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Ecco com’è cambiata l’Italia negli ultimi 100 anni

Si chiama “Un secolo di Italiani” lo speciale che fotografa attraverso i dati i cambiamenti sociali del nostro Paese negli ultimi cento anni ed è parte di “Italiani.Coop”, il nuovo strumento di ricerca e analisi curato dall’ufficio studi Coop

di Ottavia Spaggiari

Una fotografia del nostro Paese negli ultimi 100 anni, scattata attraverso i dati. E’ così che si presenta “Un secolo di Italiani”, lo speciale curato da Coop che analizza i cambiamenti sociali ed economici dell’Italia, tracciandone la metamorfosi da Paese di emigranti a Paese meta di immigrazione e arrivando a formulare previsioni per il futuro.

Pubblicato come parte del nuovo strumento di ricerca e analisi curato dall’ufficio studi Coop, Italiani.Coop, lo speciale dipinge il cambiamento rapidissimo della condizione del cittadino italiano medio, basti pensare che nel 1901, 1 italiano su 2 era analfabeta, il 62% della popolazione era contadina e 3 famiglie su 10 erano composte da 6 o più persone.

“Parlare solo di consumi non bastava più,” spiega il responsabile dell'ufficio, Albino Russo, raccontando il progetto, “bisogna capire cosa pensano, come si muovono e quali sono i costumi degli italiani.”

Italiani popolo di migranti, così siamo stati per la maggior parte del novecento e la terra promessa era l’Europa, con Francia, Svizzera e Germania come mete predilette. Il sorpasso tra numero di immigrazione ed emigrazione risale solo al 1991 con Marocco e Albania, i Paesi di provenienza dei primi migranti arrivare in Italia. E’ invece del 1992 il trattato di Maastricht che trasforma la CEE nella UE e se nel secondo dopoguerra i primi sondaggi ci scoprono convinti sostenitori di un’Europa unita: nel 1952 ( l’anno di fondazione della CECA) il 57% degli italiani considerava l’adesione positiva e/o molto positiva e il trend rimane in crescita fino a toccare nel 1974 l’82% (il dato più alto in Europa) e ancora nel ’90 subito dopo il crollo del muro di Berlino il picco dei favorevoli all’integrazione europea sale all’86% contro ad esempio il 70 dei francesi e il 65% dei tedeschi. La vera e propria nascita dell’Ue nel ’92 ci trova invece più tiepidi e alla domanda se appartenere all’Unione abbia apportato benefici si esprime favorevolmente solo il 54% degli italiani (49% dei francesi e 47% dei tedeschi). L’introduzione della moneta unica ma soprattutto l’impatto della grande depressione iniziata nel 2008 ha rappresentato il punto di svolta nel rapporto tra italiani e Europa: nel 2008 l’indice di gradimento scende per la prima volta sotto il 50% per poi progressivamente scendere ancora e attestarsi sul 34% di favorevoli nel 2014, appena un timido recupero l’anno scorso (38%). Abbastanza simili le reazioni dei nostri vicini francesi e tedeschi che comunque partivano negli anni Settanta da aspirazioni più modeste, mentre, secondo i dati, gli inglesi si dichiarano più entusiasti negli anni ’50 e ’60 che non dopo il loro ingresso ufficiale nel ’73.

Eppure ancora oggi, almeno teoricamente, siamo convinti che l’Europa dovrebbe giocare un ruolo importante nel mondo e dunque continuiamo a riconoscergli un valore (77% vs 74% di media Eu), ma allo stesso tempo fatichiamo a capire l’importanza della collaborazione all’interno dell’Unione: il 67% degli italiani risponde infatti che dovremmo occuparci solo dei nostri problemi. Siamo i terzi in Europa, prima di noi solo la Grecia con l’83% e l’Ungheria con il 77%.

Nel 2016, l’italiano sembra avere una vita più agiata ma più complicata dal punto di vista relazionale. Non avere una famiglia sembra essere più una necessità che una scelta e infatti a partire dal 2011 (a distanza di ben 37 anni dallo storico referendum) esplode la componente dei divorziati (stabile sull’1/% della popolazione fino al 2001 culmina nel 2011 con il 7,8% che unito al dato dei separati legalmente pari a un 2,3% certifica che 1 italiano su 10 ha alle spalle una relazione fallita).

E se fino alla fine della guerra, nel ’45, 1 italiano su 2 era sottonutrito, oggi il 59% della popolazione è sovrappeso e il 21% è considerato obeso dall'OMS.

Sono proprio i consumi alimentari ad offrire l’affresco più efficace dell’Italia che cambia. Da popolo abituato a considerare la carne un alimento nobile (nel primo decennio del novecento ne mangiavamo appena 15 chili procapite all’anno, contro gli oltre 200 chili di pasta e pane), negli anni del boom economico, tra gli anni sessanta e gli anni ottanta, il consumo pro-capite aumenta di ben 20 chili ma è chiaramente destinato a diminuire. Negli ultimi anni infatti è stata riscontrata un aumento della sensibilità per la salute e la ricerca del benessere, si è affermata infatti una tendenza al consumo naturale e con un ridotto o nullo apporto di proteine animali. Se infatti lo scorso anno il 13% degli italiani affermava di consumare abitualmente prodotti vegan, il 49% già immaginava che i propri consumi sarebbero cambiati in quella direzione nei decenni successivi.

Foto: FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images


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