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Azzardo, a rischio i 50 milioni per la cura

Lo Stato italiano ha il monopolio del gioco d'azzardo ma a gestirlo, in outsourcing, sono concessionari privati sempre più deresponsabilizzati rispetto alla loro funzione. Conseguenza: lo Stato non sa quello che accade sul territorio, nella zona grigia tra concessionario e gestore. Nel frattempo, per un pasticcio del Ministero della Salute i 50milioni di euro stanziati nel 2016 per i servizi di cura dei malati e delle loro famiglie rischiano di non arrivare mai alle Regioni. Ne parliamo con il professor Maurizio Fiasco che lancia l'allarme

di Marco Dotti

C’è un’audizione, di martedì 5 aprile scorso, che è passata sotto silenzio. La sede è quella della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Presenti i vertici dei Monopoli di Stato e il tema è spinoso, quello del rapporto tra Stato, concessionari e gestori dell’azzardo made in Italy. Un business colossale, ma con molte, moltissime ombre. A un certo punto, l’onorevole Rosy Bindi fa una domanda. Forse è la domanda cruciale su cui si regge tutto il castello di detto/non detto dell'azzardo legale italiano (ne avevamo parlato nell'aprile scorso).

Si parla delle numerosissime inchieste che, da Sud a Nord isole comprese, fanno emergere la compenetrazione fra legale e illegale. Il sistema pare reggersi su una sorta di non detto, un’ambiguità fondamentale. Rosy Bindi pone così la questione: «nelle inchieste alle quali facevate riferimento mettete in evidenza che solo in un caso è stata coinvolta la concessionaria. I gestori che sono stati coinvolti avevano preso la gestione dai concessionari? Se sì, come si fa a responsabilizzare le concessioni che danno in gestione a soggetti poco raccomandabili i giochi nel filone pubblico? Questo è il nodo». Davvero lo Stato sa che cosa accade sul territorio, quando si parla di azzardo? Affrontiamo la questione con il professor Maurizio Fiasco, presidente di Alea, membro dell’Osservatorio nazionale sul gioco d’azzardo.

Non abbiano più bisogno di fare il gioco clandestino perché prendono quello legale. Tutte le indagini che fanno scoprire guai sono tutte pubbliche. Ormai la bisca clandestina si trova tra i disgraziati. La normalità è nel filone del gioco legale"

Rosy Bindi

Concessionari, gestori, Stato: chi controlla chi?

Professor Maurizio Fiasco, non trova sia venuto il momento di mettere al centro dell’agenda proprio la questione enucleata ad aprile dal Presidente della Commissione Antimafia?
Qui sta il nervo scoperto della mancata efficiente regolazione di un mega-sistema da 88miliardi di euro di fatturato. Noi pensavamo, finora, che gli apparati di sicurezza non riuscissero a controllare i processi a valle, là dove operano la miriade dei punti di scommesse, le 450mila slotmachine, le sale aperte al pubblico per offrire consumo d’azzardo in migliaia di città. Ora abbiamo la conferma che lo Stato non è in grado di sorvegliare la filiera nemmeno “a monte”, ovvero là dove sono collocati alcune migliaia di gestori e procacciatori di contratti. Ecco dunque che si palesa una questione politico-istituzionale enorme: l’incarico di servizio che lo Stato conferisce al concessionario, e le ben scarse garanzie che si assicura. La “concessione”, infatti, è rapporto giuridico molto diverso dalla “licenza”. Al concessionario è stata affidata in outsourcing una funzione propria dello Stato: esercitare, per una ragione di ordine pubblico e di entrate fiscali programmate, il monopolio dell’accesso dei consumatori ai giochi d’azzardo. Il concessionario è quindi lo strumento individuato dallo Stato, analogamente a un incaricato di pubblico servizio. In caso di frode e di irregolarità dovrebbero scattare delle aggravanti di reato, o reati contro la pubblica amministrazione. E non semplici violazioni amministrative.

I concessionari hanno sempre detto di essere garanti della legalità, ma se il sistema è questo c’è da chiedersi che cosa garantiscano…
Proporre il proprio ruolo come garanzia di legalità e sicurezza è diffondere un’immagine, svolgere un’operazione di marketing del sistema. Torniamo ora al cuore del problema: il monopolio dello Stato nel gioco d’azzardo è stato fondato istituzionalmente, nel corpus delle norme vigenti in Italia, su una logica contenitiva (limitare un comportamento ritenuto rischioso per la civile convivenza) e di controllo dell’ordine pubblico (per la storica aggressione della delinquenza al business delle scommesse e delle sale da gioco). Se non fosse questa la ragione del monopolio, non si comprenderebbe perché l’esercizio non sia stato lasciato alla libera concorrenza e non sia stato privatizzato. Oggi, smantellate l’IRI e l’EFIN, Lo Stato interventista in economia è un pallido ricordo in quasi tutti i comparti. Ma non nella commercializzazione del gioco d’azzardo. Anzi, nelle sofisticate modalità industriali odierne, il gioco con denaro, per denaro e a scopo di lucro resta in mani governative. Non così è accaduto per settori strategici, quali banche, telecomunicazioni pur (importantissime per la sicurezza nazionale), reti elettriche, ferrovie, siderurgia ecc. Tutto è stato privatizzato, anche quei comparti che si costituirono agli inizi dello Stato unitario. Pensiamo alle ferrovie, alle poste, adesso l’assistenza alla navigazione aerea…

Resta il monopolio dello Stato su un’attività economica che è il gioco d’azzardo…
Monopolio che è fondato sulla prerogativa di controllo esclusivo dell’ordine pubblico e di regolazione contenitiva di una condotta rischiosa. Di conseguenza, quando la Pubblica amministrazione esercita il monopolio non direttamente (con i vecchi botteghini del lotto, per capirci), ma mediante la concessione (che è quel meccanismo giuridico che permette a un privato di sfruttare un bene pubblico inalienabile dietro corresponsione di un onere), il concessionario esercita una funzione statale in outsourcing, come se fosse una pubblica amministrazione. Il concessionario dunque, con la stessa ratio e con la vigilanza dell’Agenzia dei monopoli, dovrebbe controllare i gestori e rispondere direttamente e pesantemente delle violazioni compiute da questi ultimi. E così a cascata verso tutti i soggetti della “filiera”.

I gestori?
Il gestore non è solo quello che vende il Gratta & Vinci o tiene accesa nel suo locale la macchinetta “slot”. Egli è la forma concreta con cui si oggettiva, si estrinseca la concessione di sfruttamento di un bene pubblico in monopolio dello Stato indisponibile.

Facciamo un esempio?
È come se io, Stato, riconoscessi una licenza di guardiania a un istituto di vigilanza privata – anche qui in base al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – e questo istituto di vigilanza privata desse in gestione il servizio a un terzo che non è titolare di licenza, ma è un suo rappresentate, magari accertando male il possesso dei requisiti di rispettabilità, affidabilità, di organizzazione e di gestione tali da corrispondere ai criteri di partenza…

Torniamo al caso dell’azzardo legale…
Alcune società si sono aggiudicate una concessione. Come si svolge in concreto l’attività conseguente non può essere difforme dalle condizioni della concessione stessa. Quando viene commesso un illecito, attualmente, la società che si è aggiudicata l’affidamento della funzione monopolistica in outsourcing – non è responsabile dei comportamenti commessi da soggetti che ha incaricato della gestione. E quel che è peggio è che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non sorveglia l’intero processo sia a monte e sia a valle.

Al primo bar con le macchinette taroccate andrebbe revocata la concessione, invece non accade. Nei Bingo coincide la figura del concessionario con quella del gestore, in altri casi è tutto un franchising…
Bisogna invece agire affinché chi non implementa controlli sufficienti, chi non vigila, chi non va a fondo, anche se penalmente non è imputabile di reati altrui, ne deve rispondere amministrativamente.

Come?
Revocandogli la concessione. Se l’istituto di vigilanza privata (che abbiamo citato a esempio) non ha curato la formazione dei suoi dipendenti, ha omesso una vigilanza interna e qualcuno dei suoi partner operativi o strumentali ha violato la legge, il prefetto fa un atto immediato di revoca della licenza… È qui il nervo scoperto, e i funzionari dell’amministrazione (pare di capire dalle risposte stentate ai quesiti posti dall’on. Bindi) o non se ne rendono conto oppure negano la delicatezza della questione. Va dunque assolutamente fissato un criterio di responsabilità oggettiva amministrativa (se non penale) del concessionario sui suoi gestori, con dispositivi di revoca immediata della concessione in caso di gravi episodi.

Sine cura: il Ministero della Salute

C’è una notizia e c’è un’urgenza. Partiamo dalla notizia.
La notizia è che il Ministero della Salute non ha presentato la relazione richiesta dal Tar del Lazio sui criteri di composizione dell’Osservatorio sul Gioco d’azzardo. E il Tar ha predisposto cautelativamente la sospensione (sembrerebbe della partecipazione di FederSerd, ma per analogia può valere per l’organismo stesso), finché non avrà esaminato la relazione da produrre – a questo punto imperativamente – da parte del Ministero entro 60 giorni. Così la riunione dell’Osservatorio prevista il 21 luglio è stata rinviata al 18 agosto, nella settimana più vacanziera dell’anno.

L’urgenza riguarda le conseguenze pratiche di questa negligenza da parte del Ministero della Salute…
Il rischio è che vadano a residui o addirittura a economia i fondi stanziati nel 2016 per la presa in carico delle persone con disturbi da gioco d’azzardo e delle loro famiglie. Il decreto ministeriale con l’assegnazione dei fondi alle regioni non è stato emanato. La bozza presentata all’Osservatorio è stata respinta, il nuovo testo non è mai arrivato.

Il decreto ministeriale che cosa avrebbe previsto?
Avrebbe previsto che le Regioni, entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dovessero elaborare il piano organico di impiego di questi fondi per le dipendenze da gioco d’azzardo. Ritornati i documenti dalle Regioni, a sua volta e entro 30 giorni, l’Osservatorio avrebbe dovuto valutarli e i fondi stanziati soldi sarebbero stati resi disponibili…

Siamo al 20 di luglio e non è accaduto nulla… Cosa può succedere ancora?
Se il Ministero non esercita un potere sostitutivo e, quindi, non emana il decreto pur senza il concerto di un parere dell’Osservatorio sulla ripartizione dei fondi, si rischia di arrivare al momento dell’anno finanziario quando le Pubbliche Amministrazioni non possono più impegnare le somme in bilancio, e questi fondi finiranno a residuo passivo o a economia. Il 2016 sarebbe così bruciato…

In pratica, dei 50milioni stanziati per la cura alla cura non ne arriverebbe nessuno…
Ma c’è di peggio: poiché vale la regola che se io, Stato, ho assegnato a una branca dell’Amministrazione dei fondi per uno scopo, e questa non li ha impegnati nei tempi dovuti, allora non si riattiva il finanziamento dei fondi. In parole povere: non solo non saranno erogati i soldi del 2016, ma non ci sarà un rifinanziamento del Fondo per la cure delle patologie da gioco d’azzardo nel 2017.

È uno scenario inquietante…
Bisogna lanciare l’allarme: pochi che siano, ma se nemmeno questi soldi arrivano alle Regioni e – se non si adottano nelle misure in deroga – il fondo non viene finanziato. Ci sono poi due questioni legate alla faccenda: la prima è la lentezza con cui si emanano gli atti con cui si dovrebbe promuovere l’offerta terapeutica. Secondo me c’è una resistenza dove confluiscono diverse componenti che non vogliono far decollare un vero sistema di cura…

Per quale ragione?
Perché quando esiste un’offerta terapeutica del SSN, va da sé che si pone anche un’istanza a cambiare le regole. Se si comincia a predisporre presa in carico (cura, accompagnamento, prevenzione delle recidive ecc.) le tre variabili che rimangono in sospeso devono essere chiarite: adottare una chiara definizione di patologia, chiarire un concetto paradigmatico di epidemiologia del gioco d’azzardo patologico, codificare un modello sostenibile e scientifico di terapia secondo il Servizio sanitario nazionale.

Una via d'uscita

Non siamo all’anno zero della cura, anche se a molti conviene farlo credere…
Esistono già in Italia apprezzabili iniziative, sia nell’ambito del servizio pubblico e sia in alcuni servizi privati, che hanno maturato veri risultati e messo a punto metodiche e modelli. Si possono, in via temporanea, usare alcuni di quei criteri che già sono operativi, e scientificamente certificati, in alcuni servizi presenti e diffusi in Italia. Penso al caso della Regione Toscana, dove c’è l’ottima esperienza di Arezzo, penso a Castelfranco Veneto… Ma sono solo alcuni esempi, dove però un’idea di patologia, un’idea di epidemiologia, un’idea di terapia ci sono e sono operative. Al Ministero non hanno chiarito né l’una, né l’altra, né l’altra ancora.

La seconda questione?
E’ la questione dei rapporti fra entità – che possono essere il singolo clinico, la singola associazione privata, la singola associazione pubblica – e il mondo degli aventi causa in attività commerciali di gioco d’azzardo. Questo è ciò su cui è inciampato l’Osservatorio sul gioco, ed è una vera questione. È qui il Ministro potrebbe emanare una direttiva dove si faccia divieto a tutti coloro che operano nei servizi pubblici, o nei servizi privati accreditati dal pubblico, di accedere a sponsorizzazioni, finanziamenti, sopporti diretti o indiretti di gestori o concessionari del gioco d’azzardo. Bisogna spezzare il rapporto diretto tra concessionari e singoli operatori pubblici che, senza un mandato, si muovono all’interno di questa zona grigia.

Questa cosa il Ministro la può fare?
Non serve nemmeno un decreto, basta una direttiva in cui il Ministro vieta rapporti diretti contrattualizzati di sponsorizzazione o di sostegno fra tutte le entità che in qualche modo svolgono una funzione pubblica diretta o indiretta sul gioco d’azzardo nel SSN…

In copertina: Andreas Solaro/AFP/Getty Images)


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