Comitato editoriale

Quando torniamo a casa? I bambini e l’assistenza domiciliare

Nel corso del convegno "Percorsi integrati in oncoematologia pediatrica: attualità e innovazione" si è affrontato lo stato dell'arte e i possibili sviluppi nella gestione dei pazienti oncologici pediatrici

di Redazione

Quale è lo stato dell’arte e quali i possibili sviluppi nella gestione dei bambini che si ammalano di tumore? Un quesito che è stato affrontato nel corso di un recente convegno dal titolo “Percorsi integrati in oncoematologia pediatrica: attualità e innovazione” organizzato da Fondazione Ant Italia onlus. Per i circa 1400 piccoli pazienti oncoematologici (bambini tra gli 0 e i 14 anni) che ogni anno si ammalano in Italia i dati sono confortanti soprattutto grazie agli enormi progressi delle terapie e delle possibilità diagnostiche ottenuti negli ultimi decenni, che stanno portando a una progressiva diminuzione della mortalità e all’arresto dell’aumento dell’incidenza, registrato fino alla seconda metà degli anni ’90, dei tumori dei bambini e degli adolescenti. A presentare i dati nel corso del convegno Ant il professor Stefano Ferretti (responsabile del Registro Tumori Area Vasta Emilia Centrale, Università di Ferrara).

Questi risultati, contenuti in una monografia del 2013, frutto della collaborazione tre le reti dei registri tumori dell’Airtum (Associazione Italiana Registri Tumori) e degli oncoematologi dell’Aieop (Associazione Italiana Ematologia Oncologia pediatrica), costituiscono i dati epidemiologici ufficiali più aggiornati in questo delicato ambito clinico, che per l’esiguo numero di persone colpite può essere annoverato tra le malattie rare, ma che in Europa costituisce la prima causa di morte per malattia fra 1 e 14 anni d’età e la seconda dopo cause esterne. In Italia poi, nello stesso gruppo di età che esclude complicanze del parto e del periodo perinatale, nel 2008 i tumori sono stati la prima causa di morte in assoluto, il 27% dei decessi contro il 22% dovuto a cause esterne.
Questo mostra chiaramente quanto lavoro ci sia ancora da fare per ottimizzare i percorsi di diagnosi e cura dei tumori infantili. Anche se oggi l’83% dei piccoli malati sono vivi a 5 anni dalla diagnosi e un numero sempre maggiore di loro potrà considerarsi guarito, la situazione appare meno rosea quando si prende in considerazione la qualità della loro vita, come ad esempio la probabilità di sposarsi, che da studi scientifici recenti risulta dimezzata rispetto ai coetanei per gli uomini che abbiano avuto un tumore nei primi 4 anni di vita.

La rete di cura …tra l’ospedale e il domicilio

Un aspetto centrale dell’approccio terapeutico ai bambini e ai giovani affetti da tumore, riguarda l’esigenza di una collaborazione tra i diversi setting di cura, in modo da garantire un’attivazione interistituzionale ad opera di équipe multispecialistiche che sostengano pazienti e famiglie in modo personalizzato e globale. Ad affrontare questo argomento, nel corso del convegno Ant, sono stati oncoematologi pediatrici, pediatri di libera scelta, psicologi ed infermieri, che si sono confrontati sull’importanza di creare piani assistenziali integrati e condivisi, con il reparto ospedaliero come nodo di coordinamento della rete, ma dove i ricoveri siano limitati alle cure intensive e il domicilio costituisca il luogo assistenziale di eccellenza per la gestione dei sintomi correlati sia alla malattia sia agli effetti collaterali delle terapie.
La dottoressa Angela Tamburini e le sue colleghe psicologhe e infermiere del Centro di Eccellenza di Oncologia ed Ematologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Anna Mayer di Firenze, hanno descritto un modello di continuità assistenziale multidisciplinare e precoce, esteso non soltanto ai piccoli malati ma a tutta la loro famiglia, secondo un profilo di cura tagliato sui bisogni specifici di ogni situazione.

In questo senso molto importante può essere la sinergia con il Terzo settore, come mostra la collaborazione che da decenni esiste tra Fondazione Ant e sanità pubblica e che ha permesso a più di 113mila pazienti oncologici, dei quali 342 bambini (in età 0-18 anni), di ricevere assistenza in 9 regioni italiane. Come hanno raccontato la dottoressa Silvia Leoni e le sue colleghe infermiere e psicologhe di Ant, che hanno ribadito come per i pazienti pediatrici ancor più che per gli adulti, l’obiettivo comune di oncologi ospedalieri, pediatri, équipe specialistiche domiciliari ma anche servizi territoriali come scuole e polisportive, debba essere quello di costruire percorsi di cura dedicati, che prendano in carico i piccoli e le loro famiglie non solo dal punto di vista medico ma anche psicologico e sociale. Poter essere curati a casa costituisce la scelta privilegiata della maggior parte delle famiglie, a patto che si sentano supportate da un servizio di cura domiciliare specialistico.
Casa, soprattutto per i più piccoli vuol dire recuperare i diritto alla propria vita di bambino, significa essere più vicini alla guarigione.

Ma perché questo sia possibile è necessario assicurare alle famiglie tutto il sostegno utile, dal punto di vista medico ma anche per quanto riguarda gli aspetti psicologici e sociali. Come ha spiegato la dottoressa Roberta Vecchi, psicoterapeuta del Centro di Emato-Oncologia Irccs di Burlo Garofolo, Trieste, compito dell’équipe sanitaria è anche quello di contenere il nucleo familiare sostenendo lo sviluppo di nuove capacità genitoriali capaci di far fronte alla crisi e di restare vicino al piccolo in modo positivo, nonostante la grande sofferenza emotiva, così da permettergli di proseguire nel proprio percorso evolutivo limitando le ripercussioni negative della malattia.
Purtroppo, la programmazione sanitaria è ancora lontana dal garantire alle famiglie l’effettiva disponibilità di servizi socio-sanitari e soprattutto per quanto riguarda la presenza strutturata dello psicologo all’interno delle reti di cure palliative pediatriche domiciliari ha ricordato Vecchi, in molte zone d’Italia rimane ancora un discorso a cavallo “tra sogno e realtà”.

E il dolore? Possiamo combatterlo?

La terza sessione scientifica del convegno è stata dedicata a un argomento primario ma troppo spesso trascurato della cura dei pazienti oncologici pediatrici: la gestione del dolore.
“Miti e verità” del dolore in pediatria sono stati affrontati dalla lettura magistrale del dottore Luca Manfredini, anestesista dell’U.O.S.D. Assistenza Domiciliare e Continuità delle Cure dell’Istituto Gaslini di Genova. Manfredini ha spiegato chiaramente come non soltanto i più piccoli soffrano, se non adeguatamente trattati con una terapia antalgica, per le procedure mediche dolorose, ma come conservino memoria di questo evento traumatico che andrà a incidere negativamente sulla loro soglia del dolore e quindi sulla successiva percezione degli stimoli dolorifici.

Anche per quanto riguarda la gestione del dolore del bambino, negli ultimi anni di passi avanti ne sono stati fatti molti – ha ricordato il professor Guido Fanelli, Direttore Scientifico della Fondazione Ant e fautore della Legge 38 del 2010 per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore – ma la strada da percorrere è ancora lunga. In Italia, per esempio, i farmaci a disposizione per combattere il dolore pediatrico sono ancora considerati off label, cioè registrati e impiegati nella pratica clinica ma “formalmente” usati in maniera non conforme a quanto previsto dal riassunto delle caratteristiche del prodotto autorizzato. C’è però una buona notizia: sarebbe in corso la registrazione del dolore pediatrico come malattia rara presso l’Ema (Agenzia europea per i medicinali). In questo modo diventerebbe possibile superare gli ostacoli burocratici ed economici che ancora persistono e tra pochi mesi potrebbero essere riconosciuti antidolorifici ad uso pediatrico che diventerebbero quindi sempre più fruibili e utilizzati nell’assistenza ai bambini. Solo così possiamo davvero prenderci cura dei nostri piccoli pazienti, che di certo non vogliono morire, ma che dobbiamo aiutare a non avere paura di vivere.

In apertura foto di Orlando Sierra/Afp/Getty Images