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Fertility che? Le particelle elementari del Ministero della Salute

Giuste le critiche alla campagna voluta dal Ministero della Salute. Sembra lo spot di una banca del seme, con un'immagine della donna e dell'uomo degni della fantasia di Michel Houellebecq o una mutazione in farsa della tragedia della surrogacy

di Marco Dotti

Molte critiche si sono concentrate sul tema della famiglia. Ma la famiglia non c'è. Prendiamo un'immagine, una qualsiasi della campagna contestata e contestabile promossa dal Ministero della Salute. Vedete famiglie? Vedere relazione? A ben guardare, non vediamo nemmeno bambini. In ogni caso, quello che vediamo non ci piace granché. Anzi, diciamolo apertamente: fa abbastanza schifo.

Guardiamola però oltre i loro (molti) e i nostri (nessuno ne è immune, salvo gli stupidi) pregiudizi, e chiediamoci: perché, se si parla di generazione, nascita, generatività, vita insomma si usa un termine "fertility"? Che cosa si teme? Perché questa sterilizzazione preventiva del linguaggio, questa bonifica del senso? Forse perché un senso, oltre al vuoto, non c'è. Inutile cercarne uno. Inutile pensare a strane dietrologie o a non meno bizzarre distrazioni. Non c'è un senso. E se non c'è un senso, volete ci sia una direzione?

Ancora: perché, nelle immagini, l'uomo non c'è se non con richiami all'impotenza (se fumi, se bevi, se ti droghi, bla bla bla)? Forse non serve, l'unica cosa che conta – in questa campagna lo si capisce a pieno – è la sua performance riproduttrice di seme. Eccola, la "fertility". Uso, abuso, consumo. Compravendita. Surrogacy delle buone intenzioni. Un mutamento continuo, senza scopo.

Accettare l'ideologia del cambiamento continuo significa accettare che la vita di un uomo sia strettamente ridotta alla sua esistenza individuale, e che le generazioni passate e future non abbiano più alcuna importanza ai suoi occhi. È così che viviamo; e oggi per un uomo avere un figlio non ha più alcun senso.

Michel Houellebech, Le particelle elementari

E non è, si badi, questione di "genere". Anche se la donna, qui, ne esce raffigurata peggio dell'uomo: vista unicamente come portatrice sana di ovuli in scadenza. Eppure, ci avevano detto, che l'amore e la vita sono questione di relazione. Forse i figli non sono né vita, né amore, né relazione. Chissà. La campagna, letta nei suoi segni, sembra quella di una banca del seme per donne con poco tempo a disposizione. Ma la campagna, in sé, non è il problema, è solo parte del problema. Il problema è alla radice. Anche se – questa sì – è una radice infertile.

È proprio questa idea, sottesa al termine inglese decontestualizzato in salsa romanesca e imbiancato con cipria scaduta dai creativi di turno a spaventare.

Non venisse dal Ministero della Salute, questa singolare campagna eugenetica – in senso svedese, non si fraintenda – sembrerebbe uscita dalla penna visionaria del Michel Houellebecq delle Particelle elementari. Lui, d'altronde, ci aveva avvertito: finiremo tutti in uno zoo di vetro. Oppure, spacchiamo la gabbia, magari iniziando col togliere le chiavi del discorso pubblico ai portatori sani di quella peste bubbonica che si chiama ignoranza. Tertium non datur.


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