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Gli Europei secondo Marc Augé

Il celebre sociologo ha pubblicato un libro dedicato al Football. «lo spettacolo del calcio ha qualche cosa di rituale, obbedisce a regole che vengono dal passato ma che, quando funziona, apre sul futuro»

di Giampaolo Cerri

È un antropologo conosciuto per molti studi e per una definizione, quella dei “non luoghi”, divenuta celebre. Marc Augé, francese di Poitiers, 80 anni, torna però nelle librerie italiane con un saggio breve sul calcio. “Football, il calcio come fenomeno religioso” si intitola il volume editato dall’Edizioni Dehoniane di Bologna, e che arriva oltretutto sugli scaffali poco prima dei campionati europei, in corso in Francia.

Professore, innanzitutto perché un libro sul calcio? In Italia la conosciamo come uno uomo di ricerca, un antropologo, un etnologo…
Le dico innanzitutto una cosa. Questo libro riprende un articolo apparso sulla rivista Le Débat nel 1982. E ho scoperto il libro quando dei giornalisti me ne hanno fatto scoprire l’esistenza. Né l’editore italiano, né Le Débat mi aveva chiesto un parere sull’idea di pubblicarlo.

Vabbé ma adesso il libro c’è.
Ecco, allora le dico che sarei d’accordo, oggi, con quel che scrivevo all’epoca. Che lo spettacolo del calcio ha qualche cosa di rituale, obbedisce a regole che vengono dal passato ma che, quando funziona, apre sul futuro. Tutto ciò, se vuole, è condensato nella stessa partita di football. Ma c’è un secondo aspetto.

E quale?
Il carattere totemico di questo sport. Si identificano le squadre per dei colori o per un animale che le simboleggia. Lo si fa in modo permanente, per quanto i giocatori vengano un po’ dappertutto e la loro sia una presenza solo transitoria.

Una curiosità: ma lei ha osservato il calcio solo da studioso o è anche un po’ tifoso? O lo è diventato dopo quell’articolo?
Seguo certe partite, ma non sono un appassionato, tantomeno un tifoso però. Non si può ignorare l’importanza di un fenomeno che mobilità le folle e sul quale si cristallizzano certi problemi sociali. Nelle celebrazioni di culto che caratterizzano il football c’è, in effetti, qualcosa si tribale, o piuttosto di frammentato, come dicono gli etnologi. Posso farle un esempio italiano?

Perfetto.
I tifosi della Roma e dell’Inter di Milano si ritroveranno per sostenere la squadra nazionale durante gli Europei.

Temo che questa unione avverrà del tutto casualmente. Ma, secondo lei, questo sport può essere, come lo è stato nel passato, uno strumento del potere politico?
Certo, il calcio può essere sfruttato dai politici ma è un’arma a doppio taglio.

In che senso?
Per esempio, in Francia, oggi, il potere può sperare che l’agitazioni sociale (quella contro la Loi travail, il Jobs Act transalpino, ndr), si calmi durante la Coppa Europa, ma se l’équipe francese non mantenesse le promesse di vittoria, l’arrabbiatura investirebbe inevitabilmente il governo di Manuel Valls. In ogni caso, l’oppio dei popoli, come si diceva un tempo, ha un’azione limitata e non serve quasi mai allo scopo.

A proposito di potere, nel 2015, l’inchiesta americana sul numero uno della Fifa, Joseph Blatter, ha provocato in Europa uno scandalo enorme. Qualcuno ha pensato che si trattasse di un attacco statunitense alla stabilità stessa dell’Unione. C’ha mai pensato?
Non ho seguito abbastanza l’affaire Blatter, ma è sicuro che il calcio e la sua organizzazione mondiale costituiscano, oggi, un ambito politico ed economico importantissimo. E tutti i colpi sono permessi, anche se nessuno ammette nulla.

Abbandoniamo il calcio ma stiamo sull’Europa, professore. Come la vede da antropologo? Quali sono le tribù attuali?
Ah, guardi, l’Europa è priva di un progetto di futuro e, qualche volta, si ha l’impressione che ci si preoccupi di allargarla prima ancora di pensare a definirla. Nei fatti, poi, al giorno d’oggi, c’è un’Europa a due, forse a tre velocità. Anzi, è possibile che ciò si traduca nella gerarchie del football.

Professore, non si tratta certo di tribù, ma il fenomeno delle comunità islamiche in Europa, mostra dei gruppi che non si vogliono integrare. Secondo lei è un problema o è una delle tante nostre paure?
Secondo me la questione islamica è mal posta, mi permetta. In Francia, la maggioranza di persone d’origine musulmana è islamica come io sono cattolico, ossia sono degli indifferenti dal punto di vista religioso. La spinta dell’Islam è, per una parte, un’offensiva ideologica che punta a creare, come minimo, una comunità su base religiosa. E dunque è là che si colloca il vero problema, che è serio, e che può suscitare paure molto più pericolose e che rischiano di sbagliare bersaglio.

Lei è rimasto famoso, anche in Italia, per la definizione dei non-luoghi, come gli aeroporti, i supermercati. Quali sono quelli più attuali?
Oggi sono il contesto di ogni luogo possibile. Lo smartphone all’orecchio, l’occhio sullo schermo del mio tablet: ovunque io sia, sono altrove.


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