Cooperazione & Relazioni internazionali

Migration compact: un nuovo fondo per la cooperazione in Africa

Il Piano di Renzi per finanziare una gestione europea dei flussi migratori è al centro di aspri negoziati a Bruxelles. Bocciati gli eurobonds, si punta a un sistema di finanziamento simile al Piano Juncker per gli investimenti nello spazio UE. Questa volta il continente privilegiato è l'Africa, con un fondo per la cooperazione con circa 5 miliardi di euro e la speranza di ottenere un "effetto leva" per raggiungere 65 miliardi di euro di finanziamenti. Il commento di Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor di Link 2007.

di Nino Sergi

La proposta del presidente Renzi ha trovato orecchie attente nella Commissione, nel SEAE, Servizio europeo per l’azione esterna presieduto da Federica Mogherini, e in alcuni importanti Stati membri. La Commissione e il SEAE stanno modificando la proposta dei bonds, che non ha trovato consenso, con un sistema di finanziamento che il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno dovrebbe discutere e approvare. E’ stata ripresa cioè l’idea di un piano di investimenti nel continente africano elaborato dalla Direzione Sustainable Growth and Development, DEVCO, alcuni mesi fa per rendere più ampia, incisiva ed efficace l’azione di sviluppo dell’UE.

Si tratta di una proposta innovativa perché parte dalla individuazione, all’interno della programmazione esistente, di un capitale di partenza capace di attrarre investimenti pubblici (governi e banche di sviluppo degli stati membri, Bei, Bers) e investimenti privati (imprese, banche, fondi di investimento) con l’obiettivo di finanziare i progetti che saranno programmati. Tale capitale iniziale potrebbe essere pari ai 4,8 miliardi già stanziati, riprogrammati in modo da incentivare ed attrarre più di 65 miliardi – stando alle stime della Commissione – con investimenti dei settori pubblico e privato.

Viene riproposto cioè il metodo usato per dare concretezza al Piano Junker per il rilancio dell’economia UE: con un capitale incentivante iniziale di 21 miliardi sono già stati raccolti 100 miliardi di euro di investimenti e si prevede di arrivare a più di 300. Un fondo per assicurare i rischi degli investitori, più alti in Africa che non in Europa, dovrebbe affiancare lo strumento finanziario allo studio.

Se il piano fosse adottato, l’UE potrebbe far partire subito una prima fase di investimenti di 30 miliardi di euro con 200 progetti già individuati e valutati dalle istituzioni finanziarie e dai paesi interessati. Ancora più potrebbe essere fatto se si analizzasse la programmazione per identificare risorse supplementari verso investimenti produttivi e la creazione di impiego.

Se il piano fosse adottato, l’UE potrebbe far partire subito una prima fase di investimenti di 30 miliardi di euro con 200 progetti già individuati e valutati dalle istituzioni finanziarie e dai paesi interessati.

Come valutare il Migration Compact?

Appena letto il testo, ho postato su facebook queste parole che bene introducono le osservazioni che poi seguiranno. “Di fronte alla paralisi delle idee che pervade l'UE, sembra un’idea chiara e articolata, anche se limitata. Si può sempre fare meglio, ma è un serio tentativo che cerca di salvare l'unità europea, di fronte al rischio di disintegrazione, e stabilire nuovi rapporti internazionali basati su una maggiore cooperazione dell'UE/Stati membri con i paesi di provenienza e di transito, prevedendo specifici accordi migratori. E’ una strada che va però percorsa nel modo giusto. Deve cioè essere basata su relazioni di rispetto, equità, parità, sviluppo comune che mettano fine a quei rapporti di forza che producono sfruttamento e aumentano gravemente le disuguaglianze, in paesi che possono presto avere popolazione e bisogni raddoppiati. E deve essere basata sul rispetto dei diritti e della dignità di ciascun essere umano e della propria comunità.”

Non vi è dubbio che all’Africa serva un vasto programma di cooperazione indirizzato agli investimenti in infrastrutture, energia, agricoltura, sicurezza alimentare, servizi pubblici, all’educazione, all’occupazione, alle riforme strutturali, alla good governance, all’inclusione economica, sociale e culturale specie per le fasce e regioni più bisognose. Tra una trentina di anni il continente si troverà con 700 milioni di persone in età lavorativa e una popolazione di 2,4 miliardi, raddoppiata rispetto a quella attuale. Il fenomeno migratorio verso regioni africane economicamente più avanzate e verso altri continenti, compresa l’Europa in forte declino demografico, potrebbe assumere dimensioni impressionanti se non si provvederà, da subito, a favorire uno sviluppo diffuso e dignitoso. Un simile “piano Marshall” per l’Africa avrebbe ricadute economiche importanti anche sulle economie e l’occupazione europee. Ricadute da non sottovalutare, perché favoriscono l’attuazione e la continuità del piano. Questo aspetto è fondamentale perché assicura sostegno diffuso e comprensibile al piano. Infine, con il sostegno europeo, il G7 a guida italiana nel 2017 potrebbe valorizzare e amplificare tale piano aggregando i grandi del pianeta su un’idea forte di cooperazione allo sviluppo, proprio come fu il piano Marshall, ma con il centro di gravità spostato da Washington a Bruxelles e Roma.

con il sostegno europeo, il G7 a guida italiana nel 2017 potrebbe valorizzare e amplificare tale piano aggregando i grandi del pianeta su un’idea forte di cooperazione allo sviluppo, proprio come fu il piano Marshall, ma con il centro di gravità spostato da Washington a Bruxelles e Roma.

Il Migration Compact (i cui punti salienti sono presentati nel documento allegato in fondo all'articolo) va solo in parte in questa direzione ed è bene esserne consapevoli, sperando che nella sua definizione possano essere inseriti correttivi per dare maggiore coerenza alle politiche europee con l’Africa.

Ecco, anche se in modo conciso, alcune osservazioni e valutazioni:

  1. Il principio “aiutiamoli a casa loro” richiede una consistente e costante strategia di sviluppo e di stabilizzazione politica di lungo periodo. Da sfatare è la convinzione che gli immigrati siano i più poveri dei paesi più poveri. E’ con lo sviluppo che aumentano le risorse (finanziarie e culturali) per poter partire. In una prima fase lo sviluppo fa quindi crescere l’emigrazione: solo nel lungo periodo e con un adeguato e diffuso livello di sviluppo del paese essa diminuisce, fino a favorire processi di ritorno.
  2. Abbinare sviluppo e pretesa di contenimento della migrazione non può quindi funzionare nel breve periodo se non in modo limitato. Tale contenimento potrà essere il risultato principalmente delle misure di polizia (controllo dei confini, sicurezza, gestione dei flussi, rimpatri, lotta ai trafficanti e allo sfruttamento), utili ma certamente non idonee ad affrontare alla radice i problemi.
  3. Il riallineamento degli strumenti finanziari della cooperazione allo sviluppo solo verso le finalità del Migration Compact, con una revisione di medio termine della programmazione 2014-2020, può comportare un mutamento genetico delle politiche di sviluppo dell’UE e dei rapporti di partenariato con i paesi terzi, riducendoli a un do ut des che subordina i processi di sviluppo agli immediati interessi europei. Praticamente sottraendo subdolamente risorse destinate alle priorità dello sviluppo, rischiando di tralasciare interventi essenziali per la lotta alla povertà e l’inclusione e inquinando i dati per lo sviluppo, confondendoli con quelli dell’internazionalizzazione, della sicurezza, degli affari interni. Il piano di investimenti dell’UE fuori dall’Unione europea sembra poter aggiustare il tiro ed evitare ogni subordinazione.
  4. Anche i temi dei diritti umani e della protezione internazionale rimangono alquanto sfuocati. L’accordo UE-Turchia, preso a riferimento, non può certo essere il modello a cui riferirsi. Convenzioni internazionali impegnano l’Italia e i paesi europei in tema di diritti umani e di protezione internazionale e il Migration Compact ad esse deve fare riferimento. Nel testo si parla certo di accoglienza secondo standard internazionali: ma non è dato sapere come ciò sia possibile in Stati africani che non riescono a garantire i diritti umani fondamentali ai propri cittadini.
  5. Esternalizzare la gestione dell’asilo può essere una misura di tamponamento in un’Europa confusa e divisa, che dovrà in ogni caso riuscire ad assumere le proprie responsabilità se non vuole ridursi ad entità marginale nel contesto mondiale. Positiva, in questo senso, è l’apertura agli ingressi legali anche per motivi di lavoro: essi sono l’alternativa agli ingressi illegali e al relativo traffico di esseri umani che produce sofferenza e morte. Tale alternativa andrebbe assunta da subito, insieme ai corridoi umanitari, per chi fugge da guerre.
  6. E’ indispensabile che, pur nell’unicità dell’ampio programma, si possa distinguere tra la cooperazione per lo sviluppo e le altre forme di cooperazione relative alla sicurezza e al controllo/contenimento dei migranti. Si spera che il “diverso modello di sviluppo” di cui parla giustamente il presidente Renzi rimanga incentrato sui processi di sviluppo, economico, sociale, ambientale, culturale, politico e non si riduca mai, anche solo temporaneamente, a semplice, pur importante, strumento per contenere le migrazioni. Sarebbe decretarne il fallimento, perdendo l’occasione storica di una svolta nelle relazioni internazionali modificando, con veri partenariati, quei rapporti che producono sfruttamento e aggravano le disuguaglianze.
  7. La coerenza delle politiche dovrà guidare il Migration Compact, verificando che ogni sua tappa ed iniziativa siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che dovranno rimanere prioritari. I programmi di aiuti per lo sviluppo, compreso l’impegno per la fine dei conflitti e la loro prevenzione, e i provvedimenti interni per l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati e rifugiati dovranno anch’essi procedere in modo parallelo e coerente. Anche tenendo presente che l’Europa di domani sarà sempre di più un’Unione di popoli di diverse provenienze, culture e colori.
  8. Bene quindi l’iniziativa del presidente Renzi che è riuscita a smuovere le acque agitate ma stagnanti dell’UE in tema di immigrazione. Ora tocca ancora a lui, insieme al presidente Junker e ai vicepresidenti, all’alto rappresentante Mogherini, ai commissari Mimica e Hahn (politiche di sviluppo e politiche di vicinato), al Consiglio europeo, riposizionare sui giusti binari l’intuizione e il programma che ha proposto.

Credito foto di copertina: Filippo Monteforte/Afp-Getty Images


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