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Bruzzano: la solidarietà qui è diventata un capitale

L'oratorio di Bruzzano ha accolto durante l'estate 365 profughi. Lo ha fatto in collaborazione con Casa della Carità, senza alcun finanziamento pubblico, ma mettendo in campo un centinaio di volontari e molte competenze professionali. Per il cardinal Scola, che ieri ha visitato la parrocchia, «se l’accoglienza è proposta bene come qui, diviene possibile e praticabile»

di Sara De Carli

«Se l’accoglienza è proposta bene come qui, diviene possibile e praticabile»: così ieri l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola ha commentato al termine della sua visita alla Parrocchia della Beata Vergine Assunta di Bruzzano, nella periferia nord di Milano.

Qui durante l’estate sono stati accolti 365 profughi, con una presenza forte di donne e bambini e di giovanissime coppie, poco più di ventenni, che insieme hanno lasciato l proprio Paese per cercare in Europa un futuro migliore. È il secondo anno consecutivo che l’oratorio di Bruzzano, insieme alla Fondazione Casa della Carità ha vissuto questa esperienza di accoglienza diffusa, senza alcuna convenzione e senza alcuno stanziamento di fondi pubblici: tutti i costi infatti sono stati sostenuti dalla Fondazione, tramite una raccolta fondi straordinaria. L’anno scorso la parrocchia aveva accolto 351 ospiti in 39 giorni, mobilitando un centinaio di volontari.

Eritrea (213 persone), Etiopia (61), Somalia (26), Siria (21), Sudan (15): sono 13 le nazionalità presenti in oratorio. Fra loro una famiglia, composta da mamma, papà e sei bimbi piccoli, provenienti dal Kurdistan Iracheno e una famiglia di cinque persone dall'Egitto. Ogni giorno, in media, una decina di nuovi ospiti sono stati accolti e altrettanti hanno lasciato la parrocchia: 106 i posti disponibili.

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Don Virginio Colmegna, che cosa fa di questa esperienza un modello? Che cos’è a suo parere il “bene come qui” di cui ha parlato il Cardinale?
In un’ospitalità segnata dall’emergenza, perché c’erano gli stanzoni, c’è stata una immissione straordinaria di volontari, più di cento, che hanno portato la gratuità come valore. I volontari sono stati anche più dell’anno scorso, sono arrivati anche da altre parrocchie, erano giovani, adulti anziani, insomma non il classico volontariato formato.

In cosa si è tradotta l’accoglienza?
L’accoglienza si è misurata ovviamente con la quotidianità ma su questa intelaiatura del volontariato – questo è stato più compito di Casa della Carità – abbiamo immesso competenze specifiche: medici, nostri e volontari, ufficio legale, psicologi e psichiatri, pediatri… Poi c’è l’aspetto culturale di vivacità e integrazione, ad esempio a Ferragosto abbiamo fatto un grande pranzo insieme, invitando anche gli anziani di Casa della Carità e del territorio. Insomma è un modello piccolo, che non può sostituire altri interventi, ma che funziona perché integrato. Accogliere non è stato un peso per il territorio, ma un dono che rimane. Un altro elemento bello, che il cardinale ha colto bene, è il fatto che una trentina di detenuti dell’Associazione 21 sono venuti qui a fare volontariato, vengono già in Casa della Carità e sono stati anche qui, principalmente per tenere in ordine gli ambienti, ma uno di essi è di origine eritrea ed è stato utile anche per la mediazione: altre fragilità che sono diventate una risorsa, questa è un’altra sfida culturale importante.

Che succede ora?
Il progetto termina il 2 settembre, perché in parrocchia riprendono le attività. Fra le persone accolte molte hanno proseguito il loro viaggio, alcuni facendo anche tre o quattro tentativi, come hanno fatto rimane un nodo… Una quarantina di persone hanno presentato domanda come richiedenti asilo ed entrano nel percorso Sprar, per le mamme e bambini il Comune sta lavorando per cercare soluzioni: come Casa della Carità daremo ospitalità temporanea alle mamme e bambini che venerdì non avessero ancora trovato una sistemazione. Una famiglia del Pakistan, fra l’altro con un figlio disabile, sarà accolta nel quartiere, abiterà lì: sono belle esperienze di umanità, piccole ma sono un capitale solidale. La solidarietà è un capitale.

Lei ha detto che questo è un dono che rimane al quartiere: cosa resta al quartiere?
I volontari sono venuti per cucinare, pulire, dare una mano… ma facendo ciò hanno fatto anche un’operazione culturale importante sul tema dell’accoglienza. È nata da loro la domanda di affrontare le migrazioni e l’accoglienza non come emergenza: l’8 settembre faremo un momento di raccolta di esperienze per rilanciare la riflessione. Sul quartiere quindi resta una riflessione culturale forte: fra l’altro ha reagito bene non la comunità cristiana ma tutta la cittadinanza.

In foto, il pranzo che si è svolto domenica, preparato da alcune ragazze ospiti con i piatti tipici dei loro paesi.


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