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Migrazioni e media, la parola clandestini è sempre meno usata

L’analisi della strategia narrativa utilizzata dai media per raccontare le stragi del Mediterraneo dal 2015 ai primi mesi del 2016

di Redazione

Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, nel 2016 sono morte 3167 persone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo (erano 1850 nei primi sei mesi del 2015). Il racconto di questi episodi, sempre più frequenti, da parte dei giornali italiani si scontra con la necessità di prevenire l’effetto assuefazione. Come evitare che il lettore si abitui a considerare questi eventi drammatici come routine?

11.112: è il numero di morti e dispersi in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa negli ultimi tre anni. L’equivalente di una piccola città. Il calcolo, effettuato dall’Unhcr, inizia con la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita 368 persone.

Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, nel 2016 sono morte 3167 persone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo (erano 1850 nei primi sei mesi del 2015).

Il racconto di questi episodi, sempre più frequenti, da parte dei giornali italiani si scontra con la necessità di prevenire l’effetto assuefazione. Come evitare che il lettore si abitui a considerare questi eventi drammatici come routine?

La strategia narrativa dei media è cambiata diverse volte negli ultimi tre anni. In generale, cresce la tendenza a ricostruire la notizia non solo con la narrazione dei fatti, ma con tutti gli strumenti resi disponibili dall’uso di internet: dalla mappe per la localizzazione esatta degli incidenti alle infografiche per renderne le dimensioni; dalle immagini dei soccorsi, alle testimonianze audio e video registrate dagli stessi migranti durante il loro viaggio.

Non solo; la progressiva evoluzione del linguaggio e dei temi, senz’altro finalizzata a coinvolgere il pubblico, ha assunto nel tempo un altro obiettivo: la ri-umanizzazione delle vittime che, tramite il racconto delle loro storie, cessano di essere dei numeri per ridiventare persone.

Marco Bruno, ricercatore della Sapienza, “anche se è impossibile stabilire un esatto rapporto di causa-effetto, di fatto nel 2013 la visita del Papa a Lampedusa e il naufragio di ottobre cambiano la narrazione del fenomeno degli sbarchi”. Infatti diminuisce, fino a scomparire, il riferimento al “clandestino” e si inizia a inquadrare la figura del migrante come “rifugiato” raccontando storie personali e moltiplicando i punti di vista. Da questo momento lo sbarco, “una immagine simbolo, un’icona del fenomeno migratorio”, verrà trattato meno in chiave di invasione e più in relazione al soccorso, al naufragio, al lutto.


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