Economia & Impresa sociale 

Csr, in Italia oltre 1,2 miliardi di euro di investimenti

Presentato al Ministero dello Sviluppo Economico il VII Rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende in Italia a cura dell’Osservatorio Socialis in collaborazione con Baxter, FS Italiane, Prioritalia e Terna

di Redazione

La rilevazione statistica 2016 (scaricabile in allegato) sulla responsabilità sociale d'impresa (#RapportoCSR7) presenta dati record, estremamente significativi poiché direttamente correlati al valore che le aziende danno ai temi della CSR (Corporate Social Responsibility). Sono i dati più elevati percentualmente degli ultimi 15 anni: l'80% delle imprese italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara di impegnarsi in iniziative di CSR, per un investimento globale che ha raggiunto la cifra record (dal 2001 anno in cui si iniziò a monitorare il fenomeno) di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015.

«È stato necessario molto tempo, ma oggi possiamo dire di essere davvero in presenza di una vera e propria inversione di tendenza ­- ha affermato Roberto Orsi, direttore dell'Osservatorio Socialis – i cui effetti saranno ancor più evidenti tra pochi mesi, quando l'Italia recepirà la Direttiva UE 95/2014 che impegna le imprese di grandi dimensioni e imprese che costituiscono enti di interesse pubblico, a rendicontare anche le informazioni di carattere non finanziario. Un cambio di passo significativo, che premierà chi sarà in grado di integrare i comportamenti socialmente responsabili con l'organizzazione aziendale».

La CSR da strumento accessorio e poco considerato sembra dunque essere diventata un valore essenziale per le imprese. Coinvolgimento dei dipendenti, attenzione all'ambiente, lotta agli sprechi, ottimizzazione dei consumi energetici e ciclo dei rifiuti: questi i terreni di maggiore impegno dichiarati dalle aziende impegnate in CSR.

«Lavorare per le generazioni future e creare valore dal punto di vista sociale e ambientale è la base del nostro impegno nella sostenibilità. Un fil rouge che guida la politica di Baxter in tema di Corporate social responsibility e che rappresenta un pilastro fondamentale dell’attività dell’azienda. La responsabilità verso le generazione future – spiega Giorgio Cicco, Direttore Risorse Umane South Europe Baxter – è un punto centrale nella declinazione delle nostre attività in ambito CSR. Da anni portiamo avanti un percorso che si fonda sulla formazione dei giovani, sul loro inserimento nel mondo del lavoro, sulla loro crescita all’interno di un contesto aziendale multinazionale e infine, non meno importante, sul confronto interno cosicché il loro punto di vista contribuisca al continuo miglioramento del nostro lavoro».

«FS Italiane ha superato il confine dell'Italia in termini di CSR – ha aggiunto Fabrizio Torella, Responsabile delle Attività Sociali di Impresa di FS Italiane -. Abbiamo infatti promosso Gare Européenne et Solidarité, una rete europea di 12 imprese ferroviarie che hanno deciso di mettere a fattore comune le best practices sui temi dell’accoglienza, considerando che le stazioni in tutta Europa sono i luoghi urbani dove maggiormente si concentrano poveri e migranti. Il nostro modello di Help Center, presente in 16 stazioni italiane, è diventato un modello europeo. E’ un modo concreto per declinare il concetto di responsabilità sociale, che è ormai patrimonio delle imprese italiane ed europee più evolute».

Sempre secondo il VII Rapporto, a sostenere la spinta virtuosa sono i consumatori, che premiano le aziende più etiche, mentre le istituzioni nazionali sono attese al varco del recepimento della Direttiva UE 95/2014, che dovrà regolare la rendicontazione delle imprese con più di 500 dipendenti in tema di ambiente, politiche di genere, diversità, politiche sociali, anticorruzione.

«Oggi il ruolo professionale dei manager – ha commentato Marcella Mallen, Presidente di Prioritalia, l’Associazione fondata da Manageritalia, Federmanager, Fenda, Fidia, Sindirettivo e CIDA – implica una maggiore responsabilità nei confronti del sociale e la nostra missione associativa va proprio nella direzione di intercettare il lato solidale, generoso e dinamico del management italiano che, se costantemente valorizzato, può avere un impatto positivo nella creazione di leadership civiche e nei processi di accelerazione dell’innovazione sociale».

L'evento di presentazione del VII Rapporto CSR in Italia, curato dall'Istituto Ixè per l'Osservatorio Socialis, è stato patrocinato da: Presidenza del Consiglio, Ministero delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, Rappresentanza Italiana UE, Regione Lazio, ACRI, Aidp Lazio e ben 9 Università (Ca'Foscari, Milano Bicocca, La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, Firenze, Pesaro Urbino, Lumsa, Udine).


Ecco in sintesi dati più significativi del VII rapporto sull'impegno sociale delle aziende in Italia:

Più imprese socialmente responsabili – Nel 2014, anno di riferimento del precedente rapporto, le imprese che dichiaravano di impegnarsi nella responsabilità sociale d’impresa erano il 73% del campione. Nel VII rapporto questo dato cresce: ad attuare una strategia di CSR è l'80% delle imprese italiane con più di 80 dipendenti.

Risorse investite tornano a crescere – Superato l'impatto della crisi economica di questi anni, la cifra media investita nel 2015 è mediamente di 176mila euro, superiore a quella del 2013 dell'11% (investono cifre superiori alla media i settori della finanza, l’industria elettronica e farmaceutica). Più imprese attive in CSR generano una crescita del totale investito del 22% rispetto a due anni fa, per un totale di 1 miliardo e 122 milioni di euro. Anche la previsione relativa al budget dedicato nel 2016 è in aumento (+4% rispetto al 2015).

Quale CSR? Cresce quella per l’ambiente – La scelta del tipo di iniziative di CSR da attuare varia a seconda dei settori produttivi: il finance predilige soprattutto benessere interno e cultura; i trasporti sono attivi soprattutto sull'ambiente; l’elettronica/informatica/telecomunicazioni è più attento a clima interno, ambiente e cultura; la chimica/farmaceutica si focalizza su sviluppo delle comunità locali e cultura; la meccanica predilige attività di CSR per i processi e i prodotti sostenibili; il manifatturiero sceglie maggiormente attività per i processi e prodotti sostenibili e lo sviluppo delle comunità locali; il metallurgico e i servizi dedicano attenzione più verso il benessere interno e l’ambiente.

La CSR ha priorità interne e “locali” – Per quanto concerne il terreno prescelto per le proprie attività di responsabilità sociale, a parte l’interno dell’azienda (scelto dall'83% delle aziende) le altre attività di CSR si concentrano in prima battuta sul territorio locale dell’azienda (36%); solo il 9% sceglie di intervenire all'estero. Dunque con la CSR le aziende cercano anche un miglioramento nei propri “rapporti di vicinato”.

L’obiettivo è ancora la reputazione, segue la sostenibilità ambientale – L'interesse al miglioramento d'immagine dell'azienda resta la motivazione principale per puntare su attività di CSR, anche se passa dal 47% dello scorso rapporto al 29% dei dati del 2016; l'attenzione per lo sviluppo sostenibile si afferma invece al secondo posto, con il miglioramento del clima interno che scende al 20% dei voti; in generale i vantaggi fiscali/economici rappresentano una variabile che incide moderatamente sulle motivazioni delle aziende, mentre l'obiettivo di fidelizzare i clienti passa dall'8% al 17%.

La spinta al cambiamento arriva dalle aziende stesse – 20 intervistati su 100 ritengono che i promotori della CSR in Italia siano le aziende stesse, seguite da consumatori (15%) e terzo settore (14%); resta abbastanza residuale e limitato l'impatto delle istituzioni nazionali: le amministrazioni locali sono indicate da 9 intervistati su 100; le Istituzioni nazionali solo da 4 intervistati su 100.

Gli elementi di freno alla diffusione della CSR – Elementi di freno agli investimenti sembrano essere la mancanza di incentivi fiscali e la mancanza di risorse economiche; Il 16% segnala anche l'assenza di una cultura manageriale orientata alla CSR e di personale qualificato, mentre il 12% lamenta la mancanza di una qualificazione specifica rintracciabile nel personale. Non a caso, quasi il 70% degli intervistati ritiene che una specializzazione in CSR e/o sostenibilità ambientale possa rappresentare un elemento di distinzione nel curriculum.


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