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Agenzia nazionale, otto voci per analizzare la proposta

Agenzia sì o Agenzia no? È una provocazione, un segnale di incoraggiamento alle famiglie o il primo indizio esplicito di una volontà politica che punta a rottamare il sistema attuale, imperniato sugli enti privati, per ripartire con un’unica agenzia pubblica? L'abbiamo chiesto a otto persone in prima linea

di Sara De Carli

Agenzia sì o Agenzia no? La proposta di istituzione dell’Agenzia italiana per le adozioni internazionali, presentata nei giorni scorsi, che con una dotazione di 3 milioni di euro si affiancherebbe agli attuali 61 enti privati autorizzati, fa discutere. Si va a ridisegnare l’impalcatura di tutto il sistema? È una provocazione? Un segnale di incoraggiamento alle famiglie? O il primo indizio esplicito di una volontà politica che punta a rottamare il sistema attuale, imperniato sugli enti privati, per ripartire con un’unica agenzia pubblica?

Anna Maria Colella, la direttrice dell’Agenzia regionale per le adozioni internazionali del Piemonte, operativa dal 2004 e negli anni successivi convenzionatasi con altre quattro regioni (Valle d’Aosta, Liguria, Lazio e Calabria), l’unico ente pubblico d’Italia, cui la proposta di legge fa esplicito riferimento, è intervenuta su Vita.it per presentare, dal suo punto di vista, i vantaggi dell’avere un ente pubblico. Ma che ne pensano gli altri? Ecco alcune opinioni.

Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa
«L’Agenzia nazionale darebbe alle famiglie una sensazione di sicurezza e tranquillità, in particolare dopo le pesanti accuse all’opacità del sistema adozioni lanciate dalla stessa presidente della CAI. Il risparmio economico per le coppie, di cui tanto si parla, non mi sembra così grande: per i servizi Italia Cifa ha una cifra fissa di 5.500 euro, Arai tre fasce che vanno dai mille ai 3mila euro, in base all’Isee. Io credo che il confronto vada fatto con la fascia più alta, perché le famiglie che adottano con Isee sotto i 24mila euro sono poche: il risparmio quindi è di 2mila euro su cifre complessive che arrivano anche a 35mila euro. Proprio perché non è una cifra elevata, perché non riconoscere a tutti questo vantaggio? Non sono contrario a un ente pubblico nelle adozioni, ma a patto che si giochi tutti la stessa partita, non che qualcuno stia in campo con una palla e qualcun altro con una palla quadrata. E poi anche l’ente pubblico ha il dovere dell’efficienza, proprio perché sta utilizzando soldi pubblici: quanto costano alla collettività queste adozioni? Cifa ha un bilancio più o meno simile a quello dell’Agenzia disegnata, 3 milioni di euro: facciamo 220 adozioni all’anno, questa Agenzia quante ne farebbe? Quante ne fa Arai?».

Cristina Nespoli, portavoce del coordinamento CEA
«Ad una prima lettura della proposta di legge vedo il rischio che l’Agenzia sia soltanto una sovrastruttura di cui non si sente la mancanza. C’è un riferimento esplicito all’esperienza francese, ma ricordo che la Francia ha risentito più di noi dei problemi nei rapporti internazionali, non mi sembra che avere un’Agenzia nazionale sia una garanzia migliore. E poi che cosa c’è di più autorevole, all’estero, della Presidenza del Consiglio dei Ministri? La Francia ha un maggiore protagonismo del Ministero degli Affari Esteri, ma più volte è successo insieme all’ambasciatore cambiasse, nel Paese estero, la politica delle adozioni internazionali. L’Italia è stata un esempio per tanti anni, rischiamo di mandare all’aria un’esperienza che ha dato tante cose buone. Insomma, faccio fatica a vedere la necessità di un’Agenzia, piuttosto serve rivedere alcuni meccanismi di funzionamento del sistema».

Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento OLA
«Ho forti dubbi, vorrei comprendere meglio la proposta e soprattutto da cosa nasce l’esigenza di creare un’Agenzia nazionale. Se si vuole dare a più famiglie la possibilità di adottare con il pubblico basterebbe estendere le convenzioni di Arai con altre regioni, perché invece proporre un’Agenzia? Qual è il vantaggio? Io vedo soprattutto il rischio di creare un altro ente carrozzone. Quanto costa questa macchina? Devono spiegarlo, non è perplessità la mia ma desiderio di capire quali sono i vantaggi in termini economici e di efficienza».

Paola Crestani, presidente del Ciai
«Sono favorevole a un’Agenzia nazionale pubblica, ma all’interno di una riforma complessiva, che riveda il numero degli enti che si affiancano all’Agenzia e garantisca che tutti siano di qualità: in questo momento la proposta mi sembra solo quella di un ente in più. Sicuramente il pubblico sarebbe un benchmark di qualità, ma non dimentichiamo che questi benchmark esistono già, nelle linee guida e nelle linee guida dell’Aja. Tre milioni di euro mi sembra un budget eccessivo, non vorrei che i costi aumentassero anziché diminuire e il fatto che li paghi lo Stato anziché le famiglie non è una rassicurazione. Un’ultima nota sul post adozione: è giusto che sia a carico dello Stato, ma a questo punto dovrebbe essere gratuito per tutte le famiglie, non solo per chi si rivolge all’ente pubblico».

Marco Griffini, presidente di AiBi
«Siamo di fronte alla distruzione delle adozioni internazionali, non possiamo neanche permetterci di pensare alla ricostruzione, qualunque idea si possa avere per essa. Mi viene il sospetto che si voglia far morire tutti gli enti attuali per ripartire con l’Agenzia pubblica. L’Agenzia può essere fatta solo nel momento in cui ci fosse la gratuità dell’adozione, altrimenti è sperequazione. Se parliamo di sistema misto deve essere a pari condizioni, serve un regime di libere convenzioni, come nella sanità, altrimenti sarebbe il dejà vu di quel che abbiamo vissuto in sanità negli anni Settanta».

Antonella Miozzo, presidente di Afaiv
«Non sono contraria, ma in questo momento di caos assoluto sono scettica sull’utilità dell’Agenzia e di questa proposta di legge. 62 enti sono troppi, ci sono criticità, ma il sistema Italia esiste e ha aspetti buoni. Mi chiedo come funzionerebbe concretamente un’Agenzia Nazionale? Come può seguire davvero le famiglie se ha soltanto due sedi, a Roma e a Torino? Si appoggia ai servizi? Sarebbe un sogno, se i servizi non fossero da anni in via di smantellamento, se non avessero personale così poco formato. La riforma deve partire dal basso, dai servizi territoriali e da chi fa le cose, non dall’alto. Ho paura che si vada a creare soltanto un ente in più».

Monya Ferritti, presidente del coordinamento Care
«È una proposta che sto seguendo con interesse, e trovo due fattori positivi: il concepire le adozioni come un fatto collettivo e il beneficio per le famiglie, economico e di servizi diffusi e di buona qualità. Dell’Agenzia disegnata mi sembra positivo il fatto che essa possa seguire nel post adozione tutte quelle coppie che non hanno più l’ente, le coppie miste che vogliono adottare nel Paese d’origine di uno dei due, anche quando l’Italia non sia presente con un ente autorizzato, che sia prevista esplicitamente l’operatività nei Paesi scoperti, l’assoluta novità per cui l’Agenzia potrebbe segnalare ai Tribunali italiani le coppie disponibili ad adottare un bambino special needs e quindi aiutare a trovare una famiglia per i minori italiani di difficile collocazione. È un bel segnale di investimento sulle adozioni, per quanto non sia risolutivo. L’ente pubblico farebbe da benchmark sulla trasparenza, so che alcuni fanno l’obiezione dei costi, ma tante cose ci costano tanto, bisogna vedere i benefici che generano».

Anna Guerrieri, presidente di Genitori si diventa
«In quanto associazione famigliare, nella mia valutazione parto dai tre bisogni più sentiti dalle famiglie: supporto nel post adozione, semplificazione e trasparenza delle prassi, riduzione dei costi. L’Agenzia nazionale pubblica ha a che fare con questi tre punti? Sì, a patto che ci sia un reale investimento per farla funzionare. È interessante la riduzione di costi, la trasparenza delle prassi, lo stimolo e la specializzazione che l’ente pubblico porterebbe nei servizi, in ogni Regione: l’Agenzia dovrebbe avere un pool di operatori esperti in adozioni internazionali all’interno di ogni regione, con un forte investimento nella formazione, dappertutto. L’Ente descritto poi necessita di avere Paesi aperti, con una vera presenza all’estero, ad esempio attraverso accordi con le ambasciate».

Kevin Frayer/Getty Images


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