Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cooperazione & Relazioni internazionali

Arriva la Guardia Costiera europea. Ecco cosa cambia

Se qualcuno pensava che la nuova Agenzia avrebbe potuto giocare un ruolo più attivo nei salvataggi dei migranti in mare, si dovrà ricredere. Nessuna Mare Nostrum europea all'orizzonte. Il mandato è sempre e solo di monitoraggio e controllo

di Lorenzo Bagnoli

Dal 6 ottobre, la nuova Guardia Costiera europea diventerà realtà. Parola del Commissario europeo all'immigrazione Dimitris Avramopoulos. I primi passi li muoverà in Bulgaria, a Ruse, al confine nord est del Paese, diventato tra i principali sbocchi della rotta balcanica nel corso di quest'estate. Le aspettative sono altissime: la Guardia Costiera europea – chiamata Agenzia nei documenti europei – supera l'attuale versione di Frontex, l'agenzia di pattugliamento dei confini esterni dell'Unione europea che ormai ha mostrato tutti i suoi limiti di organico, mezzi, budget e mandato.

Ma la Guardia Costiera Europea sarà in grado di colmarli? Jorrit Rijpma, professore associato della Leiden University, in Olanda, è l'autore del report sul quale il Parlamento europeo si è confrontato per poter migliorare il quadro normativo dentro il quale l'Agenzia agirà. «Ci sono tantissimi lati positivi – spiega – ma mi chiedo se sia veramente ciò che ci aspettiamo, se possa essere la vera soluzione al problema».

Frontex ha sempre ingenerato confusione nell'opinione pubblica: se ne parla come di un'agenzia dotata di mezzi propri, un corpo “autonomo” in grado d'intervenire sul pattugliamento delle frontiere. Non è così: «Frontex è un supporto, un aiuto alle forze predisposte dagli Stati membri. Anche con il nuovo assetto credo che alla fine rimarrà lo stesso», aggiunge. Il quadro normativo cambia, ma il punto di partenza rimane lo stesso: l'Agenza «aiuterà la gestire i confini e i controlli alle frontiere», si legge nella risoluzione approvata il 14 settembre in via definitiva. Avrà sì un suo corpo speciale di 1.500 uomini provenienti dalle Guardie costiere dei Paesi europei, ma che userà solo per intervenire in situazioni di emergenza. Non si sa ancora quanto sarà stanziato come budget, ma la promessa è aumentare i 142,6 milioni erogati a Frontex nel 2015.

Se qualcuno pensava che la nuova Agenzia avrebbe potuto giocare un ruolo più attivo nei salvataggi dei migranti in mare, si dovrà ricredere. Nessuna Mare Nostrum europea all'orizzonte. Il mandato è sempre e solo di monitoraggio e controllo delle frontiere e le operazioni di salvataggio avverranno solo quando durante il pattugliamento si incontreranno navi in difficoltà.

Ma è questo ciò che serve, si domanda il professor Rijpma: «Se il problema è l'emergenza profughi, dobbiamo gestire meglio le frontiere o avere più operatori che aiutino nelle pratiche dell'asilo? Credo che la mia risposta sia intuibile». Da Bruxelles possono evitare di inserire le operazioni di salvataggio nero su bianco nella nuova regolamentazione della Guardia costiera perché non sono regolate da norme europee, bensì internazionali. Quindi non è l'Europa che se ne deve fare carico. Ma la questione resta irrisolta.

Un'altra ombra che s'allunga sull'Agenzia riguarda il recupero dei dati personali dei migranti. Già nel febbraio 2016, la European Data Protection Supervisors (Edps) aveva sollevato qualche dubbio sull'argomento. Primo fra tutti: chi “stocca” i dati? Chi li possiede? L'Agenzia sembra dare per scontato che diventi lei il collettore finale. E le Guardie costiere nazionali? E i “Paesi terzi” verso i quali stiamo “esternalizzando” le frontiere (vedi Sudan, Niger, Turchia)? Non è una questione secondaria, visto che all'inizio di settembre il quotidiano online maltese MaltaToday segnalava come sia da Frontex che dalla marina militare dell'isola si denunciasse che l'Italia non condivide i dati che raccoglie. Anche le immagini dei droni di un'operazione umanitaria come Moas già oggi vengono scandagliati da Frontex. E qualche altra ong ha preferito non stare al gioco, perché non capiscono a che scopo possano essere utilizzati i dati. Secondo problema, non c'è divisione tra i dati dei migranti o dei sospetti scafisti/trafficanti: il calderone è uno solo. Edps aveva chiesto una modifica, ma l'appello è caduto nel vuoto.

I lati positivi, comunque, non mancano. I passi avanti dell'Agenzia riguardano prima di tutto la sua organizzazione. Per la prima volta la Commissione approva una regolamentazione in cui obbliga i Paesi membri a fornire uomini (o denaro) per costituire un nucleo di forze speciali in grado di intervenire in caso di emergenza. Il Rapid Border Intervention Teams (RABIT) sarà composto da 1.500 Guardie costiere. Il sistema per mettere in azione questo embrione di un vero corpo militare comunitario è stato uno dei terreni di maggiore scontro politico dall'inizio della discussione, nel dicembre 2015, fino ad oggi. E si lega ad un altro aspetto nuovo ma sul quale bisognerà fare attenzione: il ruolo da “supervisore” della nuova agenzia. A differenza di Frontex, che «si comportava come il migliore amico delle Guardie costiere europee – ragiona il professor Rijpma- la nuova agenzia farà invece da 'padre' che ti dice quello che sbagli». Questo cambiamento provocherà inevitabilmente nuove dinamiche. Soprattutto quando il papà sarà severo e dirà alle figlie agenzie che devono cambiare modo di comportarsi.

Fuori dalla metafora, la resa dei conti sarà alla consegna dei Vulnerability assesments, report periodici che indicheranno le criticità di ogni singolo Paese, con interventi e tempistiche per mettere a posto i difetti del sistema di gestione delle frontiere. In una prima versione della regolamentazione per la Guardia Costiera europea, era previsto un “diritto di intervento” quasi immediato dell'Agenzia, che avrebbe potuto, in caso di mancata collaborazione di un Paese, imporre una chiusura per al massimo due anni dei confini sull'area Schengen. Per quanto drastico, il provvedimento aveva una sua ratio: evitare che l'Europa rimanga ostaggio di Paesi (oggi il Gruppo di Visegrad) che decidono di non attuare le politiche europee. Ma era una rinuncia alla propria sovranità indigeribile per chiunque. Così si è cercato di mantenerlo con un camouflage che richiede un doppio passaggio di approvazione del “commissariamento delle frontiere”. «Nei fatti, però, è decaduto», commenta Rijpma.

La domanda che sorge quindi è se questa supervisione alla prova dei fatti riuscirà a mantenere uno standard qualitativo simile nella gestione delle frontiere in Europa, oppure le armi a disposizione dell'Agenzia saranno troppo spuntate. Stesso rischio che si corre nei rimpatri, operazione nel quale l'Agenzia dovrebbe avere un ruolo chiave.

I timori si basano sull'esperienza. Il caso scuola è quello degli hotspot: «Nei fatti Frontex ha un ruolo leader nella gestione degli hotspot – commenta Jorrit Rijpma – ma non c'è alcuna regolamentazione che “stabilisca il funzionamento degli hotspot”. Alla fine, quindi, gli hotspot si adeguano alle leggi nazionali: garantire uno standard uguale in Europa non è semplice. E di nuovo a pagare lo scotto di questo mandato nebuloso sono soprattutto i migranti: la priorità della sicurezza alle frontiere significa nel concreto più controlli e meno attenzione alla possibilità di chiedere asilo. La Commissione sta cercando di porre rimedio anche a questo con una proposta di nuova regolamentazione per lo European asylum support office (Easo), l'organismo a cui spetta il compito si facilitare le domande d’asilo».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA