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Che fine ha fatto il dibattito sulla Bossi-Fini?

Perché non si parla più di modificare una legge che, fino a pochi mesi fa, era oggetto di critiche durissime? Ovvio che la proposta non può arrivare da Salvini. La domanda allora è questa: perché, a sinistra, nessuno si muove? Forse la Bossi-Fini è diventata un argomento tabù?

di Marco Ehlardo

Sono mesi che in televisione assistiamo a continui dibattiti, a cadenza quasi giornaliera, sui “profughi”. Che poi andrebbero definiti più correttamente richiedenti o titolari di protezione internazionale, quindi già partiamo male, ma non è questo ora il punto. Il teatrino è sempre lo stesso: il politico ferocemente contro (meglio se col fazzoletto verde che fa più scena), quello né favorevole né contrario ma pragmatico (a detta sua, ovviamente), e saltuariamente qualche organizzazione del terzo settore, che se va bene prova con difficoltà (date le urla degli altri) a chiarire le cose, ma neanche sempre è così.

In pochissimi provano a discutere delle cause di questo fenomeno. Anche qui al massimo si parla delle guerre; quasi nessuno parla delle innumerevoli forme di persecuzione esistenti in vari Paesi del mondo che in guerra magari non ci sono: persecuzioni per motivi politici, di opinione, di orientamento sessuale, religioso, etc etc.

Nessuno, anche se non soprattutto a sinistra, discute più del fatto che in Italia c’è una legge per la quale, per un migrante, è sostanzialmente impossibile regolarizzarsi, a meno di tentare la strada della richiesta di asilo.

Nessuno, cioè, discute più della legge 189/02, meglio conosciuta come Bossi-Fini. O meglio ormai legge Bossi, dato che Fini l’ha disconosciuta da tempo. Quella legge, che ha modificato il Testo Unico delle disposizioni circa la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, ha legato indissolubilmente, tranne rare eccezioni, il permesso di soggiorno al lavoro. E lo ha fatto in maniera kafkiana; per poter lavorare devi avere il permesso di soggiorno, ma per avere questo devi avere un lavoro. Un capolavoro normativo, non c’è che dire.

Ergo chi arriva o vuole venire in Italia per lavorare (e checché ne dicano politici ed opinione pubblica ne abbiamo bisogno, a meno che non vogliamo tornare a fare i braccianti, o i muratori, o i badanti e persino gli operai) è sostanzialmente impossibilitato a farlo.

L’unica strada erano i cosiddetti decreti flussi. Altro capolavoro letterario che ha permesso per anni di aprire una quota per un numero limitato di aspiranti lavoratori, che un datore di lavoro avrebbe dovuto scegliere nominalmente nel loro Paese, non si capisce bene su quali basi. Come facesse, ad esempio, un imprenditore bresciano a conoscere Tizio Caio abitante in Ghana e a “chiamarlo” a lavorare per lui è un mistero. Ovvio che era diventata l’unica forma di regolarizzazione nascosta di chi fosse già qui.

Ma anche i decreti flussi, da un certo punto in poi, sono stati bloccati. Perché, dunque, non si parla più di modificare la Bossi-Fini? Ovvio che è difficile possa farlo il centro-destra, che sulle migrazioni ci sta costruendo il proprio futuro elettorale. Ma a sinistra? Non lo fece Prodi, e non ci ha nemmeno provato più nessun altro.

Probabilmente sarebbe una discussione impopolare oggi, ma la politica, quella seria, dovrebbe affrontare i problemi al di là dello stato d’animo del momento. Si favorirebbe una “invasione” di migranti? Allora chiariamoci bene: o vuol dire che al momento non c’è nessuna invasione (come dicono i dati a leggerli bene) oppure, per quelli che dicono che l’invasione c’è, vuol dire che con questa legge le cose non stanno andando così bene lo stesso, no?

In conclusione, andrebbe ripreso questo dibattito sulla Bossi-Fini, per una serie di motivi concreti.

Il primo è che non possiamo accettare un livello così alto di lavoro nero e di vero e proprio sfruttamento, alimentato dalla facile ricattabilità di chi un permesso di soggiorno non lo ha e che non ha al momento nessun altro strumento per regolarizzare la propria permanenza sul territorio. Chi dice che non possiamo accogliere i migranti economici perché non c’è lavoro, forse dimentica che il lavoro in molti settori c’è, ma si preferisce utilizzare mano d’opera a nero.

Il secondo è che, con il rafforzamento dei canali di migrazione legale, oltre a creare canali di accesso sicuri, si eviterebbe l’utilizzo della domanda di protezione internazionale come unico mezzo di regolarizzazione. Questa distorsione dello strumento della richiesta di protezione (a mio avviso comprensibile e persino eticamente accettabile in assenza di alternative) costa comunque allo Stato in termini di accoglienza, considerato che il tasso di riconoscimento delle domande è di circa il 50%.

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Inoltre lo Stato avrebbe la possibilità di programmare politiche di integrazione che distinguano i migranti forzati da quelli “economici” ed attivare percorsi di integrazione diversi specifici sul target, migliorando l’efficienza del sistema.

Il terzo è che rafforzeremmo la tutela dei richiedenti protezione internazionale (che a parole tutti sostengono, a sinistra e a destra), che rappresentano la parte più vulnerabile delle migrazioni, senza dover sacrificare chi non lo è (motivo per cui, forse, molte organizzazioni di tutela in questo momento non vogliono rischiare di mettere sul tavolo l’argomento).

Non ci aspettiamo al momento che lo faccia il Governo. Men che meno che lo faccia l’opposizione. Ma che non lo faccia più nessun altro francamente mi sorprende.


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