Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Curiosità, creatività e intraprendenza: ecco la scuola del futuro

La radicale trasformazione del mercato del lavoro richiede competenze nuove: la scuola non sembra averlo colto, né è in grado di coltivare queste nuove necessarie competenze. Che scuola occorre ai nostri ragazzi? Ecco la proposta di Pietro Paganini

di Sara De Carli

Immaginate una classe di ragazzini. Che lavoro faranno da grandi? Impossibile dare una risposta a questa domanda, perché il lavoro che ci sarà fra cinque o dieci anni non è stato ancora inventato. Ma la scuola come prepara i ragazzini a questo scenario? Pietro Paganini – professore di management e management dell’innovazione alla John Cabot University di Roma, e direttore generale della Fondazione Luigi Einaudi – ha provato a dare alcune risposte nel libro Allenarsi per il Futuro (Rubbettino, 2015): la radicale trasformazione del mercato del lavoro richiederà competenze nuove, che la scuola non sembra aver colto, né è in grado di coltivare. Urge quindi un cambiamento radicale dei modelli didattici e pedagogici. Deve cambiare la scuola, che diventa smart. Devono cambiare le classi, che devono aprirsi per diventare laboratori di sperimentazione e collaborazione. Deve cambiare l’insegnante e il suo ruolo, non più il tramite attraverso cui apprendere ma un coordinatore, una guida e un motivatore. Lo abbiamo cercato per un confronto: una delle tante voci raccolte nella grande inchiesta dedicata alla scuola sul numero di Vita in edicola, Che scuola sarà?.

La scuola ha bisogno di un cambiamento radicale. A suo parere la Buona Scuola è una cornice che sta aiutando a innescare questo cambiamento?

Che ci fosse bisogno di scossone lo si sapeva da trent’anni. Il fatto è che le riforme, compresa questa, anche se meno delle altre, riguardano i meccanismi di funzionamento della scuola e molto poco i processi di apprendimento, la mission e la funzione che la scuola ha. Davanti alle trasformazioni evidentemente epocali del mondo lavoro – che sono un dato di fatto, non un’analisi di visionari – la nostra scuola è impreparata. Non tanto nella sua struttura, ma nel ruolo che la scuola ha e ritiene di avere. La scuola oggi non prepara i nostri giovani e non solo perché la scuola non deve essere più solo per i giovani ma per una riqualificazione di tutti, in un life long learing. La scuola non prepara alle competenze che il mondo richiede. Per i lavori di oggi e di domani non serve una competenza specifica ma strumenti tali per cui un ragazzo sarà in grado di plasmarsi di volta in volta, per riuscire a imparare un nuovo lavoro o a scoprirne uno nuovo. La scuola deve cambiare la sua mission e per compiere questo passaggio non ci vuole Ministero ma un’Agenzia che faccia analisi delle trasformazioni sociali, dia indirizzi – è difficile ma è possibile sapere quali lavori stanno per finire e quali stanno per nascere, la scuola deve dirlo, naturalmente senza sopprimere i sogni delle persone, se uno vuole fare il Papa ci punti ma la scuola deve dire che ce n’è uno ogni trent’anni – e poi lasci piena autonomia alle scuole. Questo non è stato fatto.

La scuola deve cambiare la sua mission e per compiere questo passaggio non ci vuole Ministero ma un’Agenzia che faccia analisi delle trasformazioni sociali e dia indirizzi e poi lasci piena autonomia alle scuole. È difficile ma è possibile sapere quali lavori stanno per finire e quali stanno per nascere e la scuola deve dirlo, senza sopprimere i sogni delle persone ma con onestà: se uno vuole fare il Papa ci punti, ma la scuola deve dirgli che ce n’è uno ogni trent’anni. Questo non è stato fatto.

La scuola è un'azienda da un milione di lavoratori, il cambiamento richiede giocoforza tempo. Non c'è nemmeno un avvio di cambiamento ?
Questa riforma ha il coraggio di rendere la scuola più competitiva e dinamica, di introdurre il merito, naturalmente con i limiti della burocrazia… ma non ripensa nè la mission né i processi di apprendimento né la didattica. Il focus non deve essere l’organizzazione della scuola ma chi sta a scuola. Lo diceva Maria Montessori: al centro della scuola non ci deve essere la scuola, ma il bambino. Questo non c’è. È una riforma della scuola non per chi va a scuola ma per chi fa scuola. Dire di cosa ha bisogno il ragazzo: il salto nel futuro è fare questo. Ovvio che poi trova eccezioni… Ma in generale cosa diamo ai nostri ragazzi? Curiosità, creatività e intraprendenza sono le tre parole chiave del futuro e guardacaso sono anche la base dei processi di apprendimento dei bambini prima che vadano a scuola. Come mai quando entrano a scuola perdono tutto questo? Perché cambia l’ambiente, diventa una sorta di caserma che riempie di nozioni, un luogo e un processo che per 15 anni toglie dal campo creatività curiosità e intraprendenza. Le persone così entrano nel mondo lavoro impreparate, spogliate delle caratteristiche naturali che avevano e che sono proprio quelle che servirebbero (in più aggiungo le soft skills). Noi dobbiamo immettere nella società persone con la curiosità di scoprire il mondo, di affrontare problemi sociali e creare una soluzione, che sia sociale o che sia un prodotto. Invece formiamo persone ricche di nozioni che sono subito vecchie. È anche un discorso di giustizia sociale: questa scuola è diseguale, saranno in pochi ad avere gli strumenti per modificare il cambiamento.

Concretamente cosa significherebbe questa trasformazione?
Nel creare uno spazio, un ambiente di lavoro, un laboratorio, dove il ragazzo entra con un problema e ci lavora autonomamente, seguito dall’insegnante. L’insegnante diventa mentore e giuda, grazie alla tecnologia. L’insegnante non è più l’unico punto di riferimento: i mie studenti possono andare online e trovare video spettacolari sugli argomenti che io insegno. Il mio ruolo non è dire “questa è la mia lezione”, ma dire “questi sono i contenuti che ti aiuto a trovare” e poi intervenire a posteriori. E guardi che non è la flipped, la flipped classroom è una moda. Bisogna che fine del percorso che io supporto i ragazzi si presentino con una soluzione o un abbozzo di soluzione al problema. In questo modo lo studente ha un’esperienza, sa fare delle cose. Il mondo chiede non “dove hai studiato” o “che voto hai preso”, ma “fammi vedere cosa sai fare”. Serve gente che risolve problemi. I soldatini delle multiple choice non hanno più senso perché per eseguire ormai ci sono le macchine… Sperimentazioni ce ne sono, ma un salto ontologico così, a livello di sistema, non c’è.

Il mondo chiede non “dove hai studiato” o “che voto hai preso”, ma “fammi vedere cosa sai fare”. Serve gente che risolve problemi. I soldatini delle multiple choice non hanno più senso perché per eseguire ormai ci sono le macchine… Sperimentazioni ce ne sono, ma un salto ontologico così, a livello di sistema, non c’è.

Tante scuole però stanno innovando…
Nella scuola c’è un cambiamento ma per via di una contaminazione globale. La società sta andando lì dove dicevo prima. Esistono anche tanti insegnanti motivati, però sono casi. C’è bisogno di più managment e competitivà. La Buona Scuola si è un po’ persa nell’eccitamento tecnologico, ma il coding è una nozione come l’inglese, è uno strumento non il fine. La Buona Scuola va bene ma non è ancora una rivoluzione. Come statement dico sempre che la riforma del lavoro è la riforma della scuola: se voglio essere competitivo devo creare lavoro e ho bisogno di gente che sappia crearlo, per fare innovazione ho bisogno di innovatori e gli innovatori li creo a scuola. Tutto parte dalla scuola. Pensi a quelli che oggi perdono il lavoro a 50 anni e non riescono a rientrare: in futuro l’età si abbasserà, se perdo il lavoro a 35 anni con la forma mentale che la scuola oggi dà, non ho alcuna chances. La scuola deve dare una struttura mentale diversa, che mi permette di riqualificarmi e di reinventarmi: è complesso, è una sfida, a livello globale ci sono bellissime sperimentazioni ma non una soluzione.

Foto RICHARD BOUHET/AFP/Getty Images


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA