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Il blocco a Gaza non permette la ricostruzione: l’allarme delle agenzie internazionali

Meno del 10% delle 11.000 case distrutte dai bombardamenti sono state ricostruite. L'appello #OpenGaza lanciato da Cospe e Aida ha raccolto già oltre 600.000 adesioni. «A meno di progressi immediati, i palestinesi che vivono a Gaza non saranno in grado di portare avanti la loro vita e vivere in libertà, dignità e sicurezza»

di Redazione

Due anni dopo lo scoppio della guerra del 2014, che costò la vita a 1.492 civili palestinesi, tra cui 551 bambini, gran parte della Striscia di Gaza rimane in rovina. Interi quartieri rimangono tagliati fuori dai rifornimenti di acqua, gli ospedali e le cliniche distrutte non sono ancora state ricostruite, e si contano decine di migliaia senza tetto.

I progressi nella ricostruzione sono davvero minimi, per cui la situazione a Gaza rimane terribile. Meno del 10% delle 11.000 case che sono state completamente distrutte durante i 51 giorni di bombardamenti delle forze armate israeliane sono state ricostruite. Come conseguenza della guerra e l'impatto del blocco imposto nel 2007 da Israele, più di 75.000 palestinesi di Gaza non hanno ancora una casa in cui tornare.

I minori sono la fascia di popolazione che maggiormente soffre dei traumi di questa violenza. Come COSPE siamo impegnati, insieme a organizzazioni partner locali, in un progetto di sostegno socio-psicologico rivolto a minori e donne disabili che hanno subito questo tipo di traumi nelle aree di Gaza City, Khan, Younis, Rafah e Deir Al Balah.

«Israele deve rispondere della grave situazione di emergenza in corso a Gaza da ormai diversi anni, dal momento che controlla quasi completamente l’intero confine, via terra e via mare, con la Striscia. È compito della comunità internazionale esigere il rispetto dei diritti umani, ponendoli alla base delle relazioni commerciali e diplomatiche con lo stato di Israele», commenta Giorgio Menchini, presidente COSPE.

COSPE, insieme a tante ong, rilancia la campagna #OpenGaza promossa da AIDA, un’associazione che raccoglie le maggiori ong internazionali. Un video, tradotto in diverse lingue, racconta attraverso dati e numeri la drammatica situazione attuale e invita a “dare un futuro” a Gaza. L’appello è quello a firmare la petizione per la fine del blocco.

Un appello a cui hanno già aderito oltre 600.000 persone, (clicca qui per firmare).

«Due anni dopo l'inizio della guerra, il blocco sta gravemente ostacolando la ricostruzione e la ripresa di Gaza. A meno di progressi immediati, i palestinesi che vivono a Gaza non saranno in grado di portare avanti la loro vita e vivere in libertà, dignità e sicurezza», ha dichiarato Chris Eijkemans, direttore di Oxfam in Palestina. «Con l'avvio del “cessate il fuoco”, i leader mondiali hanno promesso di lavorare per uno sviluppo sostenibile e di lungo periodo per i palestinesi che vivono a Gaza. Tuttavia, ci sono poche evidenze realmente concrete di tali promesse».

Le organizzazioni internazionali che operano nei Territori Palestinesi Occupati lanciano l'allarme sulla mancanza di progressi nella ricostruzione di Gaza, a seguito delle pesanti restrizioni imposte dallo Stato di Israele all'ingresso di materiali fondamentali per gli interventi di ricostruzione. Le organizzazioni invitano i leader mondiali a tenere fede ai loro impegni e ad esercitare pressioni politiche per la fine immediata del blocco.

Il blocco quasi decennale ha paralizzato l'economia di Gaza. Senza la capacità di esportare sui mercati esteri, l'occupazione nel settore privato è precipitata. Il tasso di disoccupazione è superiore al 40%, con un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti al mondo.

L'impatto del blocco sui minori è particolarmente devastante, e decine di migliaia di bambini rimangono senza casa a seguito del conflitto del 2014.

«La metà della popolazione di Gaza è composta da bambini e minori, molti dei quali ormai hanno vissuto tutta la loro vita sotto assedio, sin da quando sono nati. A centinaia di bambini che necessitano di un trattamento medico salva-vita viene impedito di lasciare Gaza. Due anni dopo, ancora non sono state affrontate le cause della loro sofferenza», ha dichiarato Fikr Shalltoot, Direttore dei programmi a Gaza dell'organizzazione Medical Aid for Palestinians.

Chris Eijkemans ribadisce che «la fine del blocco è l'unica soluzione per dare alle persone l'accesso ai servizi di base di cui hanno disperatamente bisogno, per consentire che la ricostruzione proceda veramente, e per consentire il riavvio dell'economia paralizzata nella Striscia di Gaza. Il blocco è illegale secondo il diritto internazionale e costituisce una punizione collettiva di un'intera popolazione. Solo la sua fine immediata porterà sicurezza a lungo termine per i palestinesi e gli israeliani».


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