Economia & Impresa sociale 

Brutte notizie dalla Svezia: Ericsson pronta a tagliare 3000 posti di lavoro

Mentre nel nostro Paese si fanno le pulci al Pil e c'è chi indica la Svezia «come modello keynesiano da seguire», lo storico colosso nordico delle comunicazioni, già al centro delle critiche per la forbice tra gli stipendi dei dipendenti e quelli dei manager, sarebbe pronto a chiudere i battenti di due importanti siti produttivi. A rischio 3000 posti di lavoro, che in un Paese di 9milioni di abitanti sono un'enormità

di Marco Dotti

La notizia arriva da Svenska Dagbladet, ma era nell'aria da tempo. E da tempo il maggior quotidiano svedese avanzava dubbi sulla "tenuta" di Ericsson – cadute in borsa, crisi aziendali, stipendi dei manager alle stelle – con relative smentite da parte del colosso delle comunicazioni. Nelle ultime ore, però, le voci si rincorrono a tal punto da prendere quasi la consistenza dei fatti. Forse i sindacati riusciranno a rallentare il processo, ma per ora la notizia è che l'azienda sarebbe pronta a chiudere gli impianti svedesi, con una ricaduta occupazionale molto grave per un paese di 9milioni e mezzo di abitanti: 3000 lavoratori, quasi tutti di alto profilo, si ritroverebbero così senza lavoro.

Oggi Ericsson, il cui nome completo è elefonaktiebolaget LM Ericsson, ha più di 15mila dipendenti in tutto il mondo, una solida tradizionem essendo stata fondata nel 1876, e opera in un settore che non dovrebbe conoscere eccessiva crisi, quello dell'ICT.

Si parla insistentemente anche della chiusura delle sedi di Boras e Kumla, che permetterebbero alla Ericsson di ridurre i costi di circa tre miliardi di corone svedesi, ossia 313 milioni di euro. Un terzo rispetto al piano di rientro presentato solo due anni fa dalla stessa societò, che prevedeva di tagliare per più di 900milioni di euro.

Il problema per Ericsson si troverebbe nella necessità di adattare la sua struttura aziendale agli investimenti futuri, in un periodo in cui le infrastrutture hanno eroso i margini di guadagno e si spera di reggere fino a quando – e se – le promesse della comunicazione mobile 5G verranno confermate. Nel frattempo, in Svezia si sta per presentare un grosso problema sociale: se davvero verranno dismessi i siti di Boras e Kumla con la liquidazione dei manager andrà al macero anche l'ultimo barlume di equità, valore su cui si fonda – o si dovrebbe fondare – il Paese?

Singolare paradosso per il Paese che, sulla scorta di una lettura a nostro avviso po' troppo decontestualizzata del Rapporto McKinsey, Federico Rampini su Repubblica definiva «antidoto alla crisi economica e al regresso del tenore di vita». Senza dubbio c'è anche questo – equità e buon tenore di vita -, ma non per tutti. C'è chi può permettersi un buon tenore di vita e, probabilmente, è felice della sua situazione e ci sono molti che, quel tenore, non se lo possono permettere. Si tratta di una vecchia dinamica, oramai dimenticata: le disparità economiche e quelle sociali si intrecciano, fanno tutt'uno. Ma poi si individualizzano e la loro ricaduta – suicidi, consumo di antidepressivi che vede la Svezia al terzo posto nel mondo – non rientra nelle griglie, un po' provinciali, attraverso cui siamo soliti descrivere la realtà.


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