Welfare & Lavoro

Le Paralimpiadi? Un modo per liberarsi dai pregiudizi sulla disabilità

Si svolgeranno dal 7 al 18 settembre 2016 e consisteranno in 23 discipline disputate da 4300 atleti provenienti da 76 paesi di tutto il mondo. Quest’anno a far parte delle discipline paralimpiche anche triatlon e canoa. Vita.it ha intervistato Cristian Roja, arbitro internazionale di basket in carrozzina e designato a Rio per le sue terze Paralimpiadi dopo quelle di Pechino del 2008 e Londra del 2012

di Monica Straniero

Le Paralimpiadi 2016 di Rio si svolgeranno dal 7 al 18 settembre 2016 e consisteranno in 23 discipline disputate da 4300 atleti provenienti da 76 paesi di tutto il mondo.

Quest’anno a far parte delle Paralimpiadi anche il triatlon e la canoa. Per l’edizione brasiliana, l'emittente televisiva pubblica inglese Channel4, ha realizzato “We are superhumans”, un promo di 65 fotogrammi per celebrare la forza di volontà, la determinazione e il talento delle persone che ogni giorno compiono gesti eccezionali.

Quando si trovano ad affrontare vere e proprie barriere, molte causate dal pregiudizio e dalla discriminazione basata sulla disabilità.

Al ritmo di “Yes, I can” di Sammy Davis, i protagonisti del video, non solo atleti ma anche musicisti, attori, artisti, piloti, cantano “I superumani siamo noi”. Così il trailer ritrae un pilota che guida il suo aereo con i piedi, un batterista senza mani, la segretaria che scrive con il piede, la mamma che culla il suo bambino con le gambe, i ballerini con la protesi. Eppure, nonostante l'impegno del Comitato Paraolimpico Internazionale, per attirare l’attenzione su queste Olimpiadi, tutti sappiamo che c'è ancora molto, molto lunga strada da percorrere.

Ne abbiamo parlato con Cristian Roja, arbitro internazionale di basket in carrozzina e designato a Rio per le sue terze Paralimpiadi dopo quelle di Pechino del 2008 e Londra del 2012.


Che senso hanno le Paralimpiadi?
Le Paralimpiadi rappresentano un esempio concreto di accettazione e considerazione della diversità A sfidarsi sono sempre atleti di altissimo livello, persone che con le loro potenzialità e i loro limiti puntano a manifestare la propria normalità. Le gare delle persone con disabilità sono quindi esempi di puro sport, praticato con passione e abnegazione, e questo grazie anche al supporto della tecnologia. Un mondo sportivo affascinante di cui faccio parte ormai dal lontano 1998, anno in cui ho ottenuto l'abilitazione per arbitrare, oltre al cosiddetto basket in piedi, anche il basket in carrozzina. Rispetto al passato, posso affermare che oggi i giochi paraolimpici hanno maggiore visibilità mediatica. Questo grazie all’intenso lavoro della Federazione italiana di basket in carrozzina e del Comitato Paralimpico Internazionale, che in Italia è presieduta da Luca Pancalli, che negli anni hanno creato progetti ad hoc per diffondere, incentivare ed avvicinare il maggior numero di persone allo sport praticato da atleti con disabilità. Anche facendo ricorso a quelle che oggi sono le forme di comunicazione più diffuse e a costo quasi zero (quali Facebook, pagine web dedicate etc.). Sono 94 gli atleti italiani iscritti (38 donne e 56 uomini) in 14 diverse discipline, che partiranno per Rio. Purtroppo quest’anno manca il basket in carrozzina che non è riuscita a qualificarsi.

Perché il grande pubblico ancora fa fatica a vedere questo come sport vero?
Anche se le Paralimpiadi di Londra sono stati i giochi migliori di sempre con il record di pubblico, soprattutto famiglie, nazioni e atleti partecipanti, sono ancora considerati giochi di serie b. Tuttavia ritengo che il promo di Channel 4 sia un passo importante per cambiare il modo di raccontare le Paralimpiadi, una manifestazione non secondaria a quella “principale”. Come qualcuno ha proposto, si dovrebbe organizzare un unico e grande evento sportivo, in modo da eliminare la distinzione netta tra atleti con disabilità e normodotati. Ma ci vuole tempo. Oggi i pregiudizi nei confronti della disabilità sono ancora troppo forti. Il pubblico che partecipa alle Paralimpiadi è ancora in prevalenza rappresentato da coloro che vivono direttamente o indirettamente la disabilità. È una questione di cultura e di educazione. Si tratta di liberarsi da quel “retaggio di pietismo e ipocrisia che caratterizza ancora l’approccio di molti ad una realtà che non si conosce.

La scuola cosa può fare per costruire una nuova cultura della disabilità?
La Federazione e il Comitato Paralimpico avviano presso le scuole percorsi che prevedono varie azioni per la sensibilizzazione di adulti e bambini al tema della diversità come risorsa e dell’inclusione. Vengono organizzati anche corsi ad hoc per formare maestri e docenti in grado di saper affrontare le problematiche legate alle varie disabilità. Non solo. Quando agli studenti viene data la possibilità di assistere alle gare, dimostrano grande interesse ed entusiasmo di fronte a persone con evidenti difficoltà ma capaci di esprimere al massimo le loro gesta atletiche. È necessario quindi intensificare lo sforzo per creare “progetti scuole” con l’obiettivo di avvicinare il maggior numero di ragazzi (abili e disabili) al mondo dello sport, perché è dalle scuole che può partire il cambiamento della percezione sociale della disabilità.

Alcuni hanno criticato il promo di Channel 4 perché non riflette la realtà di migliaia di disabili che quotidianamente devono fare i conti con barriere culturali e fisiche spesso insormontabili È della stessa opinione?
Non mi trovo d’accordo con questa affermazione. Il video invita a guardare la disabilità non come limite ma come risorsa. I protagonisti mostrano con grande semplicità che possono fare tutto e che meritano anche la normalità, compreso l’accesso a scuole normali, ospedali normali e a giochi normali.


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