delegato. Spetta quindi al Viceministro esercitare il ruolo di facilitatore e di guida, nel caso sorgessero difficoltà ai livelli apicali delle due strutture: valorizzando l’una e l’altra e basandosi sulle diposizioni vigenti, finché queste avranno vigore. Che piacciano o meno, esse rappresentano al momento un comune denominatore da cui non si può prescindere. Le capacità del Viceministro, la sua esperienza e la sua volontà di ampliare, qualificare e fare funzionare al meglio le attività di cooperazione allo sviluppo rappresentano la migliore garanzia perché ciò avvenga. È stato nominato quando ormai tutti i provvedimenti erano stati presi: si trova quindi nella migliore posizione per facilitare la massima integrazione e complementarietà tra Agenzia e Ministero, come d’altronde ha iniziato a fare. Nell’attuale complessità della situazione internazionale, carica di tensioni e problemi che richiedono risposte forti, spesso di difficile attuazione, le sfide da affrontare esigono la massima unità di intenti e collaborazione: tra istituzioni innanzitutto, prima ancora che tra queste e i soggetti coinvolti.

Nino Sergi, consigliere politico di Link 2007


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