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La svolta della Raggi verso il welfare del benessere

Con il documento programmatico della nuova giunta, la Capitale si appresta a passare dal welfare compensativo al welfare del benessere. Un cambiamento che implica una radicale trasformazione nella concezione dei bisogni della comunità e delle risposte da mettere in campo. L'analisi del direttore di Human Foundation

di Federico Mento

Il documento programmatico della Giunta Raggi contiene un interessante passaggio sul welfare locale. Il consueto, e forse vetusto, riferimento alle “politiche sociali” lascia il campo alla nozione di benessere. Sembrerebbe un passaggio solo terminologico, quasi impercettibile, se l'uso del termine benessere non implicasse una radicale trasformazione nella concezione dei bisogni della comunità e delle risposte da mettere in campo. Sino ad oggi, il sistema delle prestazioni a livello locale ha agito in una prospettiva esclusivamente lenitiva, parcellizzando la persona ed i suoi bisogni: gli adulti indigenti, i minori, i migranti, gli anziani, le dipendenze ecc. Una simile articolazione dei servizi produce effetti paradossali nella presa in carico della persona, laddove il disagio non si manifesta quasi mai in forma univoca, quanto piuttosto si presenta come un intricato caleidoscopio di cesure nel vissuto degli individui.

Naturalmente, il passaggio dal welfare compensativo al welfare del benessere presenta delle sfide complesse. Una delle questioni più urgenti da affrontare è certamente legata al progressivo svuotamento dei processi di pianificazione partecipata. Le esperienze di partecipazione, nei primi anni 2000, avevano contribuito ad alimentare pratiche di innovazione nella programmazione sociale; inceppandosi questo meccanismo di dialogo tra amministrazione e territorio, gli interventi si sono cristallizzati, in una foto spesso sbiadita dei bisogni delle comunità.

L'enfasi si è spostata sulla dimensione finanziaria e, di conseguenza, sulla capacità degli erogatori di offrire servizi a costi più bassi, a prescindere, quindi, dalla capacità di generare valore sociale per i cittadini. Oltre ad avere servizi non allineati con i bisogni dei territori, questa dinamica ha provocato profonde distorsioni, da cui hanno tratto vantaggio alcuni operatori “disinvolti”, come ci ricorda l'indagine Mafia Capitale. Chiaramente, non basta ravvivare le pratiche di partecipazione, il vino nuovo non deve essere versato in otri vecchi. Le tante esperienze di mutualismo, affiorate in questi anni nella città, richiedono che l'amministrazione introietti strutturalmente la co-progettazione multistakeholder come modalità per la programmazione dei servizi.

Sulla necessità di riattivare percorsi di partecipazione, mi pare che il documento introduce innovazioni interessanti , tanto da essere considerata una priorità trasversale dell'Amministrazione.

Un secondo elemento decisivo per favorire la transizione al welfare del benessere è legato alla comprensione dell'efficacia degli interventi erogati. Non a caso, infatti, il tema della valutazione dell'impatto sociale è divenuto sempre più rilevante. Di solito, la PA interpreta la valutazione come un processo di verifica della realizzazione di un'attività: l'organizzazione X ha consegnato i 100 pasti previsti. Questo approccio “formalistico” ci fornisce informazioni di scarsa utilità, talvolta vere e proprie distorsioni: siamo certi che i pasti siano stati effettivamente consumati?

Valutare l'impatto degli interventi e delle prestazione ci consente di comprendere se e come abbiamo generato un cambiamento nella vita degli utenti. Focalizzandoci, dunque, sul benessere della persona risulta necessario produrre evidenze sull'efficacia degli interventi, che possono essere raccolte per alimentare la riflessione e la programmazione del decisore pubblico.

Introdurre sistematicamente approcci di valutazione favorirebbe la programmazione basata sui risultati sociali e non più la visione del “massimo ribasso”, riportando così la persona al centro dei servizi e non più il primato dei risparmi.

Si tratta naturalmente di processi complessi, nei quali è determinante un forte allineamento di visione e di intenti tra i diversi attori. Non ci sono formule magiche, né scorciatoie, al contrario sarà un percorso faticoso, dove non mancheranno le incomprensioni. Affinché questa transizione verso il welfare del benessere abbia successo, è indispensabile un'amministrazione pronta all'ascolto e, allo stesso tempo, un Terzo Settore cittadino che voglia ritornare ad essere un insostituibile vettore dell'innovazione sociale.


Federico Mento è direttore di Human Foundation


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