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Cooperazione & Relazioni internazionali

#Milionidipassi per fuggire da guerre, violenze e povertà

L’appello dell’associazione non profit Medici Senza Frontiere che con una firma chiede il coinvolgimento della società civile, perché «insieme si può fare la differenza tra la vita e la morte per milioni di profughi»

di Daniela Di Iorio

«Più di 60 milioni di persone nel mondo fuggono da guerre, violenze e povertà. Non sono criminali ma uomini, donne e bambini che hanno bisogno di cure mediche, sostegno psicologico e protezione. Chiediamo alla comunità internazionale e ai governi un cambio di passo per affrontare il tema delle popolazioni in movimento come una urgente questione umanitaria e non più come un problema di sicurezza». È quanto si legge nella presentazione dell’appello dell’associazione non profit Medici Senza Frontiere che con una firma chiede il coinvolgimento della società civile, perché «insieme si può fare la differenza tra la vita e la morte per milioni di profughi».

Abbiamo sentito il Responsabile Advocacy di MSF Marco Bertotto, il quale ha ricordato le difficoltà dei migranti nel viaggio che dovrebbe condurli alla salvezza della vita, le ragioni di tali difficoltà e soprattutto quali le vie da percorrere per evitare che il viaggio sia terrificante quanto le guerre da cui scappano. Inoltre il responsabile di MSF ha voluto sottolineare che delle 65 milioni di persone in fuga, la maggior parte è situata nei Paesi confinanti o vicini ai Paesi d’origine.

«Questa idea dell’invasione non è reale – ha spiegato – perché le popolazioni in movimento si trovano vicine se non immediatamente al confine dei Paesi da cui scappano».


Da quanto tempo gira in rete l’appello?
L’abbiamo rilanciato il 15 giugno in piazza San Silvestro a Roma , e poi al Giffoni Festival a Salerno in luglio. È parte di una compagna dal nome #Milionidipassi che MSF ha lanciato nel marzo 2015 e che è ora nuovamente in piazza con una installazione di sensibilizzazione dal nome #Milionidipassiexperience che consiste in un percorso immersivo che abbiamo inaugurato a Roma e che nei prossimi mesi porteremo in giro per l’Italia. La struttura è un ospedale gonfiabile dove è descritto il percorso cui sono costrette le popolazioni in fuga. Nel padiglione conclusivo c’è un video di 8 minuti che sfrutta la tecnologia a 360 gradi e consente di vivere in modo molto coinvolgente il viaggio del profugo, al punto che sembra di viverlo in prima persona. E’ un modo molto efficace per immedesimarsi nell’esperienza di chi compie quei milioni di passi.

Perché la campagna di sensibilizzazione si chiama milioni di passi?
Nasce dal lavoro della fotografa Shannon Jensen che ha fotografato le scarpe dei rifugiati sudanesi in fuga. Abbiamo preso spunto dal suo lavoro fotografico per lanciare una campagna che si legasse alla storia di milioni di passi fatti sia delle persone in fuga, sia dalle organizzazioni umanitarie che intervengono in ogni dove per venire in soccorso a chi scappa da guerre e povertà, sia dell’opinione pubblica dei cittadini che possono intervenire con il loro sostegno, e facendo sentire la loro voce con una firma o postando una foto delle loro scarpe, facendo così i loro passi.

Cosa c’è all’interno del dossier presente in rete in occasione della campagna di sensibilizzazione?
Raccontiamo le dimensioni del fenomeno e diamo conto delle conseguenze sulla salute di queste persone. Uno degli aspetti che vogliamo porre all’attenzione del pubblico è che su 65 milioni di persone in fuga la maggior parte è situata nei Paesi vicini e quelli confinanti a quelli di origine, il che significa che questa idea dell’invasione non è reale perché la gran parte delle popolazioni in movimento si trova vicina se non immediatamente al confine dei Paesi da cui scappa. Poi analizziamo le sofferenze e i traumi delle persone costrette a fuggire, e spieghiamo le ragioni della fuga. Inoltre analizziamo le conseguenze delle politiche di respingimento delle comunità europee. Infine descriviamo le nostre attività nate per sopperire alle mancanze delle istituzioni, attraverso nuovi campi di accoglienza, cure mediche e tanto altro ancora.

Cosa chiedete alla comunità internazionale e alle istituzioni europee?
La nostra raccomandazione è quella di cambiare direzione, perché le politiche finora messe in campo sono legate a una logica dissuasiva e di deterrenza, che nei fatti si è tradotta nell’alzare i muri e nel tentativo del contenimento dei flussi. Che invece non hanno fatto altro che rendere più pericoloso il viaggio, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: migliaia di morti in mare e sofferenze di ogni tipo subite durante il percorso, come il caso di violenze su donne e bambini e gli uomini schiavizzati. Se invece il viaggio avvenisse per vie legali, la morte e la sofferenza da cui fuggono non li perseguiterebbe anche durante la via che invece dovrebbe condurli alla salvezza. Poi anche una volta arrivati da noi in Italia ci sono dei deficit strutturali nel sistema di accoglienza che spesso impediscono alle persone di ottenere la protezione e l’accoglienza cui avrebbero diritto.


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