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Inclusione dei bambini gravissimi: è tempo di immaginare qualcosa di nuovo

Milano ospita la conferenza conclusiva del progetto europeo Enablin+ che vuole mettere a punto un sistema di servizi interdisciplinari di formazione per realizzare una maggiore inclusione di bambini con bisogno molto intensi e complessi di cure. La scuola di tutti non è sempre pronta ad accoglierli. Dalla mappa dei bisogni formativi verso una nuova proposta

di Sara De Carli

In Francia li definiscono polyhandicap, nel mondo anglosassone profound and multiple intellectual disabilities, in Italia continuiamo semplicemente a indicarli come “i gravi”, senza un termine tecnico. Sono quei bambini con una disabilità multipla, che presentano un grado complessità e un bisogno di assistenza e cura molto intenso, spesso ai margini dell’inclusione, troppo gravi per la scuola, per le attività di socializzazione e tempo libero. Ma davvero è accettabile dire che un bambino è “troppo grave”? Enablin+ è un progetto europeo pensato per loro.

Avviato a inizio 2014, nell’ambito del programma Leonardo-Life Long Learning, nasce proprio da una riflessione a livello europeo sulle disabilità complesse nel bambino, per “rendere abili” (lo dice il termine stesso) bambini e ragazzi con disabilità multiple e bisogni di cura complessi, ma anche le loro famiglie e gli operatori che li sostengono, costruendo modelli di servizi interdisciplinari e di moduli formazione professionale “sul campo” che consentano a questi bambini una maggiore inclusione e una partecipazione più attiva alla vita quotidiana a scuola, in famiglia, nella comunità. L’appuntamento per condividere i primi risultati di Enablin+ sarà a Milano il prossimo 24 settembre all’Università Bicocca: la Fondazione Don Carlo Gnocchi, partner italiano del progetto, ha promosso la conferenza internazionale “Promuovere la qualità di vita di bambini e adolescenti con disabilità multipla e bisogni complessi di assistenza e cura: dalla teoria alla pratica”, sottotitolo “come formare l’équipe multidisciplinare e le famiglie per migliorare la qualità di vita”. La conferenza è aperta a operatori, studenti e famiglie previa registrazione (qui). Ne parliamo con Marina Rodocanachi, neurologo e fisiatra, responsabile della riabilitazione nell’età evolutiva, al Centro “Vismara-Don Gnocchi” di Milano.

Qual è l’obiettivo di Enablin+?
Il progetto è a promuovere la qualità della vita, l’obiettivo non è vincere una disabilità invincibile ma costruire una qualità di vita, con lo sguardo rivolto verso il futuro di questi bambini. Sono coinvolti sette paesi (Italia, Belgio, Olanda, Francia, Romania, Bulgaria e Portogallo) e otto partner con professionalità diverse, alcuni più sul versante sanitario riabilitativo, alcune università, alcuni più orientati sulla formazione.

Lavorare insieme, con colleghi di professionalità differenti, ci ha permesso di definire innanzitutto “chi” sono questi bambini, di trovare una definizione comune che parta non da una diagnosi medica ma dalla complessità dei bisogni, in ottica più ICF, poiché le disabilità possono avere matrici eziologiche diverse ma le problematiche che i bambini e le famiglie si trovano ad affrontare sono sovrapponili.

Cosa è emerso nel corso del progetto?
Un profondo bisogno di formazione per chi segue questi bambini, la necessità di sperimentare un curriculum formativo inteprofessionale. C’è ancora poco, normalmente l’esperienza con questi ragazzi si fa sul campo, oppure dopo la laurea con piccoli corsi specifici. Il partner francese ha una grossa esperienza nella formazione sul polyhandicap, ci lavorano dall’inizio degli anni 80. Concretamente abbiamo realizzato un questionario, poi sottoposto a professionisti e famiglie, non tanto a fini statistici ma per mappare i bisogni formativi percepiti dalle famiglie e dagli operatori: è il primo passo per iniziare a studiare un modello di formazione. La Conferenza sarà preceduta da una due giorni di corso di formazione per cinquanta operatori, presenteremo nel dettaglio i risultati a cui siamo giunti.

E la Conferenza?
La Conferenza non era prevista inizialmente, abbiamo deciso di farla perché crediamo sia un po’ il momento di pensare qualcosa di nuovo rispetto al tema dell’inclusione.

Cioè?
Sull’inclusione scolastica tutti guardano all’Italia come un faro. È vero che l’inclusione scolastica è per tutti, ma poi nei fatti è successo che le scuole speciali – chiuse sulla carta – non sono state completamente chiuse, sono rimaste e accolgono proprio questi bambini gravi, che nella scuola di tutti non trovano le risorse sanitarie e riabilitative di cui hanno necessità. Questo ci pone un dilemma: la scuola normale ha il problema di non riuscire a garantire tutto ciò di cui questi bambini hanno bisogno, la scuola speciale ha una criticità rispetto all’inclusione e anche quella di essere rimasta un pochino vecchia, non c’è innovazione nelle scuole speciali, perché sulla carta sono state chiuse. Io credo davvero sia il momento in cui si debba pensare a qualcosa di nuovo.

Che cosa manca oggi e cosa avete intuito si deve fare?
C’è il bisogno di ripensare la scuola inclusiva anche per questi bambini complessi. Vi è la necessità assoluta di una maggior continuità tra le cure e le figure educative. La legge non fa discriminazioni, ma nei fatti la scuola inclusiva si è attrezzata per accogliere bambini con disabilità meno severe e quando si trova davanti un bambino con bisogni assistenziali complessi entra in sofferenza. La scuola dell’infanzia è il momento in cui anche la gravità complessa è inserita molto bene, poi abbiamo qualche problema. Serve un’integrazione fra educazione e sanità, questo è il nodo cruciale da affrontare. Ci sono esperienze positive, un esempio di buona prassi da supportare sono le “classi integrate”, dove i bambini hanno un loro ambito di esperienza ma anche di inclusione nella classe, cosa peraltro che è altamente educativa per gli altri bambini… questo consentirebbe loro di stare bene, con una certa sicurezza rispetto ai loro problemi di salute ma anche insieme agli altri bambini.

Quante sono queste classi integrate in Italia?
​Questo è parte del problema, si fa fatica ad avere i dati. Non si sa nemmeno quante scuole speciali ci siano in Italia, né esiste “una conta” del MIUR dei bambini come li abbiamo definiti noi. Il Ministero per definire la disabilità severa di un alunno si chiede se cammina, se ha il controllo sfinterico e se ha bisogno di essere imboccato, ma è restrittivo definire la disabilità in questo modo, non è la stessa cosa che intendiamo noi. Manca la capacità di raccogliere dati, è un punto da porre. Alla Conferenza parteciperà anche il Comune di Milano con una sua esperienza nelle scuole dell’infanzia, vorremmo iniziare a creare una mappa, spero questo sia un sassolino che poi si allarghi a macchia d’olio.

Dagli altri Paesi partner del progetto Enablin+ che suggerimenti e ispirazioni vengono sull’inclusione scolastica di alunni con bisogni così intensi e complessi?
Il Portogallo ha dal 2004 una nuova legge sull’integrazione scolastica, integra tutti come l’Italia, ovviamente la sua legge tiene conto dell’ICF essendo più recente. Olanda e Belgio hanno fatto da poco una legge che consente a questi di essere scolarizzati, prima non avevano il diritto, era tutto sotto la sanità, stanno cominciando le prime esperienze pilota. La Francia ha l’inclusione nella scuola dell’infanzia e molte scuole differenziato dopo, anche se è molto attenta alla cura educativa e l’inclusione viene fatta più sul tempo libero. Bulgaria e Romania si stanno aprendo adesso. È un mondo in evoluzione, la Svezia sta facendo una sperimentazione pilota di inclusione nelle scuole e c’è una commissione che valuta ogni alunno caso per caso, cercando la soluzione migliore. Noi continuiamo ad essere un pochino più avanti sull’inclusione scolastica, ma portandoci dietro retaggi un po’ vecchi: sarebbe bello riuscire a far fare anche ai bambini più gravi quel percorso di inclusione che hanno fatto ad esempio i bambini con la sindrome di Down.