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Cooperazione & Relazioni internazionali

Fatou Bensouda: «Io cacciatrice di criminali contro l’umanità»

Intervista alla giurista gambiana da quattro anni procuratore capo della Corte penale internazionale. Una carica mai raggiunta da nessuna donna

di Joshua Massarenti

Sei piani separano l’aula della Corte penale internazionale (Cpi) dove vanno in scena i processi contro i responsabili dei crimini più gravi contro l’umanità dagli uffici dove ci accoglie quella che Time Magazine ha definito una delle donne più influenti al mondo nel 2012. È l’anno in cui Fatou Bensouda, giurista gambiana, è stata eletta Procuratore capo della Cpi, diventando la prima donna africana ad assumere un ruolo così importante nella giustizia internazionale.

Dal 2002, a Cpi ha pronunciato appena quattro sentenze. Una
miseria. Ma Bensouda si difende, anzi contrattacca in
questa intervista esclusiva con
cessa a Vita e ai suoi media partner africani nell’ambito di un progetto sostenuto dal ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale.


Quattro sentenze in quattordici anni, non le pare un po’ poco?
No, nei primi anni siamo stati costretti a mettere in piedi l’ufficio, reclutare il personale, elaborare le nostre strategie e adottare procedure molto complesse come la protezione dei testimoni. Sinora abbiamo aperto 23 casi, con tre processi in corso e nove esami preliminari. Chi pensa che la Corte possa fare miracoli si sbaglia, i nostri sono tempi lunghi perché i crimini che affrontiamo sono di un’enorme complessità. Chi ci accusa di lentezza dovrebbe osservare i tempi giudiziari necessari per processare a livello nazionale un solo individuo accusato di omicidio. La Corte invece mette le mani su casi che coinvolgono centinaia di migliaia di vittime. Inoltre, le nostre inchieste spesso av- vengono in zone di conflitto e questo naturalmente incide sui tempi.

Bensouda è una delle donne più influenti nel mondo

Time Magazine

Alcuni dirigenti africani hanno invocato il ritiro dell’Africa dalla Cpi. Lei come reagisce?
Questa minaccia è un passo indietro enorme per il continente. Se fosse accolto darebbe il via libera all’impunità. Non posso negare che i primi Paesi sui quali abbiamo iniziato a lavorare sono africani, ma questi dossier nascono da casi su cui sono stati gli Stati africani a chiedere la collaborazione della Corte. La Corte interviene soltanto se uno Stato firmatario non ha i mezzi o la volontà di organizzare un processo sul suo territorio. Vorrei anche ricordare che la Corte non lavora soltanto sull’Africa. Stiamo indagando su crimini in Georgia e abbiamo aperto indagini preliminari in Afghanistan, Palestina e Iraq. La Corte non ha nessun mandato politico.

Perché i casi del congolese Bemba e del terrorista maliano Al Mahdi sono così importanti?

Nel caso di Bemba, è la prima volta nella storia della Corte che un comandante militare viene ritenuto colpevole per crimini commessi dalle sue forze contro civili in un Paese terzo, in questo caso la Repubblica centrafricana, in quanto non ha fatto nulla per fermarle. È un segnale molto importante mandato ad altri comandanti militari che un giorno potrebbero rispondere di crimini a cui non hanno partecipato in modo diretto. Per quanto riguardo Al Mahid, anche lì è la prima volta che un accusato viene incolpato di crimini di guerra per aver distrutto dei monumenti e degli edifici storici dedicati alla religione.



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