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Delle omelie di Veronesi e delle ricerche scientifiche dei preti

In questi giorni esce “Il mestiere di uomo” (Einaudi), l’ultimo libro del celebre oncologo. Sui giornali una frase del libro ha fatto scalpore: «Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio». Intanto però, da Houston in Texas, hanno chiamato il cappellano dell'Istituto dei Tumori di Milano, Don Tullio, in qualità di scienziato per condurre una ricerca sulla speranza

di Lorenzo Maria Alvaro

E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia. Ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata. Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del "non so"

Così Umberto Veronesi scrive nel suo ultimo libro, “Il mestiere di uomo”. Questo passaggio, come alcuni altri, sono stati divulgati dalla stampa in questi giorni (qui un articolo che li riporta).

Un passo, quello del cancro come prova della non esistenza di Dio, che mi ha colpito. Non tanto sulla questione astratta, perché Veronesi, come me, è libero di pensarla come crede, né alla luce della mia vita personale. Sono uno di quelli che il cancro lo ha avuto in casa. Ho perso mio padre in soli sei mesi dalla prima diagnosi. E quella malattia non fu percepita, almeno non da me, da mia madre e dai miei fratelli, come una prova certa della non esistenza di Dio.

A colpirmi è il percorso, il modo di ragionare che Veronesi usa per dirlo. Usa il male. Secondo Veronesi il male nega Dio. Quindi la guerra, i campi di sterminio e le malattie sono, per il celebre oncologo, la negazione del divino. Perché difronte a tutto questo dolore, a questo male, spesso gratuito, non può esistere il bene.

Un ragionamento debole da punto di vista razionale. Sarebbe come dire, di fronte al freddo dell’inverno, che sia la prova che l’estate e il caldo non esistono. O nel buio della notte che la luce del giorno non esista. Eppure primavera e alba, fortunatamente, ad un certo punto arrivano.

Non solo, Veronesi usa un metro che ha più il sapore della religione che della scienza. Quando l’oncologo, parlando del cancro sottolinea «diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del volere di Dio». È curioso come qualcuno che si professi non credente individui la realtà come volere diretto del divino. In un’accezione, per altro, profondamente marcata da un forte determinismo che non è neanche così tipico del cattolicesimo. È piuttosto una visione religiosa molto infantile. Se le cose non vanno come penso io, Dio è cattivo. Se le cose vanno male Dio mi odia o non esiste.

Ma c’è anche un’altra questione centrale nel pensiero di Veronesi. Il fatto che l’uomo non possa contare su altro che sulle proprie capacità e talenti. Dove sta dunque il mio stupore? Che a dirlo sia uno scienziato. Questo ragionamento è molto poco scientifico. Nella sua analisi Veronesi infatti contravviene ad una delle regole basilari della scienza. Semplificando: una tesi, per essere valida, deve tenere conto di ogni possibilità e spiegare tutti i fenomeni. In questo caso invece l’oncologo dimentica un dato fondamentale: tutti i casi di specie da lui elencati (guerre, campi di sterminio e malattie) sono determinati dall’uomo. Lo stesso sforzo che l’uomo profonde per cercare soluzioni a queste situazioni è stato alla base del loro insorgere. Sono gli uomini a fare la guerra, come sono stati gli uomini a creare, gestire e far funzionare Auschwitz. Anche per le malattie spesso è stato così. Si è morti per tanto tempo di cose banali, spesso a causa di comportamenti sbagliati e a rischio. Quanti sono morti di peste a causa delle scarse condizioni d’igiene? E per il cancro, per quel che ne sappiamo non è lo stesso? Non abbiamo idea del perché succede, né di come curarlo. L’unica cosa che sappiamo con una certa percentuale di certezza è che inquinamento, fumo, dieta squilibrata e alcune sostanze portano più velocemente ad un’insorgenza.

Insomma Veronesi dopo tutta una vita di sforzi scopre che la sua capacità, la sua concentrazione, la sua lucidità, la sua esperienza, i suoi studi e il suo amore non sono bastati a sconfiggere il cancro. E la conclusione cui giunge è che “Dio non esiste”. È evidente il salto razionale. Chiunque di noi metterebbe in discussione quegli sforzi così generosamente profusi.

Mentre pensavo a tutto questo mi è anche venuto in mente Don Tullio Proserpio, cappellano dell’Istituto dei Tumori di Milano. La persona che, insieme alla famiglia, è stata vicino a mio padre. Oggi Don Tullio, che ha anche un diario di viaggio su Vita, è a Houston (Texas) presso il Methodist Hospital. È lì in qualità di scienziato per condurre, insieme allo staff dell’ospedale che lo ha chiamato, un lavoro di ricerca sul tema della speranza nella malattia.

Cioè, sempre banalizzando, di come mai la speranza sia un fattore importante nel percorso di guarigione di un malato, anche oncologico.

La ricerca da cui nasce il viaggio texano del cappellano titolava “Hope in cancer patients: the relational domain as a crucial factor” ed è stata anche pubblicata sul Tumori Journal (TJ). Ha coinvolto 320 pazienti malati di neoplasie gravi. A condurla, un’équipe di lavoro multidisciplinare composta da oncologi, statistici, psicologi clinici e, appunto Don Tullio.

Insomma è curioso come un famoso oncologo faccia discorsi religiosi, mentre un umile prete vada negli States per fare ricerca scientifica.


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