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Nessuna “vittoria del panino”: meno mensa significa più dispersione

Il tribunale di Torino ha respinto il reclamo del Miur contro la decisione che aveva di fatto riconosciuto alle famiglie il diritto di mandare i bambini a scuola portandosi il pasto da casa. Ma la mensa è un nodo forte del contrasto alla dispersione scolastica, nonché la garanzia di un pasto completo per un bambino su dieci. Una complessità che non può essere liquidata con un panino sì/panino no.

di Sara De Carli

«Mammà batte il Miur», «Il panino a scuola è un diritto di tutti»: così da ieri i siti stanno presentando la notizia che il tribunale di Torino ha respinto il reclamo del Miur contro la decisione che aveva di fatto riconosciuto alle famiglie il diritto di mandare i bambini a scuola portandosi il pasto da casa. A giugno a Corte d’Appello aveva riconosciuto il diritto di poter consumare il panino solo ai figli di 58 genitori che avevano presentato ricorso, la novità delle ultime ore è invece che il diritto viene riconosciuto per tutti. Le scuole dovranno organizzarsi. Torino era già pronta (a seguito della sentenza estiva la “ristorazione mista” era già prevista a partire dal 3 ottobre, con pasti nelle aule della scuola o in appositi locali), ora la questione si allargherà verosimilmente a macchia d’olio anche nel resto d’Italia. In Lombardia già a gennaio era stata approvata la “mozione schiscetta”, a Genova e Napoli sono pervenute molte richieste.

La mensa in effetti costa parecchio, in molte città: un’indagine di Cittadinanzattiva ha confermato un costo medio mensile di 80 euro (si va dagli 0,57 euro a pasto di Potenza ai 7 euro a pasto di Palermo, non sostenibile per molte famiglie. Panino batte mensa però è un modo troppo semplice per liquidare una questione che è molto più complessa di quel che a prima vista sembra. L’ha spiegato bene la sociologa Chiara Saraceno quindici giorni fa: «si rischia di perdere non solo di vista, ma di fatto, alcune conquiste preziose in termini di solidarietà sociale e investimento nella crescita dei più piccoli. Trovo sorprendente che Miur, presidi, sovrintendenza scolastica, nell’opporsi a chi vuole mangiare a scuola il cibo portato da casa abbiano avanzato ogni sorta di impedimenti più o meno capziosi – dalla necessità di avere un luogo separato per evitare contaminazioni al costo dell’acquisto di micro-onde per riscaldare i pasti – senza mai accennare, per quanto mi risulta, alle questioni sostanziali».

Ovvero? «Garantire a tutti i bambini, indipendentemente dalle risorse della loro famiglia, almeno un pasto di elevato valore nutritivo e bilanciato al giorno e fare del momento del pasto un momento di educazione sia alimentare sia comportamentale». Sì, nell’Italia del 2016 la mensa scolastica è il presidio di garanzia di un pasto completo al giorno per moltissimi bambini (moltissimi vuol dire moltissimi, una famiglia su dieci). Un’esagerazione? Non proprio.

Save the Children da alcuni anni realizza un dettagliato monitoraggio sul servizio di ristorazione scolastica nelle scuole primarie d’Italia, dal titolo (Non) tutti a mensa. Lo scorso anno contavano 25 Comuni su 45 con rette agevolate solo per i residenti, 6 comuni senza alcuna agevolazione nemmeno per le famiglie più povere, 7 comuni che escludono i bambini dal servizio mensa in caso di insolvenza (in allegato il report). Abbiamo cercato Antonella Inverno, responsabile dell’unità di policy di Save the Children, per capire tutti i nessi che la questione mensa implica.

Dottoressa Inverno, che cosa pensa di questa decisione?
È una questione dove non c’è nessun vincitore. Capiamo le ragioni dei genitori, che si trovano ad affrontare rette che sono effettivamente alte e soprattutto disomogenee fra i Comuni nelle regole di accesso al servizio… però immaginare l’esclusione dal servizio dei figli delle famiglie che non pagano è una sconfitta per tutti, non una vittoria di qualcuno. I bambini hanno la necessità di mangiare insieme e la mensa ha una forte funzione di socializzazione ed educazione alla socialità. Noi chiediamo – e lo chiederemo con il nuovo monitoraggio – una maggiore partecipazione dei genitori e dei bambini alla mensa scolastica, con questa possibilità la partecipazione si allenterà inevitabilmente. Ripeto, capiamo le ragioni dei genitori, i dati sulla povertà assoluta usciti a luglio dicono che una famiglia su dieci con almeno un figlio minore non riesce a soddisfare il livello di consumi minimi per il paniere essenziale… l’impatto della mensa sulle famiglie è molto alto e tra l’altro proprio le famiglie più a rischio di esclusione sono quelle che non sanno della possibilità di agevolazioni o più penalizzate dal fatto che esse valgono solo per i cittadini residenti.

Le scuole saranno obbligate a tenere a scuola i bambini che portano il pranzo da casa, la funzione di socializzazione non è garantita?
Noi abbiamo riscontri di scuole che separano nettamente ambienti e comunque tra chi porta il pranzo da casa ci sarà chi porta un pezzo pizza e chi un pasto completo. Non è solo una questione logistica e di organizzazione, è una scelta che compromette l’integrazione del gruppo classe.

Nel vostro monitoraggio avete evidenziando un nesso fra assenza di mensa, assenza di tempo pieno e dispersione scolastica. Le regioni con meno mensa scolastica sono anche quelle che presentano meno tempo pieno e più dispersione scolastica. Cosa è quindi la mensa, in prospettiva più ampia? Avere la mensa è un fattore protettivo contro la dispersione scolastica?
Abbiamo messo insieme per la prima volta i dati su dispersione scolastica, presenza della mensa e del tempo pieno a scuola. È emerso chiaramente un nesso fra i tre fenomeni: al crescere dell’offerta formativa (mensa e tempo pieno) decresce visibilmente la percentuale di dispersione scolastica. L’anno scorso le prime tre regioni con questo mix di fenomeni erano Puglia, Campania e Sicilia.

Non è che la mensa non c’è perché non c’è tempo pieno, come conseguenza?
Sono fenomeni in relazione, non ce n’è uno che sia solo causa e uno che sia solo effetto. È qualcosa di circolare, come accade anche rispetto alla domanda di asili nido e all’offerta di posti. Nel monitoraggio abbiamo inserito una domanda per capire che impatto aveva l’assenza della mensa sulle famiglie, quasi il 90% delle famiglie ha detto che la famiglia avrebbe vantaggi se ci fosse mensa e il 67% lo manderebbe il figlio se ci fosse il servizio. Il 36% delle mamme ritengono che l’assenza della mensa comporti qualche problema nell’organizzazione familiare, ad esempio le mamme potrebbero lavorare se non dovessero andare a prendere i figli a scuola e preparare il pranzo… sono tutte cose in relazione.

Nel report voi auspicate una mensa in tutte le scuole, anche come strumento per tenerle aperte tutto il giorno, con il supporto delle realtà sociali ed educative del territorio. Cosa immaginate? Esiste qualche esperienza in particolare?
Attraverso il nostro programma di contrasto alla dispersione scolastica, Fuoriclasse, abbiamo potuto notare che dove le scuole restano aperte il pomeriggio, dove c’è partecipazione degli studenti e dei genitori, c’è un decremento della dispersione scolastica.

L’altro aspetto è che la mensa scolastica – in una situazione di crescente povertà minorile – rappresenta l’unico pasto completo che tanti bambini fanno in un giorno, anche in Italia. È davvero così? A questo punto quindi il panino libero non è tanto una libera scelta lasciata famiglie, ma succederà che alle famiglie economicamente più povere, quelle morose, il Comune “imporrà” di portarsi il pranzo da casa e quindi questi bambini non avranno più nemmeno quel pasto completo? È questo il punto?
Esatto. In un ambiente, lo ripeto, dove uno mangerà la pizza bianca e uno tutto un pasto. Abbiamo appena pubblicato un monitoraggio sull’acquisto dei libri, tutti questi episodi i bambini li vivono come fortemente discriminanti, si sentono a disagio rispetto al pasto completo o ai compagni che arrivano il primo giorno di scuola con tutti i libri nuovi. Questi vissuti sono una causa di un progressivo allontanamento dalla scuola, abbiamo raccolto tante testimonianze di come questo disagio porti ad arrivare a scuola in ritardo, prendere note per comportamenti non corretti… il disagio fa scattare dinamiche che portano sulla difensiva e a un progressivo allontanamento dalla scuola. Tutto ciò è un fattore di rischio rispetto alla dispersione scolastica.

Nei ragionamenti che si stanno facendo sulla povertà educativa, anche in vista dell’utilizzo del nascente Fondo, Save the Children ha sottolineato la necessità di intervenire anche sulle mense scolastiche, sottraendolo alla discrezionalità dei Comuni e considerandole come servizio essenziale, gratuito, per tutti i minori in stato di povertà. Esattamente cosa chiedete e perché?
Quest’anno nel monitoraggio affronteremo anche la percentuale di spesa che ogni Comune mette a disposizione per coprire la quota mensa: posso anticiparle che c’è una discrezionalità assoluta, questo non ci sembra giusto. Vorremmo che ci fosse più omogeneità. Alcuni comuni assicurano un accesso più equo a tutte le famiglie e in altri territori no, perché ci sono meno soldi. In alcuni casi chi non è residente paga la fascia massima, in altri i non residenti accedono ai benefici… C’è una proposta di legge che chiede di rendere la ristorazione scolastica un servizio che rientra nel livello essenziale delle prestazioni, la nostra richiesta è quella di avere standard minimi uniformi per l’accesso e che nessun Comune escluda i bambini figli di famiglie morose. Ma anche che tutti i fondi previsti su questo capitolo vengano spesi in modo efficiente e rapido.

Cosa intende?
Ci sono 77 milioni da fondi europei, fondi FEAD, destinati al rafforzamento delle mense scolastiche Nell’anno scolastico 2015-16 non sono stati utilizzati, non s’è fatto nulla.

Dal Miur e dall’Anci cosa si aspetta o auspica?
Da Miur e Ministero del Lavoro, un coordinamento per l’attivazione dei fondi FEAD, dall’Anci delle linee guida per tutto il territorio, soprattutto su esclusione e standard minimi.

Foto Getty Images


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