Welfare & Lavoro

Per combattere la fame nel mondo non basta lo sviluppo economico

Il Rapporto 2016 del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo ha evidenziato come siano fondamentali anche fattori come occupazione, popolazione giovanile, diritti sulla terra, pari opportunità e ammortizzatori sociali

di Monica Straniero

«Tre quarti degli 800 milioni di persone che vivono in povertà nel mondo si trovano in aree rurali, mentre nel mondo si spreca quasi un terzo del cibo prodotto a livello globale», ha detto Paolo Gentiloni, ministro degli Affari esteri, in occasione della presentazione ufficiale del Rapporto 2016 sullo sviluppo agricolo dell’Ifad, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo.

A cinque anni di distanza dall’ultimo rapporto, l’Ifad ha analizzato le esperienze di sviluppo rurale in 60 Paesi in via di sviluppo nel contesto di un mondo in rapida trasformazione, con una domanda sempre crescente di alimenti, “entro il 2050 il mondo avrà bisogno del 60% di cibo in più”, l’aumento della migrazione verso le città e l’impatto del cambiamento climatico e del degrado ambientale.

In particolare i ricercatori si sono concentrati sull’impatto, in termini di riduzione della povertà, della trasformazione strutturale, ossia la redistribuzione dell’attività economica che comprenda, oltre all’agricoltura, anche i settori manifatturiero e terziario, e della trasformazione rurale, ovvero la diversificazione dei redditi nelle aree rurali e gli aumenti della produttività agricola).

L’analisi dello sviluppo rurale è essenziale, sostiene il rapporto, perché i redditi di 2,5 miliardi di persone nel mondo dipendono ancora da piccole aziende agricole, che producono l’80% del cibo consumato in Asia e nell’Africa subsahariana. “La crescita economica da sola non è quindi sufficiente a salvare quanti rischiano tutti i giorni di morire di fame”.

Secondo l‘Ifad, se si vuole combattere la povertà e la fame e costruire società inclusive e sostenibili per tutti, i governi devono puntare su politiche inclusive che coinvolgano le popolazioni povere ed emarginate delle aree rurali dei paesi in via di sviluppo, con investimenti mirati che possano migliorare gli effetti di una rapida trasformazione strutturale in termini di equità nella distribuzione dei benefici da essa generati.

Ma quali sono gli investimenti e le riforme a cui dare priorità? «Ad esempio interventi finalizzati a promuovere la nascita di industrie agroalimentare moderne», si legge nel rapporto, «creare posti di lavoro e favorire l’accesso ai servizi finanziari, visto che 2 miliardi di persone nel mondo non ne hanno ancora accesso e il 73% dei poveri non ha nemmeno un conto corrente bancario».

I ricercatori sono arrivati alla conclusione, tra le altre cose, che la maggior parte dei paesi che hanno registrato un processo rapido di transizione verso l’eliminazione della povertà hanno diversificato la loro economia e potenziato il proprio settore agricolo. «Il successo degli interventi è stato influenzato da fattori quali occupazione, popolazione giovanile, diritti sulla terra, pari opportunità e ammortizzatori sociali».

Il rapporto contiene anche un’analisi approfondita a livello regionale. Paesi come Bolivia, Colombia, Ecuador, Messico e Uruguay hanno ridotto le disparità di reddito tra coloro che vivono nelle aree rurali, benché tali disuguaglianze siano aumentate nella maggior parte dei paesi del Centroamerica, in parte grazie a trasferimenti mirati di fondi pubblici.

Gli investimenti nelle aree rurali, riforme agrarie e altre politiche settoriali si sono rivelati fattori decisivi per promuovere la trasformazione rurale inclusiva in Cina, India, Filippine e Vietnam. Mentre la maggior parte dei paesi africani continua a fare i conti con una popolazione giovanile in crescita, settori manifatturieri di dimensioni ridotte e in declino, e ostacoli allo sviluppo profondamente radicati. In queste aree i recenti aumenti di produttività agricola non sono derivati dal progresso tecnologico, ma dall’aumento delle terre coltivate. Infine nella subregione del Vicino Oriente e Nordafrica (NENA), i processi di trasformazione rurale sono stati condizionati negativamente da instabilità e fragilità. Tale situazione è stata aggravata da problemi strutturali legati alla scarsità d’acqua e all’aumento della popolazione giovanile.

«Tuttavia la trasformazione rurale inclusiva non è automatica ma deve essere indotta. È una scelta», ha detto Kanayo F. Nwanze, presidente dell’IFAD. «Il Rapporto dimostra così la necessità di un approccio molto più integrale e olistico nei confronti dell’economia, per garantire il benessere di milioni di persone che vivono nelle aree rurali. E rafforza la convinzione dell’IFAD, basata su quarant’anni di esperienza, che investire sullo sviluppo agricolo e rurale significhi investire sull’economia nel suo complesso».


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