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Oltre il turismo: “Terre alte” l’aula naturale in cui crescere

Per l'Agesci anche il camminare su un sentiero montano è un mezzo per educare i giovani a «rispettare il passo dell’ultimo in modo che nessuno resti indietro», sottolinea Massimo Gavagnin, delegato dell'associazione per i rapporti con il Cai. Il Club Alpino Italiano ha in essere un protocollo d'intesa con le associazioni scout dal 2009

di Antonietta Nembri

Soprattutto d’estate non è difficile incontrarli: zaino in spalla, fazzolettone al collo che lentamente salgono lungo un sentiero alpino. Non sono turisti mordi e fuggi, non sono neppure appassionati di trekking… sono giovani scout che stanno “imparando” e le terre alte sono la loro “aula”. «Lo scoutismo individua nella montagna un importante, anche se non l’unico, ambiente educativo dove sviluppare esperienze utili alla formazione della persona», conferma Massimo Gavagnin, delegato Agesci per i rapporti con il Cai.
Dal 2009, infatti, il Club Alpino Italiano ha in essere un protocollo d’intesa con le associazioni scout (Agesci e Cngei) «che andrà valorizzato sempre di più: ogni anno sulle nostre montagne ci sono 200mila scout che cercano l’occasione di vivere “lentamente” la montagna» ricorda il neo presidente del Cai Vincenzo Torti.

Ma cosa vuol dire “vivere lentamente la montagna” per un giovane scout lo abbiamo chiesto proprio a Gavagnin.

Una delle premesse del responsabile Agesci è che per l’associazione «la montagna è un mezzo, da un certo punto di vista l’ambiente montano viene “sfruttato” per creare un’esperienza educativa che ha un metodo e utilizza attività che devono risultare interessanti per i ragazzi». E le proposte variano con il variare dell’età anche se gli obiettivi sono i medesimi: la relazione con l’ambiente, i territori e le persone. «L’avanzare in salita sviluppa nei ragazzi e nelle ragazze un rapporto positivo con la fatica, necessario in molte situazioni della vita» spiega Gavagnin

«La proposta dello scoutismo nelle “terre alte”, tende alla realizzazione di un “attraversamento consapevole” dei territori dove, oltre all’incontro con l’ambiente si ricercano momenti di condivisione con le persone che in montagna ci vivono e ci lavorano».

Se per i lupetti e le coccinelle (dagli 8 agli 11 anni) l’esperienza prevede attività ad hoc e spesso in strutture fisse, per gli adolescenti si passa al campo fisso in tende montante in località più isolate mentre i più grandi (dai 16 ai 20 anni) sperimentano il campo mobile, che prevede un itinerario tra paesi e rifugi in cui non si dorme mai nello stesso posto ma soprattutto «viene proposta un’esperienza di servizio che va dalla sistemazione di un sentiero al dare una mano in una stalla» spiega Massimo Gavagnin.

La montagna dunque occasione di crescita e di acquisizione di uno stile di vita «Gli scout portano nello zaino tutto l’indispensabile e nulla di superfluo per vivere la strada in forma per lo più autosufficiente: noi diciamo spesso non esiste buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento. Ma non è una prova di sopravvivenza» specifica il responsabile Agesci. «Vivere, anche la montagna, in comunità aiuta a sviluppare l’attenzione a rispettare il passo dell’ultimo in modo che nessuno resti indietro».

Tipico dello stile è anche il rispetto per l’ambiente “lasciare il posto migliore di come lo si è trovato” è un imperativo che nasce dall’ultima lettera del fondatore del movimento scoutistico, Baden-Powell, che invitava gli scout «a lasciare il mondo migliore» di come lo avessero trovato «e questo riguarda tutti gli ambiti: il lavoro, la famiglia, l’ambiente. Un esempio di questo è stata la Route nazionale a San Rossore del 2014», ricorda ancora Gavagnin.

«C’erano 35mila persone e al termine il parco era a posto, abbiamo anche ricevuto i complimenti dell’ente Parco. Ed è una modalità che utilizziamo sempre anzi cerchiamo di lasciare il terreno anche meglio di come lo troviamo» dice con orgoglio, ricordando come spesso i ragazzi e i giovani si facciano carico di pulire anche dove non sono stati loro a lasciare cartacce e altro «questo per noi è fondamentale, e su questo siamo abbastanza bravi».

Insomma gli scout non si sentono turisti e l’Agesci non è un tour operator «nell’idea comune di turismo non ci riconosciamo, non abbiamo ansia da prestazione quando andiamo in montagna» continua Gavagnin e tornando al protocollo siglato con il Club Alpino ormai sette anni fa sottolinea il lavoro sinergico che ha dato vita a numerose iniziative. «Il Cai ha competenze tecniche e conoscenze della montagna anche specialistiche e sportive che attraverso i suoi istruttori mette a disposizione dei gruppi scout che a loro volta possono condividere le capacità educative a vantaggio dei ragazzi».


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